Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5 - Giannone Pietro


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Magonza perchè dichiarasse pubblicamente scomunicato Corradino, co' suoi, che affettava invadere il Regno di Sicilia, che si legge presso Lunig[130].).

      Gli spedì per tanto in aprile di quest'istesso anno 1267 una terribile citazione, colla quale se gli prescriveva certo tempo a dover comparire avanti di lui, se avesse pretensione alcuna sopra i Reami di Puglia e di Sicilia, e che non cercasse di farsi egli stesso giustizia colle armi, ma proponesse sue ragioni avanti la Sede Appostolica, che glie la avrebbe renduta; altrimente non comparendo, avrebbe contro di lui proferita la sentenza. Corradino non comparve già, ma proseguì armato il suo cammino; ed egli nella Cattedral Chiesa di Viterbo a' 28 aprile alla presenza di tutto il Popolo pronunziò la sentenza. Da poi invitò Carlo a venir a Viterbo, dove s'abboccarono insieme, e lo fece Governadore di Toscana; e poichè l'Imperio d'Occidente vacava, lo creò egli Paciero, ovvero Vicario Generale dell'Imperio. All'incontro a' 29 giugno nella festa degli Appostoli Pietro e Paolo, con grande apparato e celebrità scomunicò pubblicamente Corradino, e lo dichiarò nemico e ribelle della romana Chiesa, e decaduto da tutte le sue pretensioni[131]. Scrisse ancora a Fr. Guglielmo di Turingia Domenicano, che scomunicasse tutti coloro che non volessero prestar ubbidienza a Carlo; ed all'incontro ricolmasse di benedizioni ed indulgenze quelli, che per lui prendessero l'arme contro Corradino. E dopo tutto questo, essendosi reso certo, che erasi confederato con D. Errico di Castiglia, lo scomunica di nuovo la seconda volta. Ma Corradino poco curando di questi fulmini, non s'atterrisce, e fermo nel proponimento bada unicamente ad unir gente, e denaro per l'impresa[132].

      Dall'altra parte Corrado Capece, e D. Federico fratello di Errico, ch'erano ancora a Tunisi, seguendo le buone disposizioni di quest'impresa, partirono da Tunisi con 200 Spagnuoli, ed altrettanti Tedeschi, e 400 Turchi, che teneva a' suoi stipendj quel Re, e si portarono in Sicilia. Corrado giunto a Schiacca, pubblicandosi Vicario di Corradino, sparge lettere per tutta quell'Isola, sollevando que' Popoli a ricevere il loro Re Corradino, che con numeroso esercito veniva. Le lettere erano dettate in questo tenore: Ecce Rex noster cito veniet in celebri, etc. e sono rapportate da Agostino Inveges. Le quali furono cotanto efficaci, che in brieve, avvalorate dal coraggio di Capece, quasi tutta la Sicilia alzò le bandiere di Corradino, tanto, che Fulcone Vicario in quell'Isola per Re Carlo restò sorpreso, e volendo colle armi frenar la sollevazione, furono le sue truppe rotte, ed egli obbligato colle sue genti a mettersi in fuga. E qui terminando l'Anonimo la sua Cronaca, si ricorrerà ora al Villani, ed agli Scrittori non meno diligenti che fedeli rapportatori de' successi di questi tempi.

      Papa Clemente avendo nel nuovo anno 1298 intesa la rotta di Fulcone in Sicilia, bandì la Crociata, e scomunicò tutti coloro, che assalivano la Sicilia di qua e di là dal Faro. A Corradino mandò nuovamente suoi Legati, perchè tosto uscisse d'Italia. Questi non ubbidendo, lo priva del Regno di Gerusalemme, lo dichiara inabile all'Imperio e ad ogni altro Regno. Scomunica di nuovo tutti i Popoli, le città e tutte le terre, che 'l favorissero. Fulminò anche scomunica contro D. Errico, e lo priva della dignità Senatoria, conferendola al Re Carlo per dieci anni.

      Ma Corradino, niente di ciò curandosi, prosiegue il suo viaggio, e giunto a Roma, fu ricevuto in Campidoglio dal Senatore Errico e da' Romani con gran pompa ed allegrezze a guisa d'Imperadore; ed ivi ragunata molta gente e denaro, unito con D. Errico e colle sue truppe, inteso ancora i moti delle città e Baroni del Regno, si partì da Roma a' 10 d'Agosto con D. Errico e i suoi Baroni, e con molti Romani, nè volle far la via di Campagna, sapendo che il passo di Cepperano era ben guardato, ma prese la via delle montagne tra Abruzzo e Campagna, conducendo il suo esercito per luoghi non guardati e freschi, abbondanti di carni e di strame, e d'acque fresche, che fu a' Tedeschi impazienti del caldo di grandissimo ristoro, e finalmente nel piano di Tagliacozzo collocò il suo esercito.

