Kali Yuga. Federico Pierlorenzi

Kali Yuga - Federico  Pierlorenzi


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      Federico Pierlorenzi

      Kali Yuga

      Publisher: Tektime

      Metakar

      La stanza è bianca. Al centro un tavolo bianco con quattro sedie di identico colore. Blue se ne sta dondolando su una di esse. Fischietta una canzone di cui non ricorda né titolo né autore. Non sa che fare e non si ricorda più da quanto tempo è lì o il perché. Non ha fame, non ha sete, né tanto meno sonno. Ma sbadiglia e in realtà gli mancano proprio pane, acqua e riposo. Intorno a sé tutto è bianco, la stanza sembra essere quattro metri per quattro o forse di più. Aveva anche pensato di contare i passi lungo le pareti, ma poi, chi te lo fa fare?

      Si apre la porta bianca e una figura fa capolino. Nonostante il pallore del suo volto Blue lo riconosce e il suo cuore si riempie di gioia.

      «Es, come stai?».

      La voce rimbomba lieve, ma il messaggio arriva a destinazione. Es con un balzo raggiunge l’amico.

      «Blue, ti vedo un po’ bianchiccio, come ti butta?».

      Blue scatta in piedi dalla sedia e si avventa sul nuovo arrivato per abbracciarlo. Poi guarda in direzione della porta con la fronte corrugata e le sopracciglia aggrottate. Si volta verso l’amico che non ha una bella cera, ma intuisce dal suo sguardo che anche per lui vale la stessa cosa. «Che novità mi porti? Sai, qui è tutto così noioso. Raccontami, su raccontami!».

      In pochi minuti apprende dall’attore di cabaret le novità intercorse negli ultimi anni, con commenti sentiti e a volte coloriti. Dopo poco si ritrovano seduti uno di fianco all’altro.

      Blue ha ripreso a dondolare, ma non fischietta più.

      Es sta seduto sul bordo della sedia con le mani incrociate tra la nuca e lo schienale, la caviglia destra è appoggiata all’altro ginocchio, e ogni tanto la scrolla distratto.

      Il tempo scorre lento.

      Si apre la porta.

      Questa volta Blue è quasi convinto che non è la stessa dalla quale è entrato Es. O forse sì. Poi, cosa importa? Dopo tutto si è alzato e si sono riseduti in due. E poi il tavolo è quadrato. Quindi…

      «Blue!».

      Es è in piedi da un pezzo e sta accogliendo Biaco «Buon giorno sognatore!».

      L’ultimo arrivato è abbronzantissimo, gli ricorda quella volta che si era presentato a scuola dandola a bere a tutti, tranne che ai soliti tre, che si era fatto la settimana bianca ad Aspen. Mentre, in realtà, s’era comprato uno di quei lettini con le lampade ai raggi UV.

      «Il lettino solare funziona ancora, eh?». Prorompe Es «...è ora che ci facciamo un giretto anche io e Blue!».

      «Blue non ha mai voluto provarlo, neanche con la forza, vi ricordate?».

      Biaco si gira verso Blue «Allora pelandrone vieni a salutarmi o ti pesa il culo?».

      Blue si accorge di essere ancora seduto. Si alza, si avvicina all’amico, e lo abbraccia «Si parlava con Es di quanto sei sempre stato duro di testa, un po’ in tutto!».

      «Lo so, lo so,». Risponde l’ultimo arrivato ammiccando «ma d’altra parte non si può essere tutti geniali come Es!».

      «Che fai, sfotti?».

      Si risiedono al tavolo e Biaco rimane in piedi davanti allo spigolo opposto agli amici, tra le due sedie vuote.

      Blue lo distrae per un attimo «Vi ricordate quando Es spariva durante le ore di latino per giocare a carte con i bidelli?».

      «Sì, e avevo comunque il voto più alto di tutta la classe!».

      «Quanto ti invidiavo!».

      Il nulla cala di nuovo dalle parole dell’uomo in piedi.

      Tutti e tre ammutoliscono.

      Blue ricomincia a dondolare catatonico sulla sedia.

