Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4 - Giannone Pietro


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e temendo che questi due insieme uniti estinguessero affatto in Italia l'autorità del suo Imperio, cominciò ad esser più terribile colle città di Lombardia, onde deliberò di passar tosto in Italia, come fece; ma con spiriti molto elevati e bizzarri; e calato in Lombardia, avendo vinti i Milanesi, e sottopostesi le città della medesima, assegnò secondo il costume dei suoi maggiori, una Dieta in Roncaglia per fermare gli articoli della pace, e per dare alcuni provvedimenti intorno allo stato di quelli provincia. Allora fu, che incontrandosi per via ad un bel castello, avendo dimandato di chi quello fosse, ed essendogli stato detto il padrone, alcuni adulatori gli risposero ch'era suo, poichè dell'Imperadore era il dominio di tutto il Mondo, e delle cose particolari ancora: altri, che erano della comitiva di Federico, non potendo soffrire una adulazione così sfacciata, si opposero a tal risposta: per lo che fra loro ne nacque un gran contrasto: l'Imperadore ordinò che in Roncaglia si fosse decisa tal disputa da' Sapienti e Giureconsulti della città di Lombardia, che doveano intervenire a quella Assemblea.

      Dell'essersi negli anni precedenti, imperando Lotario, ritrovate le Pandette in Amalfi, e trasportate in Pisa, e l'aver Irnerio, come si disse, in Bologna impiegati tutti i suoi talenti sopra di quelle, con esporle, e pubblicamente insegnarle, ne avvenne che dalla sua Scuola ne fossero sorti molti, i quali seguitando le sue pedate a null'altro intesero, che allo studio delle medesime, e degli altri libri di Giustiniano. Quindi nacque, che nelle città d'Italia, molti tratti dalla novità, e dalla eleganza e sapienza di quelle leggi, v'impiegavano tutto il loro studio per apprenderle; onde dalla scuola d'Irnerio n'uscirono, come dal cavallo trojano, molti Giureconsulti, e lo studio della giurisprudenza romana era frequentatissimo non meno por gli ascoltatori, che per coloro che l'insegnavano; ma perchè questo studio surse in un secolo pur troppo incolto, e che senza l'ajuto degli altri libri latini, e dell'istoria romana, e dell'erudizione, non potevano queste leggi ben intendersi: quindi nacque, che i primi che l'insegnarono, a cui mancavano tanti ajuti, in molti errori e puerilità incorsero: vizio loro non già, ma del secolo: poichè all'incontro alcuni di essi furono d'ingegno meraviglioso; e se mancò l'erudizione e l'istoria, si vede che gl'ingegni al Mondo non sono mai mancati, perchè la natura con costante tenore serba le sue leggi, ed ha ugualmente a tutti distribuiti i talenti.

      Per queste cagioni leggendo essi in alcune leggi delle Pandette, che l'Imperador Antonio[21] si chiamava Signore dell'universo Mondo: e che Ulpiano[22] scrisse, che siccome il Popolo romano poteva dar la libertà a' servi de' particolari, così anche poteva farlo l'Imperadore; e leggendo ancora nel Codice[23] quel che Giustiniano disse, che tutte le cose erano del Principe: credettero che l'istesso potesse dirsi di Federico; onde fu cosa molto facile di persuadere, essere egli Signore del Mondo, e delle cose ancora de' privati. Erano in questi tempi dalla scuola d'Irnerio usciti molti Giureconsulti. Surse Placentino in Montepessulo, il quale fu il primo che da Italia propagò lo studio della giurisprudenza romana in Francia. Fiorivan in Bologna Bagarotto e Giovanni Basiano ed in Padova Antonio Lyo; ma sopra tutti a questi tempi si distinsero in Bologna, dove insegnavano, quattro Giureconsulti, i quali eransi resi per la loro dottrina così celebri e rinomati, che l'Imperador Federico nelle deliberazioni più gravi gli chiamava al suo Consiglio, ed aveagli per suoi Assessori, come scrive Radevico[24], non altrimenti che fecero gl'antichi Imperadori romani de' nostri Giureconsulti.

      Furono questi Bulgaro, che nato in Pisa, insegnò nel principio legge in Bologna, dove poi dall'Imperador Federico fu creato Prefetto di quella città: Ugolino, che fiorì parimente in Bologna, Autore della decima Collazione, e Collettore de' libri de' Feudi e delle Costituzioni di Corrado, Lottario e Federico, le quali aggiunse alla nona Collazione dell'Autentico, come di qui a poco diremo: Martino ancor celebre in questo istesso tempo, il quale scrisse alcune chiose alle Pandette, le quali però furon sovente da' posteri rivocate in dubbio e rifiutate; e Giacomo, che Federico pur ebbe nel suo Consiglio. Ebbene ancor in Milano in questi tempi due altri: Oberto de Orto grand'Avvocato nella Curia di Milano, e Gerardo Negro, ovvero come altri lo chiamano Cagapisto, da' quali le Consuetudini feudali furon compilate, e ridotte in iscritto con altre leggi degl'Imperadori attenenti a' Feudi, come diremo.

