Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 9. Edward Gibbon

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 9 - Edward Gibbon


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46: l. III, c. 16), Sozomeno (l. V, c. 18; l. VI, c. 25-27), Teodoreto (l. V, 3, 10, 11 ), Tillemont (Mém. eccl. tom. VII, p. 602-638, not. p. 789-794, in 4. Venise 1732). I Santi che vissero ai suoi giorni parlavano sempre del vescovo di Laodicea come di un amico e d'un fratello; lo stile degli storici più recenti ha l'impronta dell'acrimonia e dell'inimicizia. Filostorgio lo paragona (l. VIII, c. 11-15) a S. Basilio e a S. Gregorio.

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Due prelati dell'Oriente, Gregorio Abulfaragio, primo Giacobita di quella parte del Mondo, ed Elia, metropolitano di Damasco, addetto alla Setta di Nestorio (Vedi Asseman, Bibl. orient., t. II, p. 291; t. III, p. 514, ec.) confessano, che i Melchiti, i Giacobiti, i Nestoriani ec. andavan d'accordo sulla dottrina, e non differivan che sull'espressione. Basnagio, Le Clerc, Beausobre, La Croze, Mosemio e Jablonski sono inclinati a questa caritatevole opinione, ma lo zelo di Petavio è veemente ed adiroso, e appena Dupin lascia traspirare la sua moderazione.

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La Croze (Hist. du Christianisme des Indes, t. I. p. 24) confessa la poca stima che fa dell'ingegno e degli scritti di S. Cirillo. «Fra tutte l'opere degli antichi, egli dice, poche se ne leggono di meno profittevoli». E Dupin (Bibl. eccl., t. IV, p. 42-52) c'insegna a sprezzarle, quantunque ne parli con rispetto.

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Chi gli fa questo rimbrotto è Isidoro di Pelusio (l. I, epist. 25, p. 8). Non essendo troppo autentica la lettera, Tillemont, men sincero dei Bollandisti, affetta il dubbio, se questo Cirillo fosse il nipote di Teofilo (Mémoires ecclés., t. XIV, p. 268).

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Socrate (lib. VII, 13) chiama un grammatico διαπυρος δε ακρατης του επισκοπου κυριλλου καθεστως, και περι το ακροτους εν ταις διοδασκαλιαις αυτου εγειρειν ην σπουδαιοτατος, un uditore del vescovo Cirillo che assisteva con fervore alle sue prediche, ed era tutto intento a suscitargli applausi.

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Socrate (l. VII, c. 7) e Renaudot (Hist. patriarch. Alexand., p. 106-108) parlano della gioventù di S. Cirillo e della sua nomina alla sede d'Alessandria. L'abate Renaudot trasse i suoi materiali dalla Storia araba di Severo, vescovo di Ermopoli Magna od Ashmunein, nel secolo decimo, autore cui non si può mai prestar fede, quando non abbiano i fatti in se stessi il carattere dell'evidenza.

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I Parabolani d'Alessandria erano una Compagnia di carità, fondata nel tempo della peste sotto Gallieno, per visitare i malati e sotterrare i morti. A poco a poco si moltiplicarono; fecero abuso e traffico dei loro privilegi. L'insolenza da essi manifestata sotto il pontificato di S. Cirillo determinò l'imperatore a privare il patriarca del diritto di eleggerli, e a restringerne il numero a cinque o seicento; ma sì fatte restrizioni furono passaggere ed inefficaci (Vedi il Cod. Teodos., l. XVI, t. II; e Tillemont, Mém. ecclés., t. XIV, p. 276-278.)