      Il Re Carlo dall'altra parte, avendo ordinato a Ruggiero Sanseverino, che con buon numero di altri Baroni suoi partigiani tenessero a freno i sollevati; egli con tutte le sue forze cavalcò da Capua per andare ad opporsi a Corradino; ma accadde, che in quelli dì capitò in Napoli Alardo di S. Valtri, Barone nobilissimo Franzese, che veniva d'Asia, dove con somma sua gloria avea per venti anni continui militato contro Infedeli, ed ora già fatto vecchio ritornava in Francia per morire nella sua patria. Costui non ritrovando il Re in Napoli, andò a ritrovarlo a Capua, dove era coll'esercito: Re Carlo, quando il vide, si rallegrò molto, e subito disegnò di valersi della virtù di tal uomo e del suo consiglio, e lo pregò che volesse fermarsi ad ajutarlo in sì gran bisogno: e bench'egli si scusasse, che per la vecchiezza avea lasciato l'esercizio delle armi, e s'era ritirato ad una vita cristiana, e che non conveniva, che avendo spesa la gioventù in combattere con Infedeli, alla vecchiezza avesse da macchiarsi del sangue de' Cristiani: nulladimanco avendogli Carlo dato a sentire, che militando contro Corradino, pure militava contro gl'Infedeli, essendo ribelle del Papa, scomunicato, e fuori della Chiesa, oltre che il Re di Francia l'avrebbe sommamente gradito; tanto fece, fin che lo strinse a restare; e sentendo che Corradino era alloggiato nel piano di Tagliacozzo, volle che l'esercito di Carlo da lui guidato s'accampasse forse due miglia lontano da quello: da poi con pochi cavalli salito in un poggio, e considerato bene il campo de' nemici, s'avvide l'esercito suo esser di numero molto inferiore di quello di Corradino, e perciò dover sperarsi più nella prudenza ed astuzie militari, che nella forza; ed avendo appiattato il terzo squadrone dietro ad una valle, fece presentare la battaglia al nemico, il quale avidamente la ricevè, sdegnato dall'ardire dei Franzesi, che con tanto disvantaggio di numero venivano a far giornata. Si attaccò il fatto d'arme, ed ancor che i Franzesi con due soli squadroni valorosamente sostenessero l'impeto de' nemici, a lungo andare bisognò che cedessero, facendosi una strage crudele de' Franzesi. Re Carlo che con Alardo sopra il Poggio vedea la ruina de' suoi, ardeva di desiderio d'andare a soccorrergli, ma fu ritenuto da Alardo, e pregato che aspettasse il fine della vittoria, la quale avea da nascere dalla rotta de' suoi, siccome avvenne; poichè cominciando i Franzesi a gettar l'arme, a rendersi prigioni, e gli altri a fuggire, le genti di Corradino, credendosi aver avuta intera vittoria, si dispersero, parte si misero ad inseguire i fuggitivi, altri attendevano a spogliare i Franzesi morti ed a seguitare i cavalli degli uccisi, ed altri a menare i prigioni. Allora Alardo volto al Re Carlo, disse: Andiamo, Sire, che la vittoria è nostra; e discendendo al piano con lo terzo squadrone, che era rimaso nella Valle, diedero con grand'impeto sopra l'esercito nemico in varie parti diviso, ed agevolmente lo posero in rotta, e spinti innanzi, trovarono, che Corradino e 'l Duca d'Austria, e la maggior parte de' Signori ch'erano con lui, certi della vittoria, s'aveano levati gli elmi, e stavano oppressi dalla stanchezza e dal caldo; e non avendo nè tempo, nè vigore da riarmarsi, si diedero a fuggire, e nella fuga ne fu gran parte uccisa.

      Corradino ed il Duca d'Austria, col Conte Gualvano ed il Conte Girardo da Pisa pigliaron la via della marina di Roma, con intenzione d'imbarcarsi là, ed andare a Pisa; e camminando di giorno e di notte, vestiti in abito di contadini, arrivarono in Astura, terra in quel tempo de' Frangipani nobili Romani: dove con acerbo lor destino a caso scoverti, furono da uno di que' Signori fatti prigioni, e di là a poco condotti e consignati a Re Carlo, che gli mandò prigioni in Napoli, e gradì questo dono, come preziosissimo, donando a quel Signore la Pelosa ed alcune altre castella in Valle Beneventana, e volle, che si fermasse in Napoli: da cui discesero i Frangipani che goderono gli onori lungamente del Seggio di Portanova di Napoli.

      D. Errico di Castiglia, mentre fuggiva, fu incontrato dalle genti di Carlo, i quali ruppero le sue truppe, e ne fecero molti prigioni; ed egli si salvò fuggendo per beneficio della notte. Alcuni narrano, che si ricovrò in Monte Cassino, ove da quell'Abate, che credette farsi un gran merito col Papa, fu fatto prigione, e fattosi assicurare di risparmiargli la vita, lo mandò in dono a Papa Clemente, il quale tosto l'inviò al Re Carlo, che insieme con gli altri lo fece condurre prigioniero in Napoli. Altri dicono, che fuggì verso Rieti, e che pure un Abate d'un altro monastero, dove capitò, fattolo prigione, lo mandò al Papa.

      Soli scamparono dall'ira del Re, Corrado Capece, e Federico fratello d'Errico; i quali trovandosi in Sicilia ebbero modo d'imbarcarsi sopra alcune galee dei Pisani, ed a Pisa ne andarono.

      In memoria di questa rimarchevole vittoria, per cui, se diam fede al Fazzello, fu sparso il sangue di dodicimila Tedeschi, fece Re Carlo edificare una Badia per li Monaci di S. BenedettoСкачать книгу


<p>130</p>

Cod. Ital. Diplom. tom. 2 pag. 971.

<p>131</p>

Inveges Annal. Paler. tom. 3.

<p>132</p>

Anonym.