Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 9. Edward Gibbon

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 9 - Edward Gibbon


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I, anno 431, non essere in Gesù Cristo che una persona contro Nestorio Patriarca di Costantinopoli, e contra i Vescovi, e preti d'Oriente suoi compagni. Sosteneva egli l'Eretico, essere il Verbo (che vuol dire l'Intelligenza, o parola di Dio) e l'Uomo due persone, e quindi non poter dirsi che Maria fosse Madre di Dio, ma bensì soltanto Madre di Cristo: asseriva, che la Natura divina si è unita colla umana come un uomo che fa un'opera, è unito all'istromento di cui si serve per farla; che l'uomo a cui si unì il Verbo è un tempio nel quale abita il Verbo, il quale lo dirige, e lo anima, e non fa che un tutto con lui, e che questa era la sola unione possibile tra la Natura umana e la divina; non ammetteva che un'unione morale fra il Verbo, e la natura umana; asseriva non potersi ammettere tra la natura umana e la divina unione tale, che rendendo la Divinità soggetta alle passioni, e alle debolezze dell'umanità formi in Gesù Cristo una sola persona; negava in somma l'unione ipostatica del Verbo colla umana natura ossia l'Incarnazione, e diceva essere due persone in Gesù Cristo: soggiungeva che la frase Madre di Dio era un ostacolo alla conversione dei Gentili: imperciocchè, diceva, come si potranno impugnare le loro Divinità quando si ammetta un Dio ch'è nato, un Dio che ha sofferto, un Dio ch'è morto? L'errore di Nestorio, il quale non supponeva, che un'unione morale tra la Natura divina ed umana, asserendo essere due persone in Gesù Cristo, distruggeva tutta l'economia dalla religione cristiana, poichè egli è evidente, che in tal caso ne seguirebbe, che Gesù Cristo nostro Mediatore, e Redentore, non fosse che un semplice uomo, lo che distrugge il fondamento della religione cristiana. Il dogma dell'unione ipostatica vale a dire dell'Incarnazione, fu spiegato, e determinato dal Concilio generale III e d'Efeso I presieduto da S. Cirillo Patriarca d'Alessandria: cotal dogma non è una speculazione inutile come pretendono i liberi pensatori; serve a darci l'esempio di tutte le virtù, ad istruirci con autorità, ed a prevenire infiniti abusi, ne' quali sarebbero caduti gli uomini, quando non avessero avuto per modello, e per mediatore, fra Dio ed essi, che un semplice uomo. In questa vista i S. S. Padri hanno mirato il dogma dell'Incarnazione: ma non è questo il luogo di trattare a lungo di ciò (Vedi S. Agostino De Doctr. Christ. S. Greg. Moral. l. 6, 7). Era stato deciso, secondo gli scritti de' S. S. Padri, dal Concilio generale IV di Calcedonia l'anno 451, che in Gesù Cristo figlio di Dio perfetto nella sua Divinità, e perfetto nella sua Umanità, consustanziale al Padre secondo la Divinità, ed a noi secondo l'umanità, vi furono due Nature unite senza cangiamento, senza separazione, di modo, che le proprietà delle due Nature sussistono, e convengono ad una medesima sola persona, che non è in niun modo divisa in due, ma che è un solo Gesù Cristo figlio di Dio come era stato espresso nel Credo scritto nel Concilio generale I di Nicea, l'anno 325, e ciò contro il Monaco eretico Eutiche, Capo degli Eutichiani, il quale per fuggire l'errore del Nestorianismo delle due persone in Gesù Cristo figlio di Dio, perchè vi sono due Nature, sosteneva che le due Nature fossero talmente unite da non formarne che una sola, e confuse le due Nature in una sola spiegando ciò col dire, che la Natura umana era stata assorbita dalla divina, come una gocciola dal Mare; e così spogliava Gesù Cristo della qualità di Mediatore, e distruggeva i patimenti, la morte e la resurrezione, mentre tutte queste cose s'appartengono alla natura umana, ed alla esistenza di un'anima umana, e di un corpo umano uniti alla Persona del Verbo, e non appartengono in niun modo al solo Verbo. Se dunque era stato prima deciso dal Concilio generale IV di Calcedonia, nell'anno 451, esservi in Gesù Cristo due Nature unite, ma non confuse, ne veniva di conseguenza ch'egli dovesse avere due volontà siccome appunto decise il Concilio generale IV contro i Monoteliti, che sostenevano aver Cristo una sola volontà. Serva questa nota d'istruzione dogmatica a' lettori per que' luoghi tutti ove l'Autore fa parola della Natura, e della persona di Gesù Cristo. (Nota di N. N.)

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L'istoria del Monotelismo sta negli Atti dei Concilii di Roma (t. VII, pag. 77-395, 601-608), e di Costantinopoli (p. 609-1429). Baronio ha tratto alcuni documenti originali dalla Biblioteca vaticana, e le accurate ricerche del Pagi hanno retificata la sua cronologia. Dupin istesso (Bibliot. ecclés., t. VI, pag. 57-71), e Basnagio (Hist. de l'Eglise, t. I, p. 541-555) ne danno un compendio assai pregevole.

