I Mille. Garibaldi Giuseppe

I Mille - Garibaldi Giuseppe


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certamente agli antichi – si persuaderanno di conservar nulla alla fine – e le nazioni pure procureranno di non ritentar le prove spaventose.

      Perchè dunque non evitar il pericolo?

      Sarebbe cosa facile: i tanti che mangiano per cinquanta, contentarsi di mangiare per venticinque.

      Per persuadersi che i tempi sono cambiati, date un colpo d’occhio all’Austria. Chi non preferisce oggi la condizione d’un onesto contadino a quella ormai ridicola di cotesto imperatore e re?

      Non vi par di vedere un cacciatore, cui una caduta ha mandato la gabbia in pezzi, faticantesi a correr dietro agli uccelli fuggiti e ben contenti di seguir ognuno la loro via liberissima nello spazio?

      Poveri imperatori! Ed è strano vederne dei nuovi che – per la sventura umana – si aggraffano a troni putridi e maledetti.

      Il lavoro presente avrà certo l’impronta della trascuratezza – per tanti motivi, ai più conosciuti – e per esser stato ripreso tante volte.

      Finisco contando sulla vostra simpatia nel credere ch’io avrei desiderato d’esser capace di far meglio.

Caprera, 21 e 22 gennaio 1873.G. Garibaldi.

      CAPITOLO I

      I MILLE

      Quel che giurâr ottennero,

      Han combattuto, han vinto,

      Sotto il tallon del forte

      Giace lo sgherro estinto.

(Berchet).

      O Mille! in questi tempi di vergognose miserie – giova ricordarvi – l’anima si sente sollevata pensando a voi – rivolta a voi – quando, stanca di contemplar ladri e putridume pensando che non tutti – perchè la maggior parte di voi ha seminato l’ossa su tutti i campi di battaglia italiani – non tutti ma bastanti ancora per rappresentare la gloriosa schiera – restante – avanzo superbo ed invidiato – pronto sempre a provare ai boriosi nostri detrattori, che tutti non son traditori e codardi – non tutti spudorati sacerdoti del ventre in questa terra dominatrice e serva!

      «Ove vi sono dei fratelli che pugnano per la libertà Italiana – là bisogna accorrere» voi diceste.

      «Essi combattono per liberarsi dalla dominazione d’un tiranno; per affratellarsi alla grande famiglia Italiana».

      E non trovaste il codardo pretesto – se la loro bandiera era più o meno rossa. – Anzi – Repubblicani veri – voi faceste non solo il sacrifizio della vita, ma delle convinzioni politiche vostre. Come Dante repubblicani – come lui diceste: «Facciam l’Italia anche col diavolo!»

      E ben faceste, perchè ai dottrinarii che predican principii che non praticano, voi vittoriosamente potrete sempre rispondere: «Noi non conosciamo altri principii se non che i due, del bene e del male. – E per l’Italia sarà sempre principio del bene quello di volerla unificare. – Far il bene della patria è la nostra Repubblica».

      Voi cercaste il pericolo in soccorso di fratelli senza chiedere s’eran molti i nemici, se sufficiente il numero dei volenterosi – se bastanti i mezzi per l’impresa.

      Voi accorreste sfidando gli elementi, i disagi, le privazioni, i pericoli con cui ne attraversavano la via nemici e sedicenti amici.

      Invano il Borbone, con numeroso naviglio, stringeva in un cerchio di ferro la Trinacria, gloriosa, insofferente di giogo, e solcava in tutti i sensi il Tirreno, per profondarvi nei suoi abissi. Invano!

      Vogate! Vogate pure Argonauti della libertà – là sull’estremo orizzonte di Ostro splende un astro, che non vi lascierà smarrire la via, che vi condurrà per la mano al compimento della grande impresa – l’astro che scorgeva il grandissimo cantore di Beatrice, e che scorgevano i grandi che gli successero, nel più cupo delle tempeste – la Stella d’Italia!

      Ove sono i piroscafi che vi presero a Villa Spinola e vi condussero attraverso il Tirreno salvi nel piccolo porto di Marsala? Ove? Son forse essi nuovi Argo, gelosamente conservati, e segnati all’ammirazione dello straniero e dei posteri, simulacro della più grande e più onorevole delle imprese italiane? Tutt’altro; essi sono scomparsi. – L’invidia e la dappocaggine di chi regge l’Italia, hanno voluto distruggere quei testimoni delle loro vergogne.

