Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4 - Giannone Pietro


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fosse improvisamente avvenuta, l'avessero con lor lettere chiamato, che sarebbe di presente ritornato alla città con grosso stuolo d'armati. Or dimorando nelle sue terre il Bonello avvenne che un de' congiurati palesò il negozio ad un soldato suo amico, cercando di trarlo nella congiura, e 'l soldato avendo con molta diligenza raccolto il tutto gli rese grazie, e prese tempo a dargli risposta di quel, che avesse risoluto di fare insino al seguente giorno; indi se ne andò a ritrovar un altro suo amico, che era uno de' congiurati, al quale con indignazione comunicò tal fatto, con risoluzione di doverlo rivelare al Re per impedire tanta scelleraggine, che avrebbe portata grand'infamia a' Siciliani, dove in sì fatta guisa facessero mal menare il lor Signore. Questi dissimulando il fatto, e mostrando anch'egli sdegnarsi di tal cosa, tosto andò a ritrovar il Conte Simone, e gli altri Capi del trattato, e gli riferì tutto quel che per poca accortezza de' compagni era avvenuto, con dirgli che deliberato avessero quella notte di quello che a fare aveano, perchè la mattina senza fallo Guglielmo avrebbe avuto contezza di tutto. Il perchè smarriti del vicin pericolo, conchiusero di porre prestamente ad esecuzione il negozio, non essendovi tempo di fare venire il Bonello. Avvisato dunque il custode delle carceri, che nel seguente giorno, già che non si potea attendere il prefisso tempo, avesse posti in libertà i prigioni, ebber da lui risposta essere all'ordine per eseguire il tutto nella terza ora del dì, mentre il Re fuori delle sue stanze in un luogo particolare, ove solea dare audienza, sarebbe stato trattando con l'Ammiraglio Arcidiacono di Catania degli affari del Regno, ed ivi senza tumulto ed impedimento alcuno si potea, o uccidere, o far prigione, come meglio avesser voluto; laonde con la certezza di tal fatto dettogli così fedelmente dal Gavarretto, rinfrancarono i congiurati gli animi già in parte smarriti, sì per l'assenza di Bonello e degli altri, che n'erano seco giti a Mistretto, come ancora perchè bisognava far frettolosamente quel che con maturo consiglio e con opportuno tempo avean conchiuso di fare.

      Or venuto il nuovo dì il Gavarretto nell'ora destinata eseguì con molta accortezza la bisogna a lui commessa, cavando di prigione Guglielmo Conte di Principato con tutti gli altri uomini nobili che colà erano, i quali avea prima proveduti d'armi, e gli condusse nel luogo ove introdotti avea di fuora i lor compagni, li quali postisi appresso al Conte Simone, ch'era lor guida, che per essere allevato colà dentro sapea tutte le vie dell'Ostello, giunsero ove il Re Guglielmo stava ragionando con Errico Aristippo. Ma il Re veggendo venire il Conte Simone suo fratello e Tancredi suo nipote, si sdegnò, che senza sua licenza gli venissero innanzi, maravigliandosi come le guardie gli avesser lasciati entrare; pure come s'avvide ch'eran seguiti da grossa schiera d'armati, immaginandosi quel che veniano per fare, spaventato dal timor della morte si volle porre in fuga, ma sovraggiunto prestamente da molti di essi, rimase preso, e mentre gli era da loro con acerbe parole rimproverata la sua tirannide, vedendo venirsi sopra con le spade sfoderate Guglielmo Conte di Lesina, e Roberto Bovense uomini feroci e crudeli, pregò coloro che lo tenevano, che non l'avessero fatto uccidere, ch'egli avrebbe incontanente lasciato il Regno; tenendo per sicuro, che i congiurati gli volesser torre la vita; la qual cosa gli sarebbe agevolmente avvenuta, se Riccardo Mandra ponendosi in mezzo non gli avesse raffrenati, rimanendo per sua opera in vita il Re, il quale fu posto strettamente in prigione; ad avendo fatta anche in una camera guardare onestamente la Reina ed i figliuoli, si posero a ricercare i luoghi più riposti del palagio, ponendo il tutto a ruba, e predando le più pregiate gemme e le più preziose suppellettili che v'erano, non risparmiando nè anche l'onore delle vaghe damigelle della Regina[42]. Uccisero parimente tutti gli Eunuchi, che loro alle mani capitarono, ed usciti poscia nella città saccheggiarono molte ricche merci de' Saraceni, che teneano nelle lor botteghe o nella real dogana. Dopo i quali avvenimenti il Conte Simone, ed i suoi seguaci presero Ruggiero Duca di Puglia primogenito di Guglielmo, e cavandolo fuori del palagio il ferono cavalcar per Palermo sopra un bianco destriere, e mostrandolo al Popolo, il gridarono con allegre voci Re, essendo lietamente ricevuto da tutti per la memoria dell'avolo Ruggiero, e sovrastettero a coronarlo solennemente, sin che giungesse il Bonello, che a momenti s'aspettava. Gualtieri Arcidiacono di Ceffalù maestro del fanciullo, biasimando in questo mentre la crudeltà e le altre malvagità di Guglielmo pubblicamente, e convocando le brigate dicea loro, che giurassero d'ubbidire al Principe Simone, che così esso il chiamava, il quale avrebbe retto e governato il Regno insino che il fanciullo Re fosse giunto all'età idonea; per opera del qual Gualtieri fecero molti tal giuramento, ed altri negarono costantemente di farlo, benchè niuno avesse ardimento d'opporsi a' congiurati; perciocchè de' Vescovi, ch'erano allora nella città, ed avean molta autorità nel governo del Reame, alcuni lodavano tai cose apertamente, ed altri l'approvavano col tacere, stando cheta la plebe per intendere, che il tutto era avvenuto per opra del Bonello. Ma tardando esso a venire, si partirono di Palermo Guglielmo Conte di Principato, e Tancredi Conte di Lecce, e ne girono a Mistretto per condurlo nella città con suoi soldati armati, temendo non alla fine, come appunto avvenne, cominciasse il Popolo palermitano a favoreggiare il Re, e lo riponesse in libertà.

