Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 11. Edward Gibbon
persecuzione di Teodora, e la diffalta di Carbeas, valoroso Paoliziano che comandava le guardie del general d'Oriente. Il padre di questo Carbeas era stato impalato per ordine degl'inquisitori cattolici: onde la religione, o almen la natura, sembravano autorizzarlo a fuggir lunge da' suoi persecutori, e a voler farne vendetta. Per non dissimili motivi, cinquemila confratelli di Carbeas brandirono l'armi abbiurando ogni spezie di sommissione verso Roma, che chiamavano l'anticristiana; un emiro saracino condusse lo stesso Carbeas dinanzi al Califfo, e il Commendator de' credenti stese lo scettro proteggitore all'implacabile nemico de' Greci; il quale o costrusse, o affortificò nelle montagne situate fra Sivas e Trebisonda, la città di Tefrica29, abitata anche oggi giorno da un popolo feroce e sfrenato; e le colline di que' dintorni, coperte vidersi di fuggiaschi Paoliziani, che in allora si credettero lecito il conciliare l'uso delle armi coi precetti dell'Evangelo. Disastrata l'Asia per ben trent'anni dai flagelli delle guerre esterna ed interna, i discepoli di S. Paolo, si unirono nelle loro correrie a quelli di Maometto; onde tanti pacifici Cristiani, tanti vecchi padri che insieme alle giovinette loro figlie a crudele cattività tratti si videro, dovettero darne fatale merito alla intolleranza de' lor sovrani. Cresciuti a dismisura e i mali, e la vergogna de' Cristiani greci, il figlio di Teodora, il dissoluto Michele si trovò alla necessità di marciare in persona contra i Paoliziani, e sconfitto sotto le mura di Samosato, accadde il vedere l'Imperator de' Romani fuggitivo dinanzi a quegli eretici che la madre di esso al fuoco avea condannati. Comunque i Saracini combattessero coi Paoliziani, l'onore della vittoria fu aggiudicato a Carbeas, nelle cui mani caddero parecchi generali nemici, e più di cento tribuni; parte de' quali fece liberi per avarizia, e un'altra parte, secondando il suo fanatismo, a crudeli tormenti dannò. A Crisocario, successore di Carbeas, il valore e l'ambizione un più vasto campo di rapine e di vendette dischiusero30. Non mai disgiunto dai suoi fedeli confederati i Musulmani, penetrò nel centro dell'Asia, e rotte in più occasioni le truppe poste alle frontiere, e le guardie di palagio, rispose ai bandi di persecuzione promulgati contro di lui, saccheggiando Nicea e Nicomedia, Ancira ed Efeso; nè l'invocato Appostolo S. Giovanni impedì che la città e il sepolcro del Signore31 non fossero profanati. Convertita ad uso di scuderia la Cattedrale di Efeso, i Paoliziani fecero a prova coi Saracini nel mostrare avversione e dileggio alle Immagini, e alle reliquie. Non duole il vedere la ribellione trionfante sul dispotismo32 che disdegnò le querele di un popolo oppresso. Basilio il Macedone fu costretto ad implorare la pace, ad offrire riscatto pei prigionieri, ad usare i termini della moderazione, e della carità, nel pregar Crisocario a risparmiare i Cristiani suoi confratelli, e contentarsi di un sontuoso donativo in oro, argento, e drappi di seta. «Se l'Imperatore brama la pace, rispose questo audace fanatico, rinunzii all'Oriente, e sia pago di regnare in pace sull'Occidente: se a ciò non si presta, verrà balzato dal trono per la mano de' servi di Dio». Contro sua voglia, Basilio sospese ogni negoziazione, e accettata la disfida, condusse l'esercito nelle terre de' Paoliziani mettendole a fuoco e sangue. E per vero dire, finchè si stette nelle pianure, questi eretici soggiacquero ai medesimi mali che aveano fatto soffrire ai sudditi dell'Impero; ma quando l'Imperatore non potè più dubitare della forza di Tefrica, della moltitudine di que' Barbari, d'armi e d'ogni genere di munizioni fornitissimi, rinunziò con dolore ad una parte d'Impero, che non poteva più sostenere. Di ritorno a Costantinopoli, col fondar chiese e conventi, cercò assicurarsi la protezione di S. Michele arcangelo, e del Profeta Elia; nè passava giorno che ei non pregasse il cielo di vivere assai lungamente per trafiggere con tre freccie il capo d'un empio nemico. Fu esaudito anche al di là della espettazione: perchè dopo una correria, incominciata per vero con felici auspizj, Crisocario venne sorpreso ed ucciso nella sua tenda, e il capo di lui fu portato in trionfo a' piedi del trono. Ricevuto appena un sì gradito donativo, Basilio chiese il suo arco, e contro quella testa vibrò tre frecce, in mezzo agli applausi de' cortigiani, che la costui vittoria esaltavano. Con Crisocario si dileguò e perì la gloria dei Paoliziani. Onde nella seconda spedizione che Basilio mosse contra cotesti eretici, abbandonarono l'insuperabile loro Fortezza di Tefrica33; alcuni di essi implorando il perdono del vincitore, altri rifuggendosi agli estremi confini dell'Oriente. La ridetta città non fu d'allora in poi che un mucchio di rovine; ma lo spirito d'independenza si resse per più d'un secolo fra quelle montagne. I Settarj difesero la loro religione e la lor libertà, spesse volte invasero le romane frontiere, e si mantennero in lega co' nemici dell'Impero, e dell'Evangelo.
