Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 11. Edward Gibbon

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 11 - Edward Gibbon


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umanità, e la Filosofia non può negare a questi intrepidi entusiasti,5556 un tributo di gratitudine.

      I. Eglino tolsero al gigantesco edifizio della superstizione57 molta parte di assurdità, incominciando dall'abuso delle Indulgenze, e venendo sino alla intercessione di Maria Vergine. Tante miriadi di frati e di monaci, alla libertà ed ai lavori della vita sociale restituirono; per opera dei riformatori, una immensa schiera di Santi, e d'Angeli, spezie di Divinità imperfette, e subalterne, spogliate vennero del lor potere temporale e ridotte a contentarsi dalla sola celeste beatitudine; sbandite le immagini e le reliquie di questi dai tempj, la credulità del popolo, più non si vide di miracoli e giornaliere apparizioni nudrita. Ad un culto che a quello dei Pagani si avvicinava58, sostituirono un culto spirituale di preghiere, e rendimenti di grazie, più degno dell'uomo, e meno sproporzionato alla Divinità. Rimane però sempre a sapersi, se questa sublime semplicità alla popolare divozione si adatti; e se l'uom del volgo, al quale ogni oggetto visibile di venerazione sia tolto, sentirà più il religioso entusiasmo, o anzi non cadrà a poco a poco nel languore, e nella indifferenza.

      II. La Riforma ha rotta quella catena di autorità59, che impediscono al timorato divoto il pensare da sè medesimo, e allo schiavo il dir quel che pensa: all'atto della Riforma, i Papi, i Padri della Chiesa, e i Concilj non vennero più riguardati come giudici supremi e infallibili della Terra; ed imparò ogni Cristiano a non avere altra legge che la Scrittura, altro interprete che la propria coscienza60. Non dee nondimeno tacersi, essere stata questa libertà piuttosto conseguenza che scopo della Riforma. I nostri patriottici riformatori, intendevano a succedere ai tiranni che aveano atterrati, e, non meno imperiosamente di essi, pretendendo che ciascuno al lor Simbolo si sommettesse, sosteneano nei Magistrati il diritto di punir di morte gli eretici. Calvino trascinato da fanatismo, o da astio, punì in Servet61 una ribellione della quale era egli stesso colpevole62. E Cranmer aveva accese per gli Anabattisti, in Smithfield, quelle fiamme che poscia lui medesimo consumarono63. Le tigri non avean dunque cambiata natura; ma i principj della Riforma lor limarono gradatamente le unghie e le zanne. Il Pontefice romano possedea un regno spirituale, e temporale ad un tempo; i dottori protestanti non erano che umili sudditi privi di giurisdizione, e di rendite. L'antichità della Chiesa cattolica facea sacri i decreti del Papa; i Riformatori sottomettevano al popolo le proprie ragioni e dispute, appellazione al giudizio di ognuno, che la curiosità e l'entusiasmo ricevettero con più ardore di quanto gli stessi riformatori desiderassero. Dopo i giorni di Lutero, e di Calvino, un'altra riforma si è andata operando tacitamente in seno delle Chiese protestanti, ed ha distrutto immenso numero di errori; sicchè i discepoli di Erasmo64 diffusero estesamente lo spirito di independenza e di moderazione. La libertà di coscienza65 venne invocata siccome patrimonio che a tutti gli uomini pertenea, siccome inalienabile diritto66. I Governi liberi dell'Olanda67 e della Inghilterra68 introdussero in pratica la tolleranza; e la prudenza, e l'umanità del secolo ampliarono i troppo limitati concedimenti della legge. Lo spirito dell'uomo ha ricuperata coll'uso la naturale estensione delle sue facoltà, nè la sua ragione continua ad appagarsi di parole, e di chimere fatte soltanto per intertenere i fanciulli. La polve copre le opere di controversia, e v'è gran distanza fra la dottrina della Chiesa riformata, e la credenza di coloro che ne son membri; sol quindi, o sorridendo, o sospirando, il moderno clero alle forme dell'Ortodossia, e ai simboli già abbracciati si adatta. Ciò nullameno gli amici del Cristianesimo si spaventano69 di tali illimitati progressi dello spirito di ricerca e dello scetticismo, e avverate veggonsi le predizioni de' Cattolici. Gli Arminiani, gli Ariani, i Sociniani, de' quali non dobbiam calcolare il numero su quello delle loro Congregazioni, hanno abbiurati apertamente tutti i misteri; e vediamo i fondamenti della rivelazione smossi da uomini, che usano il linguaggio della religione senza averne i sentimenti70, e si fanno lecita una libertà di idee filosofiche, senza avere quella moderazione che alla filosofia va congiunta.

