L'Ombra Del Campanile. Stefano Vignaroli

L'Ombra Del Campanile - Stefano  Vignaroli


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      PREFAZIONE

      Jesi non vi sembrerà più la stessa quando avrete letto “Lo Stampatore”. Il primo episodio della trilogia, “L’Ombra del Campanile”, è l’ultimo romanzo di Stefano Vignaroli: esso narra le parallele vicende della giovane e fascinosa archivista Lucia Baldeschi e dell’omonima antenata, vissuta 500 anni prima. A legarle un mistero, le cui tracce sono celate nelle pietre, nelle architetture e nei testi storici della città.

      Romanzo avvincente e ipnotico. Già, perché senza accorgersene, il lettore finisce per assumere il punto di vista della studiosa, agli occhi della quale vie e palazzi perdono la loro austera e distaccata bellezza, per diventare testimoni solenni di un tetro passato. Passaggi segreti, boschi infestati dai briganti, valorosi guerrieri e spietati mercenari, presunte streghe e donzelle indifese, alti prelati e frati, nobili e plebei. Sono coloro che popolano e animano l’azione, in un costante crescendo di tensione, in cui i luoghi non fanno da sfondo, ma diventano parte integrante e suggestiva di un’avvincente narrazione. Un romanzo storico in ogni senso, anche e soprattutto per la capacità dell’autore di riportare in vita usi e costumi di un'intera società, quella jesina. Ieri come oggi ricca di pregi ma non priva di difetti e viltà. Ai quali nessuno, nemmeno la protagonista, così autentica e vera, risulterà immune.

       Marco Torcoletti

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      PREMESSA

      

      

      Dopo aver pubblicato tre romanzi di genere thriller/poliziesco, ritenevo quasi cosa impossibile l’approccio a un romanzo storico. Ma la passione per la storia della mia città ha fatto scattare in me la molla giusta per affrontare questo nuovo lavoro. È ovvio che personaggi e fatti, pur prendendo spunto da eventi storici realmente documentati, sono in gran parte puro frutto della mia fantasia. Ho di proposito lasciato invariati i nomi di luoghi e di importanti famiglie jesine, proprio per rendere la narrazione il più verosimile possibile. Se sarò riuscito nell’intento, che è quello di ogni scrittore, di interessare il lettore e farlo rimanere incollato alle pagine del libro fino alla parola “fine”, lo giudicherà il pubblico. Io ce l’ho messa tutta, ai lettori l’ardua sentenza.

      La trama si svolge in una Jesi rinascimentale, ricca di arte e cultura, in cui stanno sorgendo nuovi e sontuosi palazzi sui resti dell’antica città romana.

      La giovane Lucia Baldeschi è nipote di un malvagio Cardinale, tessitore di oscure trame finalizzate ad accentrare sia il potere temporale che quello ecclesiastico nelle proprie mani. Lucia, ragazza dotata di spiccata intelligenza, diventa amica di un tipografo, Bernardino, insieme al quale condividerà la passione per la rinascita delle arti, delle scienze e della cultura, che stanno caratterizzando il periodo in tutta Italia. Si troverà stretta tra il dovere di obbedire a suo zio, che l’ha fatta crescere ed educare a palazzo in assenza dei genitori, e l’amore appassionato per Andrea Franciolini, figlio del Capitano del Popolo e vittima designata della tirannia del Cardinale.

      La vicenda ci viene narrata anche attraverso gli occhi di Lucia Balleani, una giovane studiosa discendente del nobile casato. Nel 2017, con esattazza 500 anni dopo i fatti, quest’ultima scopre antichi documenti nel palazzo di famiglia, e ricostruisce tutta la complessa storia di cui si erano perse le tracce.

       Stefano Vignaroli

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      CAPITOLO 1

      

      

       La magia non è stregoneria

      (Paracelso)

      

      

      

      

      

      

      Bernardino sapeva bene di vivere in tempi in cui era davvero pericoloso dare alla stampa un testo senza aver ottenuto l’imprimatur ecclesiastico. Se oltretutto il testo era blasfemo e offendeva la Chiesa ufficiale, propinando dottrine a lei contrarie, si rischiava il rogo, non solo dei libri stampati, ma anche dell’autore e dell’editore. La sua stamperia, in Via delle Botteghe, andava bene. Il secolo decimo sesto era da poco iniziato e Bernardino si era fatto conoscere come tipografo in tutta Italia, per aver sostituito i caratteri mobili di stampa in legno con quelli in piombo, molto più resistenti e duraturi. Con lo stesso “clichet” riusciva a stampare un migliaio di copie, contro le trecento che i suoi predecessori della scuola tedesca stampavano con gli “stereotipi” in legno, anche se manipolare quel metallo gli stava creando non pochi problemi di salute. Aveva rilevato, oltre un trentennio prima, la stamperia di Federico Conti, un Veronese che aveva fatto la sua fortuna a Jesi, creando la prima edizione a stampa tutta italiana della Divina Commedia del sommo poeta Dante Alighieri. Il Conti aveva in breve raggiunto l’apice della fortuna, così come altrettanto in breve era caduto in disgrazia. Bernardino ne aveva approfittato e aveva acquistato la stupenda stamperia per quattro soldi. Con la calma e la pazienza proprie di coloro che provenivano dal contado Jesino – Bernardino era originario di Staffolo – aveva fatto crescere la sua attività fino ai massimi livelli, senza mettersi mai in contrasto con le autorità, sempre onorato e riverito. Fino allora, l’opera più importante alla quale si era dedicato, era stata una “Storia di Jesi, dalle origini alla nascita di Federico II”, basata su quanto tramandato per tradizione orale e sui documenti storici, antichi manoscritti, contratti, mappe e quant’altro era conservato nei palazzi delle nobili famiglie jesine, Franciolini, Santoni e Ghislieri. Alla stesura dell’opera avevano lavorato Pietro Grizio e lui stesso; anche se non era un vero e proprio scrittore, a forza di preparare bozze da stampare, aveva infatti acquisito buonissima familiarità con la lingua italiana. Un’opera che ancora non aveva portato a termine e che sarebbe stata stampata dai suoi successori solo nel 1578, dopo un notevole lavoro di rivisitazione e rifinitura. Un’opera che sarebbe stata per lungo tempo la più importante fonte storica sulla città di Jesi, e da cui avrebbero preso spunto, dopo due secoli circa e oltre, il Baldassini per il suo “Memorie historiche dell’antichissima e regia città di Jesi” e l’Annibaldi per


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