Orlando Furioso. Lodovico Ariosto

Orlando Furioso - Lodovico Ariosto


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rotta fede così improverarse,

      di scorno e d'ira dentro e di fuor arse.

30

      Né tempo avendo a pensar altra scusa,

      e conoscendo ben che 'l ver gli disse,

      restò senza risposta a bocca chiusa;

      ma la vergogna il cor sì gli trafisse,

      che giurò per la vita di Lanfusa

      non voler mai ch'altro elmo lo coprisse,

      se non quel buono che già in Aspramonte

      trasse dal capo Orlando al fiero Almonte.

31

      E servò meglio questo giuramento,

      che non avea quell'altro fatto prima.

      Quindi si parte tanto malcontento,

      che molti giorni poi si rode e lima.

      Sol di cercare è il paladino intento

      di qua di là, dove trovarlo stima.

      Altra ventura al buon Rinaldo accade,

      che da costui tenea diverse strade.

32

      Non molto va Rinaldo, che si vede

      saltare inanzi il suo destrier feroce:

      – Ferma, Baiardo mio, deh, ferma il piede!

      che l'esser senza te troppo mi nuoce. —

      Per questo il destrier sordo, a lui non riede

      anzi più se ne va sempre veloce.

      Segue Rinaldo, e d'ira si distrugge:

      ma seguitiamo Angelica che fugge.

33

      Fugge tra selve spaventose e scure,

      per lochi inabitati, ermi e selvaggi.

      Il mover de le frondi e di verzure,

      che di cerri sentia, d'olmi e di faggi,

      fatto le avea con subite paure

      trovar di qua di là strani viaggi;

      ch'ad ogni ombra veduta o in monte o in valle,

      temea Rinaldo aver sempre alle spalle.

34

      Qual pargoletta o damma o capriuola,

      che tra le fronde del natio boschetto

      alla madre veduta abbia la gola

      stringer dal pardo, o aprirle 'l fianco o 'l petto,

      di selva in selva dal crudel s'invola,

      e di paura trema e di sospetto:

      ad ogni sterpo che passando tocca,

      esser si crede all'empia fera in bocca.

35

      Quel dì e la notte a mezzo l'altro giorno

      s'andò aggirando, e non sapeva dove.

      Trovossi al fin in un boschetto adorno,

      che lievemente la fresca aura muove.

      Duo chiari rivi, mormorando intorno,

      sempre l'erbe vi fan tenere e nuove;

      e rendea ad ascoltar dolce concento,

      rotto tra picciol sassi, il correr lento.

36

      Quivi parendo a lei d'esser sicura

      e lontana a Rinaldo mille miglia,

      da la via stanca e da l'estiva arsura,

      di riposare alquanto si consiglia:

      tra' fiori smonta, e lascia alla pastura

      andare il palafren senza la briglia;

      e quel va errando intorno alle chiare onde,

      che di fresca erba avean piene le sponde.

37

      Ecco non lungi un bel cespuglio vede

      di prun fioriti e di vermiglie rose,

      che de le liquide onde al specchio siede,

      chiuso dal sol fra l'alte querce ombrose;

      così voto nel mezzo, che concede

      fresca stanza fra l'ombre più nascose:

      e la foglia coi rami in modo è mista,

      che 'l sol non v'entra, non che minor vista.

38

      Dentro letto vi fan tenere erbette,

      ch'invitano a posar chi s'appresenta.

      La bella donna in mezzo a quel si mette,

      ivi si corca ed ivi s'addormenta.

      Ma non per lungo spazio così stette,

      che un calpestio le par che venir senta:

      cheta si leva e appresso alla riviera

      vede ch'armato un cavallier giunt'era.

39

      Se gli è amico o nemico non comprende:

      tema e speranza il dubbio cor le scuote;

      e di quella aventura il fine attende,

      né pur d'un sol sospir l'aria percuote.

      Il cavalliero in riva al fiume scende

      sopra l'un braccio a riposar le gote;

      e in un suo gran pensier tanto penètra,

      che par cangiato in insensibil pietra.

40

      Pensoso più d'un'ora a capo basso

      stette, Signore, il cavallier dolente;

      poi cominciò con suono afflitto e lasso

      a lamentarsi sì soavemente,

      ch'avrebbe di pietà spezzato un sasso,

      una tigre crudel fatta clemente.

      Sospirante piangea, tal ch'un ruscello

      parean le guance, e 'l petto un Mongibello.

41

      – Pensier (dicea) che 'l cor m'agghiacci ed ardi,

      e causi il duol che sempre il rode e lima,

      che debbo far, poi ch'io son giunto tardi,

      e ch'altri a corre il frutto è andato prima?

      a pena avuto io n'ho parole e sguardi,

      ed altri n'ha tutta la spoglia opima.

      Se non ne tocca a me frutto né fiore,

      perché affligger per lei mi vuo' più il core?

42

      La verginella è simile alla rosa,

      ch'in bel giardin su la nativa spina

      mentre sola e sicura si riposa,

      né gregge né pastor se le avvicina;

      l'aura soave e l'alba rugiadosa,

      l'acqua, la terra al suo favor s'inchina:

      gioveni vaghi e donne inamorate

      amano averne e seni e tempie ornate.

43

      Ma non sì tosto dal materno stelo

      rimossa viene e dal suo ceppo verde,

      che quanto avea dagli uomini e dal cielo

      favor, grazia e bellezza, tutto perde.

      La vergine che 'l fior, di che più zelo

      che de' begli occhi e de la vita aver de',

      lascia altrui corre, il pregio ch'avea inanti

      perde nel cor di tutti gli altri amanti.

44

      Sia


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