      CAPITOLO LV

      I Bulgari. Origine, migrazioni, e fermate degli Ungaresi. Lor correrie nell'Oriente e nell'Occidente. Monarchia de' Russi. Particolarità sulla Geografia, e il commercio di questa nazione. Guerra de' Russi contro l'Impero Greco. Conversione de' Barbari.

      Sotto il regno di Costantino, pronipote di Eraclio, un nuovo sciame di Barbari distrusse per un continuo avvenire quel cancello antico del Danubio che fu poi così spesso atterrato, e rifabbricato. I progressi di questi Barbari, vennero, a caso e senza che eglino stessi se ne avvedessero, favoreggiati dai Califfi. Le legioni romane non mancavano di faccende nell'Asia, e, dopo avere perduto la Sorìa, l'Egitto, e l'Affrica, i Cesari si videro per due volte ridotti al rischio, e al disdoro di difendere contro i Saracini la lor capitale. Se nel narrare diverse particolarità intorno a questo popolo tanto spettabile, io ho deviato alcun poco dalla linea che prefissa erami nel divisamento della mia Opera, l'importanza del soggetto coprirà questa colpa e servirammi di scusa. Tanto nell'Oriente quanto nell'Occidente, così negli affari di guerra come in quelli di religione, o considerando i progressi che fecero nelle Scienze, o la loro prosperità, o la lor decadenza, gli Arabi eccitano sotto ogni aspetto la nostra curiosità. Possono attribuirsi all'armi loro i primi disastri della Chiesa greca, e del greco Impero; e i discepoli di Maometto tengono tuttavia lo scettro civile e religioso delle nazioni dell'Oriente. Ma avrebbe argomento poco degno di un'eguale fatica, la storia di quegli sciami di popoli selvaggi che, nel tempo trascorso fra il settimo, e il dodicesimo secolo, ora a guisa di passeggieri torrenti, or per una sequela di migrazioni71 dalle pianure della Scizia l'Europa innondarono. Barbari sono i lor nomi, incerta la loro origine: confuso il modo onde son pervenute a noi le lor geste. Governati da una cieca superstizione, e da un valor brutale condotti, costoro non offerivano nella monotonia delle lor vite pubblica e privata, nè le soavità dell'innocenza, nè i lumi della politica. I disordinati loro assalti furono infruttuosi contra il soglio di Bisanzio: la maggior parte di queste bande è sparita senza lasciar vestigio di sè, e i loro miserabili avanzi rimangono, e rimarranno forse ancor lungo tempo, sotto dominazioni ad essi straniere. Mi limiterò a scegliere per mezzo alle antichità, I de' Bulgari, II degli Ungaresi, III de' Russi, quei tratti che meritano essere conservati. IV la Storia delle conquiste de' Normanni, e V della Monarchia de' Turchi mi condurrà alle memorabili Crociate di Terra Santa e alla doppia caduta della città, e dell'impero di Costantino.

      A. D. 680

      I. Intanto che movea verso l'Italia, Teodorico72 Re degli Ostrogoti, gli fu mestieri col debellarli, superare l'ostacolo che i Bulgari gli opponevano. Dopo una tale sconfitta, il nome di Bulgari, e questa popolazione medesima, sparvero per un secolo e mezzo; onde avvi luogo a credere che sol per via di nuove colonie fattesi sulle rive del Boristene, del Tanai, o del Volga, nuovamente si diffondesse in Europa o la stessa denominazione, od una denominazione allo incirca non dissimile. Un re dell'antica Bulgaria73, giunto agli estremi del vivere, lasciò ai cinque suoi figli un'ultima lezione di moderazione e concordia, che i giovani Principi ricevettero, come d'ordinario soglionsi ricevere dalla gioventù gli avvisi della vecchiezza, e della esperienza. Seppellirono il padre loro, si scompartirono i suoi sudditi e le sue mandrie, i consigli ne dimenticarono. Separatisi indi, o ciascuno postosi a capo della sua truppa, cercarono fortuna, chi da una banda, e chi dall'altra, e troviam ben tosto il più avventuroso di essi, nel cuor dell'Italia sostenuto dalla protezione dell'Esarca di Ravenna74; ma il corso della migrazione si volse, o venne trascinato verso la capital dell'Impero. Allora la moderna


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<p>55</p>

Il Cattolico deve dire entusiasti dell'errore. (Nota di N. N.)

<p>56</p>

«Se non vi fossimo stati Lutero ed io, diceva il fanatico Whiston al filosofo Halley, rimarreste ancora in ginocchione dinanzi ad una immagine di S. Vinifredo».