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Nel Concilio Lateranense nel 679, Wilfrido vescovo Anglo-sassone sottoscrisse pro omni Aquilonati parte Britanniae et Hiberniae, quae ab Anglorum et Brittonum, necnon Scotorum et Pictorum gentibus colebantur (Eddio, in vita S. Wifrido, c. 31 apud Pagi, Critica, t. III, p. 88). Teodoro (magnae insulae Britanniae archiepiscopus et philosophus) fu aspettato a Roma lungamente (Concil. tom. VII, p. 714); ma si contentò di tenere (A. D. 680) il suo Sinodo provinciale in Hatfield, ove ricevè i decreti di Papa Martino e del primo Concilio di Laterano contro i Monoteliti (Concil. t. VII, pag. 597 etc.), Teodoro, monaco di Tarso in Cilicia, era stato nominato da Papa Vitaliano primate della Brettagna (A. D. 668); Vedi Baronio e Pagi che ne lodano il suo sapere e la pietà, ma diffidano del suo carattere nazionale; ne quid contrarium veritatis fidei, graecorum more in Ecclesiam cui praeesset, introduceret. Il monaco di Cilicia fu mandato da Roma a Cantorbery accompagnato da una guida affricana (Beda, Hist. eccles. Anglorum, l. IV, c. 1). Egli aderì alla Dottrina romana; e lo stesso domma dell'Incarnazione si è trasmesso senza cangiamento da Teodoro ai primati dei tempi moderni, che dottati di più sodo giudizio, s'imbarazzano, cred'io, rare volte dei labirinti di quel astratto Mistero.

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Pare che questo nome ignoto, sino al decimo secolo, sia di origine siriaca. Fu inventato dai Giacobiti, e con ardore accolto dai Nestoriani e dai Musulmani; ma i Cattolici lo accettarono senza rossore, e sovente si trova negli Annali di Eutichio (Assemani, Biblioth. orient. t. II, p. 507, etc. t. III, pag. 355; Renaudot Hist. patriar. Alexan. pag. 119). Ημεις δουλοι του βασιλεως, noi siam sudditi del re, fu l'acclamazion dei Padri di Costantinopoli (Concil. t. VII, p. 765).

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Il siriaco tenuto per lingua primitiva dagli originarii della Siria avea tre dialetti: 1. l'arameo, che si parlava in Edessa, e nelle città della Mesopotamia; 2. il palestino, usato in Gerusalemme, in Damasco, e nel resto della Siria; 3. il nabateo, idioma rustico delle montagne dell'Assiria e de' villaggi dell'Irak (Gregor. Abulfarag. Hist. dynast., pag. 11). Vedi sul siriaco, Ebed-Gesù (Assemani, t. III, pag. 326, etc.), il quale solamente per animo preoccupato ha potuto preferirlo all'arabo.

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Io non velerò la mia ignoranza sotto i manti di Simone, di Walton, di Mill, di Wetstein, d'Assemani, di Lodolfo, o di La Croze da me diligentemente consultati. Pare 1. non esser certo, che noi ogni abbiamo nella primiera integrità versione veruna di quelle decantate dai Padri della Chiesa; 2. la version siriaca esser quella, che sembra aver più titoli d'autenticità, e che per confession delle Sette d'Oriente è più antica del loro scisma.

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In ciò, che riguarda i Monofisiti e i Nestoriani io debbo moltissimo alla Bibliotheca orientalis Clementino-Vaticana di Giuseppe Simone Assemani. Questo dotto Maronita andò nel 1715, per ordine di Papa Clemente XI, a visitare i monasteri dell'Egitto e della Siria in cerca di MS. I quattro volumi in foglio da lui pubblicati a Roma nel 1719 non contengono che una parte dell'esecuzione del suo vasto disegno; ma forse è la più preziosa. Nato egli in Siria conosceva benissimo la letteratura siriaca, e si vede, che quantunque dependesse dalla Corte romana s'ingegna d'essere moderato e sincero.

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Vedi i Canoni arabi del Concilio di Nicea nella traduzione d'Abramo Ecchelense, n. 37, 38, 39, 40. Concil. t. II, p. 335, 336, ediz. di Venezia. Que' titoli, conosciuti di Canoni di Nicea e di Canoni arabi sono ambedue apocrifi. Il Concilio di Nicea non fece più di venti Canoni (Theod. Hist. eccles. l. I, c. 8); i settanta o ottanta che vi si aggiunsero, furono estratti dai Sinodi della Chiesa greca. L'edizione siriaca di Maruta non sussiste più (Assemani, Bibl. orient. t. I, p. 195, t. III, p. 74); e nella version araba havvi diverse alterazioni recenti. Questo codice per altro racchiude preziosi avanzi della disciplina ecclesiastica; ed essendo stimato da tutte le comunioni dell'Oriente, è probabile ch'ei sia stato finito prima dello scisma dei Nestoriani e dei Giacobiti (Fabric., Bibliot. graec.


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