      Es fissa il soffitto senza profondità.

      Biaco è in piedi di fronte alla scelta tra stare di fronte a Blue o ad Es. Certamente Blue è più tempo che non lo vedo, ma Es è sempre Es. E se poi si finisse per giocare a carte? Es vince sempre, certo però Blue in vena buona è in grado di imbastire giochi solidi e taglienti come le sue parole…

      «Carte?». Es interrompe il silenzio «Dai siediti, che si gioca a carte». Poi rivolto al primo arrivato «Dove le tieni?».

      «Ah, io non ce l’ho!».

      La voce roca di Biaco risolve il problema «Le hai tu in tasca». Guardando nella direzione di Es.

      «E tu come fai a saperlo?». Tastandosi le tasche.

      «Le ho messe lì io il giorno che…» Biaco abbassa lo sguardo e serra la mandibola.

      Es si imbroncia e lascia crollare le braccia.

      Blue chiude gli occhi ed alza il volto al cielo con il respiro tremolante.

      Il dolore cala di nuovo sui tre; e poi il nulla.

      Nella mente di Es si forma il ricordo del campo da golf, ma non è abbastanza forte da coinvolgere gli altri due. D’altra parte Blue non stava più con loro ai tempi che gli sorgono ora alla memoria.

      Biaco è ancora in piedi «La macchina; il primo viaggio in macchina».

      «Già, sì, l’albero delle mele». Aggiunge Es.

      Blue si risveglia «E Pablo come sta?».

      Biaco racconta gli ultimi avvenimenti riguardanti Pablito che i due compagni di avventure non possono conoscere. Poi, bruciandosi anche gli ultimi ricordi, gli compare alla mente la penna regalata a Es e i due ascoltatori piombano dall’estasi effimera al buio più nero.

      Biaco ruota in automatico il corpo verso destra e crolla sulla sedia di fronte ad Es, guardando però nella stessa direzione in cui guarda Blue, si aggrappa con la mano sinistra al tavolo. L’altra è allo schienale della sedia candida.

      Blue dondola silenzioso sulle zampe posteriori della sedia, lo sguardo perso nel bianco.

      Es, stravaccato sulla sedia, guarda il soffitto bianco, in cerca del cielo, o di una nuvola o, forse, del sole stesso.

      Gli sguardi dei tre amici non si incontrano più, per evitare dolore e vergogna.

      Blue interrompe il silenzio con la voce che sembra percorrere chilometri e chilometri prima di giungere agli altri due: «È come stare nella pancia della luna». Poi aggiunge «O in un motel a due stelle sopra un nightclub.».

      «O in uno squallido teatrino da cabaret da quattro soldi.».

      «O in un Autogrill sulla strada del ritorno.».

      Tornano ai loro rispettivi vuoti. Non sanno cosa fare. Non si ricordano più da quanto tempo sono lì, o il perché. I loro sguardi si attraversano senza più incontrarsi.

      «Salve ragazzi, è ora di andare!». La voce amabile e sicura suona forte nelle orecchie dei presenti mentre la porta si apre. Un uomo vestito in abiti di chiesa tiene la porta aperta con la mano destra «Surgant omnes» ripete in latino.

      Es è in piedi e Biaco, che lo ha riconosciuto per primo, gli sta già baciando la mano sinistra «Eccellenza!».

      Il metro e novantotto di vescovo appoggia l'enorme mano sulla spalla del ragazzo e gli occhi profondi nella sua anima «Sappiamo che sei un bravo ragazzo, ora prendi Unona e varcate la soglia». Con un sorriso ruota la testa e indica un lettino per neonati accanto alla porta del quale nessuno si era accorto prima. Con la mano destra serra la presa sulla maniglia.

      Biaco supera l’uscio con le braccia appesantite e accoccolate al petto, sfiorando il prelato.

      Blue è certo che la porta non è dove era prima, né tantomeno ha mai visto la culla o sentito un qualsivoglia vagito.

      Es impalato davanti alla sua sedia «Eccellenza.».

      «Muoviti


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