<p>57</p>

Il Cattolico deve ritenere tutto ciò, che gl'insegna la Chiesa cattolica, cioè i Concilj, e se i dottori protestanti hanno levato via molte cose da questo insegnamento, ciò non riguarda che i popoli, ch'essi venivano a capo di persuadere, e nulla i Cattolici. Quanto poi alle Indulgenze, ecco ciò che ci dice il Bossuet: «Quand donc elle (la Chiesa) impose aux pêcheurs des oeuvres pénibles, et laborieuses, et qu'ils les subissent avec humilité, cela s'appelle satisfaction, et lorsqu'ayant égard ou à la ferveur des pénitens, ou à d'autres bonnes oeuvres, qu'elle leur prescrit, elle relâche quelque chose de la peine, qui leur est due, cela s'appelle Indulgence.» Exposition de la doctrine de l'Eglise Catholique p. 53. (Nota di N. N.)

<p>58</p>

L'autore qui allude al culto delle Immagini, da noi già altrove spiegato, ed al culto esteriore prestato da' Cattolici. Il culto interiore, ch'è quello solo, che rendono a Dio i protestanti, e ch'è pure reso da' Cattolici, non basta; vi vuole anche il culto esteriore, ch'è quello che prestiamo col corpo essendo pure l'uomo un composto d'anima e di corpo: l'unione delle due parti del culto lo rendono perfetto. (Nota di N. N.)

<p>59</p>

La Chiesa Cattolica vuole che si sia soggetto a questa catena d'autorità; di già la Teologia è fondata sull'autorità. (Nota di N. N.)

<p>60</p>

La dottrina de' protestanti lascia interpretare a ciascuno la Sacra Scrittura, ma la dottrina de' Cattolici ciò proibisce espressamente; nessuno può, secondo la propria privata ragione, interpretarla e intenderla; questo potere spetta soltanto a' Padri, a' Papi, a' Concilj, ed il credente deve sommessamente ammettere soltanto le loro spiegazioni, e rinunciare a quelle che fossero suggerite dallo spirito privato, ch'è da riguardarsi in ciò siccome una petulanza: così decretò due secoli e mezzo sono, il Concilio generale di Trento: «Praeterea ad coescenda petulantia ingenia, decernit, ut nemo suae prudentiae innixus, in rebus fidei, et morum ad aedificationem doctrinae Christianae pertinentium, Sacram Scripturam ad suos sensus contorquens, contra eum sensum, quem tenuit, et tenet sancta Mater ecclesia, cujus est judicare de vero sensu, et interpretatione Scripturarum Sanctarum, aut etiam contra unanimem consensum patrum, ipsam scripturam sacram interpretari audeat, etiam si ejusmodi interpretationes nullo unquam tempore in lucem edendae forent. Qui contravenerint per ordinarios declarentur, et poenis a jure statutis, puniantur.» Sessio 4 Conc. Trid.

Ordina, il Concilio, che i Vescovi rispettivi debbano dichiarare, e denunciare coloro, che interpretano la Scrittura, secondo la loro ragione privata, quand'anche non pubblichino colle stampe le spiegazioni date, acciò sieno puniti. (Nota di N. N.)

<p>61</p>

L'articolo Servet del Dizionario Critico del Chauffepié, è quanto ho trovato di meglio fra gli scritti che danno conto di questa indegna ed inumana condanna. V. anche l'abate di Artigny, Nouveaux Mémoires d'Histoire, etc., t. II, p. 55-154.

<p>62</p>

Move in me più ribrezzo il supplizio di Servet, che non gli auto-da-fè della Spagna, e del Portogallo. 1. Giusta ogni apparenza, lo zelo di Calvino era invelenito dall'astio e fors'anche dalla gelosia. Egli accusò l'avversario dinanzi ai giudici di Vienna, nemici d'entrambi; e a fine di perderlo con maggior sicurezza, ebbe la viltà di tradire il sacro deposito di un carteggio particolare. 2. Questo atto di crudeltà, non fu nemmeno colorato dal pretesto di un pericolo per la Chiesa, o per lo Stato; perchè dal momento in cui Servet a Ginevra si trasferì, vi condusse una vita tranquilla; non predicò, non pubblicò alcun libro, non fece proseliti. 3. Un inquisitore cattolico si sottomette almeno al giogo ch'egli medesimo ha imposto; ma Calvino trasgredì quella sublime massima di fare agli altri quanto vorremmo fatto a noi stessi; massima che io trovo in un tratto morale d'Isocrate (in Nicocle, t. I, p. 93 ediz. Battie), e che precedè di quattro secoli la pubblicazione dell'Evangelo. Α πασχονκες υφ’ ετερων οργιζεσθε, ταυτα τοις αλλοις μη ποιειτε Non fate agli altri quello, per cui v'adirate, soffrendolo dagli altri.