      Chi dice: Essi furon perduti in premeditati naufragi. – Chi li suppone a marcire nel più recondito d’un arsenale, – e chi venduti agli ebrei per pochi soldi, come vesti sdruscite.

      Vogate però, vogate impavidi —Piemonte e Lombardo1, nobili veicoli d’una nobilissima banda – la storia rammenterà i vostri illustri nomi, a dispetto dell’invidia e della calunnia. – E voi, giovani che mi leggete, lasciate pur gracchiare il dottrinarismo. Ove in Italia si trovino Italiani che pugnano contro tiranni interni e soldati stranieri, correte in aiuto dei fratelli, e persuadetevi che il programma di Dante «Fare l’Italia anche col diavolo» vale ben quello dei moderni predicatori di principii che millantano il titolo di partito d’azione, avendo passato tutta la vita in ciarle.

      Quando l’avanzo dei Mille, che la falce del tempo avrà risparmiato – seduti al focolare domestico, racconteranno ai nepoti la quasi favolosa impresa a cui ebbero l’onore di partecipare – oh! essi ben ricorderanno alla gioventù attonita i gloriosi nomi che formavano l’intrepidissimo naviglio, e la santa soddisfazione provata d’esser corsi alla riscossa degli schiavi.

      Vogate! Vogate! voi portate i Mille a cui si aggregheranno i milioni, il giorno in cui queste masse ingannate, capiranno esser il prete un impostore, e le monarchie un mostruoso anacronismo.

      Com’eran belli, Italia, i tuoi Mille! in borghese – pugnando contro i piumati, gl’indorati sgherri – spingendoli davanti a loro come se fosse un gregge. – Belli, belli! e vario-vestiti come si trovavano nelle loro officine quando, chiamati dalla tromba del dovere! Belli, belli! erano coll’abito ed il cappello dello studente, colla veste più modesta del muratore, del carpentiere, del fabbro2. E davanti a quella non uniformata, pochissimo disciplinata gente, fuggivano i grassi, argentati, pistagnati, spallinati venditori della coscienza.

      Belli i tuoi Mille, Italia! Essi rappresentavano il tuo esercito dell’avvenire. Non più mille allora, ma milioni, ripeto – ed allora? Allora spariranno dalla tua terra, bella infelice! i boriosi tuoi dominatori – e con loro chi infamemente speculava sulle tue miserie e le tue vergogne!

      I Mille, ricordatelo, giovani Italiani, devono essere sostituiti dal Milione, e dieci eserciti indorati fuggiranno davanti a voi, come fumo spinto dal vento!..

      Allora il frutto del vostro sudore sarà vostro. – Tutte quelle benedizioni di cui vi fu prodiga natura, saranno vostre, ed allora la vergine a cui avete consacrato un amore italiano – caldo come le lave dei vostri vulcani – la vergine a cui avete consacrato una vita intemerata, sarà vostra – e vostra pura dal contatto appestato d’uno sgherro.

      Ma non fate i sordi il giorno della chiamata, e ricordatevi, che per esser pochi molte generose imprese furono fallite!

      Mentre il sacro suolo ove nasceste è calpestato dal soldato straniero, accorrete – ed accorrete qualunque sia lo squillo di tromba che vi chiami – sia esso dell’Esercito Italiano o dei Volontarii – basta ch’essi si trovino alle mani contro l’oppressore. Non ascoltate, come a Mentana, la voce di certi traditori che fecero defezionare migliaia di giovani col pretesto di tornare a casa a proclamare la Repubblica ed innalzar barricate.

      CAPITOLO II

      IL CINQUE MAGGIO

      Mieux vaut mourir

      Que vivre misérable!

      Pour un esclave

      Est-il quelque danger?

(Muta di Portici).

      O notte del 5 maggio rischiarata dal fuoco dei mille luminari con cui l’Onnipotente adornò lo spazio!

      Bella, tranquilla, solenne, di quella solennità che fa palpitar le


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<p>1</p>

I due piroscafi che trasportarono i Mille in Sicilia imbarcandoli a Villa Spinola, residenza dell’illustre C. A. Vecchi, che tanto fece in favore della spedizione.

<p>2</p>

Di cuore avrei voluto aggiungere del contadino, ma non voglio alterare il vero. Questa classe robusta e laboriosa non appartiene a noi, ma al prete, col vincolo dell’ignoranza. E non v’è esempio di averne veduto uno tra i volontari. Essi servono, ma per forza, e sono i più efficaci istrumenti del dispotismo e del clero.