      Essendo intanto passati tre giorni in cotai pratiche, e che il Re dimorava in prigione, non comparendo altrimenti il Bonello, cominciarono Romualdo Arcivescovo di Salerno, Roberto Arcivescovo di Messina, Riccardo Eletto di Siracusa e Giustino Vescovo di Mazzara a persuadere a' Parlamenti, che facessero sprigionar il Re, dicendo ch'era laida e sconvenevol cosa a soffrire, che il lor Signore fosse così obbrobriosamente tenuto in prigione, e che i tesori acquistati con molta fatica per la diligenza d'ottimo Re, e bisognevoli per la difesa del Reame fossero in sì fatta guisa rubati e ridotti a nulla[43]. Queste parole dette, ed ascoltate primieramente fra pochi, si sparsero poscia tantosto fra tutto il volgo; onde come fossero stati a ciò chiamati da divino oracolo, o se seguitassero un fortissimo capitano, armatisi tutti, assediarono il palagio, richiedendo con fiere voci a coloro ch'eran colà entro, che avessero prestamente liberato il Re. I congiurati attoniti e smarriti per sì subita mutazione, cominciarono da prima valorosamente a difendersi, ma conoscendo tutto esser vano, non essendo bastevole il lor numero a difendersi contro moltitudine sì adirata, costretti da dura necessità ne girono al Re, e trattolo di prigione patteggiarono con lui, che gli avesse lasciati gir via liberi, ed indi il condussero ad un verone a vista di tutti. Ma veduto i Palermitani in tale stato il loro Re, vennero in maggior rabbia, volendo in tutti i modi gittar le porte a terra, ed entrar a prender vendetta de' congiurati, i quali vi sarebbero senza fallo mal capitati, se Guglielmo facendo lor cenno con mano, non gli avesse racchetati, dicendogli aver bastevolmente fatto conoscere la lor fedeltà, con averlo fatto porre in libertà, e che riponessero l'armi, e ne lasciassero gir via liberi coloro, che l'avean preso, avendo così loro promesso: alle cui parole ubbidendo, tutti andarono via, lasciando libera l'uscita del castello, ed i congiurati uscendo di là, tantosto si partirono da Palermo, e ritiraronsi a Cacabo.

      CAPITOLO III

      Il Re Guglielmo posto in libertà ripiglia il governo del Regno: morte di Ruggiero suo primogenito; e nuovi tumulti in Palermo ed in Puglia, che finalmente si quietano per la morte del Bonello e degli altri congiurati

      Apportò questo avvenimento in breve tempo asprissime calamità alla Sicilia; perciocchè non solo molti nobilissimi Baroni per tal cagione mal capitarono, e ne andarono a male buona parte de' tesori reali, ma ne morì parimente il Duca Ruggieri, che sin d'allora dava chiari segni d'aver a riuscir ottimo Principe, il quale mentre nel tumulto fatto dal Popolo con poco avvedimento sporgendo il capo in fuori d'una finestra guardava coloro, che assediavano il palazzo, fu ferito d'una saetta tirata, siccome fu allora costante fama, da Dario portiero del Re; la ferita però non sarebbe stata bastevole a farlo morire, se il padre Guglielmo veggendoselo gir lieto dinanzi dopo esser stato posto in libertà, sdegnato, che l'avesser anteposto a lui, non badando, che il figliuolo non vi aveva colpa alcuna, non l'avesse sconciamente nel petto d'un fiero calcio percosso; onde raccontando Ruggiero quel che gli era col Re avvenuto alla Regina sua madre, non guari da poi uscì di vita.

      Ravveduto Guglielmo della vergogna del misfatto, e degli altri mali che patiti avea, dimenticatosi d'esser Principe, e deposta la veste reale vilmente piangendo traea dolorosi guai, ed uscito quasi di se stesso non faceva, che dolersi amaramente, e con le porte aperte a chiunque entrar volesse, raccontava la sua sciagura; onde traeva lagrime eziandio da' suoi nemici medesimi. Ma alla fine avvertito da' famigliari e da' molti Prelati, ch'eran venuti a consolarlo, fece un giorno convocar il Popolo nella Corte del suo palazzo ove egli disceso, rese primieramente


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<p>42</p>

. Ugo Falcand.

<p>43</p>

. Ugo Falcand. Indignum esse, satisque miserabile, Regem a paucis praedonibus turpiter captum, in carcere detineri, neque Populum id dobere pati diutius.