      Giunto l'Imperadore Federico in Roncaglia, Bulgaro e Martino furono deputati nella Dieta per sostenitori di quella disputa: Bulgaro condannò i lusingatori; ma all'incontro Martino sia per timore, o per amore, sostenne le parti di Federico con dire che l'Imperadore era Signore non meno del Mondo, che di tutte le cose particolari; ed in fatti appigliandosi Federico alla sua opinione, fu la disputa decisa a favor di Martino[25]. Ne nacque perciò che i Giureconsulti de' tempi posteriori sostennero l'opinion di Martino, e Bartolo arrivò in tale estremità, che disse esser eretico chi teneva altrimenti.

      Questa disputa, che s'avrebbe potuto facilmente decidere con quel che dice Seneca, distinguendo il dominio privato, dalla dominazione pubblica ed eminente, decisa così assolutamente a favor di Federico cagionò a lui, ed a tutta la Lombardia perniziosissimi effetti; poichè secondo questa massima in quella Dieta impose leggi e condizioni molto rigorose alla Nobiltà, ed alle città di Lombardia. Proibì loro ogni Assemblea, e corpo di città, e sopra tutto tolse loro il potere, che aveano di crear Magistrati, mettendo in quelle Ufficiali del suo partito contro ciò, che per l'addietro si praticava: impose molte pene alle città, ed uomini che violassero queste leggi: e loro concedette una molto dura e gravosa pace, come si vede dalla sua Costituzione che stabilì in Roncaglia, e che noi abbiamo al quinto libro de' Feudi[26].

      Ma non potè molto godersi di quella pace, ch'egli intendeva stabilire con condizioni sì dure; poichè appena ritornato in Alemagna, si rivoltò la Lombardia ben presto, onde fu obbligato di nuovo calar in Italia, ed assediar Milano, la quale dopo un lungo assedio, in cui valorosamente si difesero i Milanesi, finalmente fu presa; la ruinò Federico da' fondamenti riducendola in ville, ed insignoritosi affatto di tutta Lombardia, la pose perciò in una grandissima servitù.

      Fu ancora in questi tempi, che oltre di aver più rigorosamente, che non fece Lotario, proibita l'alienazion de' Feudi per quella sua Costituzione[27], che ancor leggiamo ne' libri feudali: volle restituire in Italia le Regalie, e le ragioni sue fiscali, che gran tempo s'eran perdute, ed andate in disuso; costringendo perciò i Vescovi, i Proceri, e le città d'Italia a metterle in piede, ed a lui restituirle[28].

      Tutto ciò, che presso i Romani si conteneva in quella divisione di beni, che altri fossero comuni, altri pubblici, altri delle Università, ed altri di niuno, si stabilì che s'appartenessero al Principe; restando solo agli altri que' beni, che a ciascuno singolarmente s'appartengono. Perciò i Principi s'hanno attribuito la proprietà del mare, de' fiumi navigabili, delle strade, dei campi, delle muraglie, e fossi della città, e generalmente ogni cosa, ch'è fuori del commercio, ed ancora quello ch'è nel commercio, ma che non ha padrone. E Federico, se bene non annoverasse tutto ciò nella sua Costituzione de Regalibus, noverò bensì le più segnalate e rilevanti regalie, come le fabbriche, e pubbliche armerie, che chiamò Armannie, le strade pubbliche, i fiumi navigabili, e quelli da' quali si fanno gli altri navigabili, e tutta l'utilità che perviene dal decorso di essi. I porti: i ripatichi: i vectigali: le monete: le multe: i beni vacanti: le pene: gli angarj: i parangarj: le prestazioni di navi e di carri: le estraordinarie collette: le miniere d'argento: le saline: le miniere, dalle quali si cava la pece, poichè anche, secondo scrive Plinio[29], si trova la pece fossile: le pescagioni: le caccie: i tesori: il crear Magistrati per amministrar giustizia, ed altre ragioni sue fiscali, le quali non nominò tutte in questa sua Costituzione, ma solamente quelle, ch'erano le più principali, e le quali in Italia per lungo tempo erano già andate in disusanza.

      Dal che ne nacque, che quel che Federico fece nelle città sue d'Italia, vollero da poi imitare gli altri Principi ne' loro Reami, ed in alcune cose usarono maggior rigore, come fece il nostro Guglielmo, il quale non bastandogli ciò che Federico avea stabilito de' tesori, conforme alla Costituzione d'Adriano,


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<p>21</p>

. L. de precario, D. ad L. R. de jactu.

<p>22</p>

. Ulp. l. Barbarius, D. de off. Praetor.

<p>23</p>

. L. bene a Zenone, C. de Quadrien. praescript. omnia Principis esse.

<p>24</p>

. Radevicus l. 2 de gest. Fed. c. 5. Cujac. lib. 1 de Feud. tit. 12. Alteserra lib. 3 cap. 14.

<p>25</p>

. Glos. in l. bene a Zenone, et in praefat. dig.

<p>26</p>

. Constit. hac edictali de pace tenenda, l. 5. Feud.

<p>27</p>

. Const. Fed. de Feud. non alien. lib. 5.

<p>28</p>

. Guntherus Abbas Uspergensis Radevicus 3 c. 41 et 4 c. 5.

<p>29</p>

. Plin. hist. lib. 16 cap. 12.