Costantino, che i partigiani delle Immagini soprannomarono Copronimo, condusse, verso la metà dell'ottavo secolo, le sue soldatesche in Armenia; e nella città di Melitene e di Teodosiopoli trovò molta mano di Paoliziani, seguaci di una dottrina poco diversa da quella ch'ei professava. Laonde rimane indeciso, se per punirli, o per conceder loro un distintivo d'imperiale favore, li trasportasse dalle rive dell'Eufrate a Costantinopoli e nella Tracia, migrazione che introdusse e diffuse la dottrina de' Paoliziani in Europa34. Se quelli fra essi che si stanziarono nella Metropoli non tardarono a confondersi e mansuefarsi col rimanente degli abitanti, gli altri si radicarono co' loro dogmi sui territorj della nuova lor migrazione. I Paoliziani della Tracia, fattisi forti contra le tempeste della persecuzione, apersero segreta corrispondenza coi lor fratelli di Armenia, e largheggiarono di soccorsi agli appostoli della Setta, i quali si condussero, e non indarno, a tentar la fede de' Bulgari, ancora mal salda35. Li crebbe di forza e di numero una poderosa colonia che Giovanni Zimiscè36, nel decimo secolo, dai colli Calibj alle valli del monte Emo fe' trasmigrare; poichè il clero d'Oriente che vedeva vani i suoi voti per una compiuta distruzione de' Manichei, supplicava almeno che costoro venissero allontanati. Il valoroso Zimiscè tenendo in pregio questa popolazione, le cui armi avea già sperimentate, comprese che non potea, senza proprio danno, lasciarla confinante coi Saracini alla medesima collegati, la che col farla cambiare in tale guisa di patria, o gli sarebbe stata utile contro i Barbari della Scizia, o questi Barbari finalmente l'avrebbero annichilata. Ei procurò nullameno di temperare l'asprezza d'un esiglio in terra lontana, concedendole tolleranza di religiose opinioni. Le ridette genti tenendo Filippopoli, la chiave della Tracia, ridussero in lor soggezione i Cattolici di quel paese, e coi migrati Giacobiti serbaronsi in lega. Occupata inoltre una linea di villaggi e castella nella Macedonia e nell'Epiro, trassero nella lor comunione, e sotto le lor bandiere arrolarono una mano di Bulgari ragguardevole. Fin tanto che le tenne in dovere la forza, e vennero non pertanto trattate con moderazione, le loro soldatesche negli eserciti dell'Impero si segnalarono: onde i pussillanimi Greci parlarono con maraviglia, e quasi in tuon di rimprovero del coraggio di questi cani, sempre ardentissimi per la guerra, e avidi d'umano sangue. Tal coraggio medesimo li rendea talvolta ostinati e arroganti, facili a lasciarsi condurre dal capriccio, o dal risentimento, intanto che i loro privilegi venivano di frequente infranti dalle pietose slealtà del clero e dell'imperiale Governo. Fervendo la guerra coi Normanni, duemila e cinquecento di questi Manichei, abbandonate le bandiere di Alessio Comneno37, cercarono di bel nuovo l'antica patria. Altamente sdegnatone l'Imperatore, dissimulò finchè gli venisse il destro della vendetta, poi chiamati ad amichevole parlamento i Capi di questa popolazione, nè sceverando i colpevoli dagli innocenti, la punì tutta quanta con prigionie, confiscazione di beni e battesimo. Questo principe, chiamato dalla devota sua figlia il tredicesimo Appostolo, concepì durante un intervallo di pace il pio divisamento di riconciliare i Manichei colla Chiesa e collo Stato, e posti i campi del verno a Filippopoli, trascorse giornate, e notti intere in teologiche controversie. Per dar forza alle sue ragioni, e vincere l'ostinatezza de' Settarj, compartì onori e ricompense ai più chiari fra suoi proseliti, e quanto ai convertiti di minore importanza assegnò ad essi una nuova città che circondò di giardini, e alla quale impose il proprio nome ornandola di privilegi; e con questa leggiadria li privò della rilevante Fortezza di Filippopoli. I recalcitranti poi vennero confinati nelle carceri, o banditi, e se non perderono la vita, il dovettero alla scaltrezza anzichè alla clemenza d'un Imperatore che avea fatto arder vivo, rimpetto al tempio di S. Sofia, un misero eretico, le cui parti nessuno assumeva38. Ma non andò guari che l'orgogliosa speranza di sradicare le opinioni pregiudicate di un popolo,
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Otter (
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Genesio nel tessere la storia di Crisocario (
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Συναπεμαθανθη πασα η’ ανθουσα της Τεφθιπης ευανδρια,
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Copronimo trapiantò i suoi συγγενεις,
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Pietro il Siciliano, dimorato nove mesi a Tefrica (A. D. 870) per negoziare il riscatto de' prigionieri (p. 764), fu istrutto di questa divisata missione; e ad impedire il trionfo dell'eresia, inviò la sua
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Zonara (t. II, l. XVII, pag. 209) e Anna Comnena (
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Anna Comnena racconta nell'Alessiade (l. V, p. 31; l. VI, p. 154-155; l. XIV, p. 450-457, colle osservaz. del Ducange) la condotta appostolica tenutasi dal padre suo rispetto ai Manichei, da essa chiamati abbominevoli eretici, che ella aveva in animo di confutare.
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Fra Basilio, capo de' Bogomili, Setta di gnostici che ben tosto disparve (Anna Comnena,