<p>63</p>

V. Burnet, vol. II, pag. 84-86. L'autorità del primate soggiogò il senno e l'umanità del giovine monarca.

<p>64</p>

Erasmo può venire considerato come il padre della Teologia nazionale. Ella sonnecchiava da un secolo, allorchè la tornarono in onore nell'Olanda gli Arminiani, il Grozio, il Limborch e il Leclerc: in Inghilterra il Chillingworth e i Latitudinarj di Cambridge (Hist. of own Times, vol. I, p. 261-268, ediz. in 8), Tillotson, Clerke, Hoadley ec.

<p>65</p>

La libertà di coscienza veramente non si oppone allo spirito della religione Cristiana. Quanto poi alla tolleranza, ella è o civile, o ecclesiastica: la prima che consiste soltanto nel non perseguitare alcuno per motivo di religione, che non fu a grande sventura ammessa ne' secoli di fanatismo, e di barbari costumi, e quindi furono immolate a migliaia, e migliaia le misere vittime, e ne vennero tanti, e lunghi disastri, è oggidì pe' progressi della filosofia, della ragione e dell'umanità, uno de' principj fondamentali di tutti i Governi, ed è un vero benefizio: la tolleranza ecclesiastica poi, che esigerebbe una lunga dissertazione, consiste nel non prevalersi, per contenere nella credenza, e nel rispetto della religione i Cristiani cattolici, che dei mezzi, e dei metodi prescritti dall'Evangelo in quel luogo: Sit tibi tanquam Etnicus, et publicanus si ecclesiam non audierit. (Nota di N. N.)

<p>66</p>

Duolmi osservare che i tre filosofi del secolo passato, Bayle, Leibnitz, e Locke, segnalatisi nel difendere sì nobilmente i diritti della tolleranza, fossero laici, e filosofi.

<p>67</p>

V. l'eccellente capitolo di Sir Guglielmo Temple, intorno la Religione delle Province Unite. Non so perdonare al Grozio (De rebus belgicis, Annal., l. I, pag. 13, 34, ediz. in 12), l'avere approvate le leggi imperiali che alla persecuzione si riferiscono, e serbati i suoi biasimi al solo tribunal sanguinario della Inquisizione.

<p>68</p>

Sir Guglielmo Blackstone (Commentaries, vol. IV, p. 53, 54), dilucida la legge inglese qual fu posta all'atto della Rivoluzione. Severa non solamente contro i Papisti e coloro che negano la Trinità, essa lascerebbe un campo bastantemente ampio alla persecuzione in generale, se lo spirito della nazione non fosse più forte di cento atti del Parlamento.

<p>69</p>

Essi s'avvedono con dispiacere che l'audace spirito di ricerca seco trae facilmente una poca credenza alla rivelazione, e può condurre al deismo. Ognun sa che gli Arminiani, gli Ariani, i Nestoriani, i Sociniani, hanno rotta la catena de' misterj creduta da' Cattolici, e si andò avverando ciò che aveva preveduto S. Paolo: in novissimis temporibus discedent quidam a fide, attendentes spiritibus erroris etc.

<p>70</p>

Denunzio alla pubblica considerazione due passi del dottore Priestley, i quali scoprono a che intendano realmente le opinioni di questo scrittore. L'uno di essi (Hist. of the Corruptions of Christianity, vol. I, p. 275, 276) dee fare tremare il sacerdozio, l'altro (vol. II, p. 484) la magistratura.

<p>71</p>

Il diligentissimo Giovanni Gotthelf Stritter ha compilati, raccolti e tradotti in latino tutti i passi della Storia Bisantina che si riferiscono ai Barbari nelle sue Memoriae populorum, ad Danubium, Pontum-Euxinum, Paludem Maeotidem, Caucasum, mare Caspium, et inde magis ad septentriones incolentium, Pietroburgo, 1771-1779, 4 tomi, o 6 volumi in 4; ma col merito del suo lavoro non ha fatto spiccare il valore di questi indigesti materiali.

<p>72</p>

V. il capitolo XXXIX della presente opera.

<p>73</p>

Teofane, p. 296-299, Anastasio, pag. 113; Niceforo, C. P. p. 22, 23. Teofane colloca l'antica Bulgaria sulle rive dell'Atell, o del Volga; ma asserendo egli che questo fiume mette foce nell'Eussino, un errore si grossolano, gli toglie fede anche nel rimanente.

<p>74</p>

Paolo Diacono (De gestis Langobard., l. V, c. 29, p. 881, 882), Camillo Pellegrino (De ducatu Beneventano, dissert. 7, in scriptores rerum ital., t. V, p. 186, 187), e il Beretti (Chronograph. Ital. medii aevi, p. 273 ec.), conciliano facilmente le apparenti differenze che si ravvisano fra lo Storico Lombardo, e i Greci mentovati nella nota precedente. Questa colonia di Bulgari si stanziò in un cantone deserto del Sannio, ove imparò la lingua latina senza dimenticare la nativa.