Storia delle cinque gloriose giornate di Milano nel 1848. Antonio Vismara
l'inno appositamente fatto da altri in onor del pontefice, e dalla polizia vietato: una grande luminaria venne fatta in piazza del Duomo e in piazza Fontana, ove s'innalza il palazzo arcivescovile.
La polizia non volle starsene cheta spettatrice di quella festa popolare: molte guardie, in apparenza inermi, mandate per quei luoghi dal conte Bolza, tutto a un tratto sguainarono le sciabole che sotto i cappotti ascondevano, si avventarono in mezzo alla moltitudine festosa e, rotando i ferri, si misero a ferire a dritta e a manca. La folla spaventata fece per fuggire, l'un l'altro premeva, urtava, spingeva: molti agli urti cadevano, e la folla fuggente li calpestava. Le guardie di polizia potettero così comodamente soddisfare alla sete di sangue, ferendo a lor bell'agio gl'inermi: i popolani che più lungi stavano dai poliziotti, inviperiti di lor prepotenze, si posero a gridar morte ai Tedeschi: ciò inviperiva di più i poliziotti: ma d'un tratto essendo comparso sulla porta del suo palazzo l'arcivescovo, riuscì a far cessare le prepotenze tedesche e a far isciogliere la folla. Pattuglie però di dragoni imperiali continuarono a correr la città in quella sera e nel dimani; pur essi divertendosi nel maltrattare e ferir le persone. Più di sessanta vennero in quell'occasione ferite più o meno gravemente: diversi furono anche i morti.
Questi fatti diedero argomento all'autorità militare ed alla polizia per domandare a Vienna lo stato d'assedio, il giudizio statario e tutti gli altri rigori:—volevasi soffocar la voce della giustizia, far tacere la legge, limitare l'autorità dello stesso governo, onde suprema vi regnasse l'autorità militare e della polizia.
Ma nel sangue non si spense il principio di libertà: il sangue ne lo rafforzò anzi in ogni cuore; e il sangue anzichè gettar spavento nelle popolazioni, le inasprì invece nell'odio contro la tedesca dominazione, e le rese tenaci nei propositi di combatterla.
Nel settembre, essendosi aperto in Venezia il congresso degli scienziati italiani, le discussioni scientifiche snaturaronsi in politiche, e il Bonaparte che entusiasmò il congresso con calde parole, fu fatto partire pei confini dalla locale polizia: il fatto diede argomento alla stampa periodica nostrale e straniera di elevar la voce contro l'arbitrario procedere della polizia austriaca.
Giunte e diffusesi per Milano le nuove delle riforme piemontesi del 30 di ottobre, esse produssero un po' d'agitazione non troppo ben celata. Nazari, deputato presso la Congregazione centrale, espose allora al governo con particolareggiato rapporto il malcontento che le gravose tasse e la licenza militare e gli arbitrii polizieschi avevano sparso nel popolo. Il governatore gli rispose che si rimanesse la Congregazione centrale nei limiti di sue attribuzioni, e non le trascendesse in cose riferentsi alla politica. Il fatto del Nazari bastò per cattivare a lui la popolare simpatia, e si aperse una sottoscrizione onde erigergli un busto. E per rispondere al governator di Milano, che voleva persino niegare il diritto alla Centrale Congregazione di provocare riforme dal governo, il popolo usò il linguaggio e i mezzi del cospiratore: la stampa clandestina eccitò le passioni politiche: si inventò un linguaggio misterioso di segni, che venne rapidamente appreso ed usato dal popolo, e servì per comunicare le disposizioni dei segreti dirigenti del moto liberale. Non essendo possibile rifiutare il pagamento delle tasse dirette, giacchè colla forza si sarebbero con maggiori danni dei contribuenti percette, si ideò di ricusarsi alle tasse indirette, astenendosi dal fumare e dal giuocare al lotto: con ciò si sarebbe danneggiato l'erario imperiale, e sarebbe stato questo un mezzo per mantener vivo il sentimento d'opposizione liberale e per abituare il popolo all'unione de' propositi.
Sopravvenne intanto il 1848, e al 2 di gennajo di quell'anno più nessuno si incontrava fumando per le vie, eccettuati gli agenti di polizia e il militare. Ciò diede luogo a parziali collisioni, poichè intorno ai fumatori si aggruppavano i popolani gridando: Abbasso il sigaro, e li fischiavano. Durante quel giorno la polizia lasciò fare, comprendendo che le opposizioni alle dimostrazioni non facevano che dar loro maggior importanza e rendere più tenaci gli oppositori. Sul far della notte però le cose non si soffermarono a pacifica opposizione, giacchè i soldati cominciarono a reagire ed a maltrattare la folla. Vuolsi anzi che dall'autorità militare si dessero zigari alla bassa forza onde fumasse in pubblico e provocasse in tal modo disordini, nello scopo di prender partito da quei fatti per levare i poteri all'autorità civile e concentrarla tutti in quella militare.