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S. Cirillo non può dirsi esente de' difetti come scrittore, e come Patriarca d'Alessandria; aveva uno spirito così sottile nelle controversie, ed era tanto facondo, che spesse volte non s'intende ciò ch'egli scrisse. Non può negarsi essere egli stato altiero, ed impetuoso specialmente nella sua controversia con Nestorio Patriarca eretico di Costantinopoli, e Capo dei Vescovi, preti, e secolari detti da lui Nestoriani, de' quali un picciolo resto trovasi ancora in qualche provincia d'Europa, ed in qualche borgata della Persia, e dell'Armenia, malgrado le persecuzioni de' Cattolici; ma S. Cirillo sosteneva la retta dottrina intorno a Gesù Cristo; perciò il suo procedere per giungere al suo fine, che il Concilio d'Efeso I condannasse Nestorio, che negava la Divinità di Cristo colla distinzione delle persone divina ed umana, asserendo che Maria aveva partorito Cristo Uomo, e non Cristo Dio, cioè la persona umana, e non la persona divina, devesi chiamare non ambizioso, ed impetuoso, ma zelante dell'Ortodossia, secondo il sano linguaggio de' teologi; altrimenti la maggior parte dei sostenitori di essa diventano uomini impetuosi, ed ambiziosi. Non può negarsi aver S. Cirillo posto mano francamente nelle cose civili, e governative d'Alessandria, onde ne vennero i forti risentimenti di Oreste governatore per l'Imperatore romano, ed avvenne il fatto terribile dei Monaci di Nitria; ma non consta che la morte lagrimevole, d'Ipazia, tanto celebrata dagli storici per il suo sapere, ed accusata di avere attraversato la riconciliazione fra Oreste, e Cirillo, possa a questo essere attribuita: quel fatto orribile, che tolse dalla cattedra una dottissima donna, è avvenuto per la furia dei due partiti di Oreste, e di Cirillo, che non avrà neppur esso potuto impedire il male. Bisogna dimenticarsi quei difetti, che poteva avere Cirillo a cagione della sua animosa difesa della Ortodossia, e devesi considerare da ogni buon credente, per essere stato fatto Santo dalla chiesa, pienamente da ogni colpa giustificato. (Nota di N. N.)

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Vedi intorno a Teone, e sua figlia Ipazia, il Fabricio (Bibl., t. VIII, p. 210, 211). Il suo articolo nel Lessico di Suida è assai curioso e originale. Esichio (Meursii opera, t. VII. p. 295, 296) nota che quella figlia fu perseguitata δια την υπερβαλλουσαν σοφιαν, per l'eminente sapienza: ed un epigramma dell'antologia greca (l. I, c. 76, p. 159, edit. Brodaei) ne vanta il sapere e l'eloquenza. Il vescovo filosofo Sinesio, suo amico e discepolo, ne parla in modo onorevole (Epist. 10, 15, 16, 33, 80, 124, 135, 153).

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Οςρακοις ανειλον, και μεληδον διασωπασαντες, etc. ne straziarono le carni con cocci d'ostriche, e scerpandone a brani le membra, ec. Le scaglie d'ostriche erano sparse abbondevolmente sulle rive del mare rimpetto a Cesarea. Piacemi adunque di attenermi qui al senso letterale, senza rifiutar la version metaforica di tegolae, tegole, seguìta dal Sig. de Valois; non so, se Ipazia fosse ancor viva, ed è probabile che gli assassini non si pigliassero pensiero di questo.

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Da Socrate (l. VII, c. 13, 14, 15) son raccontate sì belle geste di S. Cirillo, ed è obbligato il fanatismo, tuttochè con ripugnanza, a copiare le parole d'uno storico, il quale chiama freddamente i sicari d'Ipazia ανδρες το φρονημα ενθερμοι uomini caldi di testa. Noto con piacere, che quel nome tanto vilipeso fa arrossire lo stesso Baronio (A. D. 415, n. 48).

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Quand'anche per supposizione avesse avuto colpa S. Cirillo della morte orribile della povera Ipazia, non essendo la religione cristiana per sua essenza sanguinaria, come evidentemente consta dall'Evangelo, non le verrebbe alcuna macchia per la colpa di S. Cirillo, e se non è provato, che questi ne abbia avuto, e quindi fu egli fatto Santo, molto meno può dirsi, che la religione sia macchiata pel massacro d'Ipazia. (Nota di N. N.)

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Non volle ascoltare le preghiere d'Attico di Costantinopoli, e d'Isidoro di Pelusio; e se si crede a Niceforo (l. XIV c. 18) cedette soltanto all'interposizion della Vergine. Negli ultimi anni per altro andava pur susurrando che Gian Grisostomo era stato giustamente condannato (Tillemont, Mém. ecclés. t. XIV, p. 278-282; Baronio, Annal. eccles. A. D. 412, n. 46-64).

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Vedi le particolarità intorno ai loro caratteri nella Storia di Socrate (l. VII, c. 25-28), e intorno alla loro autorità e alle pretensioni, nella voluminosa compilazione del Tomassino (Discipl. de l'Eglise, t. I, p. 80-91)

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Racconta Socrate la Storia del suo avvenimento alla sede episcopale di Costantinopoli, e ne descrive le azioni (l. VII, c. 29-31), e sembra che Marcellino gli adatti le parole di Sallustio, loquentiae satis, sapientiae parum.

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Cod. Theod., l. XVI, tit. 5, leg. 65, cogli schiarimenti del Baronio (A. D. 428, n. 25, etc.); Gotofredo (ad locum), e Pagi (Critica, t. II, p. 208).

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S. Isidoro di Pelusio (l. IV, epist. 57). Le sue espressioni sono energiche o scandalose: τι θανμαζεις ει και νυν περι πραγμα


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