Il podestà Casati, che si trovava in strada cercò di intromettersi in quella reazione militare, riprovando gli atti violenti dei soldati e dei poliziotti da una parte, e consigliando il popolo dall'altra ad usar prudenza. Ma vicino alla piazza dei Mercanti Casati fu fermato dai soldati e tradotto alla Direzione di polizia. Ciò valse a cattivargli le popolari simpatie, ed una folla compatta di gente l'accompagnò da lontano sino a S. Margherita, ove siedeva quella Direzione politica. Fu invero questo un atto che fece onore a Casati, sebbene, di carattere debole e incerto, più amante di nuovo principe che di vera libertà, dovesse poi in seguito smentire il giudizio che di lui si era formato il popolo.
Casati simpatizzava pel sovrano di Piemonte. Allorquando nel 1842 il principe Vittorio Emanuele di Carignano andò sposo coll'arciduchessa Maria Adelaide, figlia dell'arciduca Ranieri vicerè del regno lombardo-veneto, Casati progettò di presentare alla real coppia un'anfora con bacile d'argento. Lavoro artistico di cui fu l'opera a cesello allogata a Bellezza, nome celebrato in cesellatura; il disegno nella parte ornamentale affidato a Ferdinando Albertoli; il disegno della parte figurativa al consigliere Sabatelli; la modellatura infine a Benedette Cacciatori. Essendosi il Casati portato a Torino a presentare il dono, n'era ritornato decorato ed entusiasta ammiratore di Carlo Alberto e della Casa di Savoja.
L'arresto di Casati in piazza di Mercanti aveva da parte degli assessori municipali provocata una protesta a Torresani, capo della polizia, contro la licenza militare.
Casati venne allora ridonato a libertà, e sembrava essersi racquetati alquanto gli spiriti, allorchè il conte Neuperg, ufficiale austriaco, ridestò negli animi popolari il rancore, che, non spento, era soltanto assopito. Neuperg aveva distribuito tabacco a sue spese ai soldati onde girassero per le strade fumando e provocando il popolo: egli stesso attraversò la folla collo zigaro in bocca, colla spavalderia negli atti e nello sguardo, urtando l'uno, insultando l'altro: ciò fu causa di pubblica indegnazione: ciò fu sfida al popolo: ciò ridestò nella città un fremito d'ira, ed aumentò l'odio per l'Austria.
Vicino alla galleria De Cristoforis lo stesso consigliere don Carlo Manganini, amico di Torresani, antico inquisitore in una commissione contro i Carbonari, vecchio di 74 anni, avendo riprovato il contegno della truppa, un soldato l'afferrò e lo uccise con quattro sciabolate alla testa e due al braccio destro. Il delirio di sangue era giunto al colmo che non si risparmiavan più nemmeno i partitanti dell'Austria. Più di 60 furono tra feriti e morti trasportati all'ospedale, non contati quelli che furono portati e curati alle case loro.
Apparvero allora epigrammi sui muri delle case, tra i quali leggevasi la seguente strofa:
Hanno il zigaro fra' denti
Solo i birri e i confidenti;
Cittadini, state attenti
Se vi preme il vostro onor.
Ad inasprire maggiormente la concitazione pubblica, Torresani ordinò numerosi arresti.
Nel giorno dopo, 3 gennajo, il Comando militare, fatti ubbriacare i soldati, distribuito a loro trentamila zigari e diviso fra loro qualche migliaja di lire, verso sera li sguinzagliò per la città; molti condannati furon tolti dalle prigioni e gettati per le vie con zigari e furono associati alla truppa che in comitive di venti, trenta, quaranta, ubbriachi di acquavite, scorrevano la città provocando con laide parole i cittadini, maltrattandoli ove sorgeva in loro il mal talento. La popolazione erasi limitata a rispondere a que' modi insultanti coll'emettere fischi e qualche evviva all'Italia. Ma gli ebbri soldati desiderando emozioni di sangue, snudarono le sciabole e si abbandonarono a disperdere quanto incontravano, menando colpi alla cieca, non avendo riguardo a donne, a' ragazzi, a' vecchi; talchè molti cadevano feriti o morti. Sembrava la città esser convertita in una landa selvaggia ove l'odor del sangue attira gli antropofagi! lo spavento fu generale, generale l'indegnazione pubblica, e sulla violenza di que' giannizzeri del dispotismo maggiormente germogliò l'odio contro la dominazione straniera; e il sangue di tanti sventurati inaffiò l'albero della libertà.
Gravi eran le condizioni d'Italia nel 1848:—le aspirazioni nazionali si eran diffuse per tutta