L'Ombra Del Campanile. Stefano Vignaroli

L'Ombra Del Campanile - Stefano  Vignaroli


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cantiere, lasciata in sospeso per pubblicare un libercolo commissionatogli da una ragazzina poco più che ventenne. Cosa passava per la testa di Bernardino per dare alle stampe un opuscolo dedicato al culto pagano della Dea Madre e alle cure con le erbe officinali? L’Inquisitore capo della città, il Cardinale Artemio Baldeschi, avrebbe potuto fare irruzione nella sua bottega da un momento all’altro, magari istigato da qualche altro tipografo geloso dei suoi successi. E tutto questo per fare un favore proprio alla nipote del Cardinale, Lucia Baldeschi. A cinquant’anni aveva forse perso la testa per quella donzella?

      No, improbabile, si diceva tra sé e sé lo stampatore. Non potrei di sicuro farcela a sostenere una notte d’amore con una giovane puledra, anche se… Anche se la sola idea di poterle sfiorare le mani con le sue un po’ lo eccitava, ma ricacciava quelle pulsioni negli angoli più reconditi della sua mente.

      In cambio della stampa del manuale, la giovane “strega” aveva promesso a Bernardino una cura efficace per la sciatalgia che lo affliggeva ormai da anni e un unguento che l’avrebbe protetto dall’assorbire la polvere di piombo attraverso la pelle screpolata delle mani.

      «La colpa della tua anemia e dei tuoi dolori ossei è del piombo che maneggi ogni giorno. Esso si assorbe attraverso la pelle, e inalando la sua polvere mentre si respira. Se vuoi vivere ancora a lungo segui i miei consigli.»

      Lucia era una giovane donna, all’epoca aveva venti anni, piuttosto alta, mora, dagli occhi nocciola sempre in movimento, alla curiosa ricerca di ogni singolo dettaglio. Nulla le sfuggiva di quanto stesse accadendo intorno a lei, aveva un udito finissimo, e anche capacità di preveggenza; inoltre era in grado di curare con le erbe e i rimedi naturali una gran varietà di malattie. Questo era quello che sapeva chi la conosceva. In realtà, Lucia era dotata di poteri sconosciuti alla maggior parte delle persone comuni, ma cercava di non rivelarli a nessuno, soprattutto per il fatto che viveva sotto lo stesso tetto di suo zio. Era una bambina di nove anni quando, assistendo al rogo di Lodomilla Ruggieri sulla pubblica piazza, era rimasta sconvolta dallo spettacolo raccapricciante dell’esecuzione. La nonna la teneva per mano in mezzo alla folla che aspettava che la condannata uscisse dalla rocca in cima alla Salita della Morte. La donna, in sella a un mulo, le mani legate alle sue redini, i vestiti laceri che lasciavano scoperte le sue nudità, era visibilmente provata dalle torture che gli inquisitori le avevano fatto infliggere al fine di confessare le sue colpe. Aveva un occhio pesto, una spalla slogata e, quando fu fatta scendere dal mulo, quasi non era neanche in grado di reggersi in piedi. Fu legata al palo, con le braccia in alto, in modo che non si accasciasse sulle ginocchia. Poi fu disposta la legna sotto i suoi piedi e intorno alle sue gambe. Un sacerdote le si avvicinò con la croce: «Rinneghi Satana?» Per tutta risposta, Lodomilla aveva sputato alla croce e al sacerdote e le fiamme erano state appiccate alla catasta. Le urla della donna che bruciava erano disumane, Lucia non poteva sopportarle, e aveva pensato intensamente che se in quel momento fosse iniziato a piovere a dirotto, l’acqua avrebbe spento il fuoco e la poveraccia si sarebbe potuta salvare in qualche modo. Guardò il cielo e lo vide caricarsi in breve di nuvole nere minaccianti pioggia. Lucia capì che bastava che con il pensiero ordinasse alle nuvole di piovere e si sarebbe scatenato il diluvio. La nonna, che conosceva le potenzialità della bambina, alla quale aveva cominciato a insegnare i primi rudimenti della magia, la fermò appena in tempo.

      «Se non vuoi fare la stessa fine di Lodomilla, frena i tuoi istinti. È la Dea che ha rivoluto a sé la nostra amica, altrimenti con le sue arti magiche sarebbe scampata alle fiamme. Fra poco finirà di soffrire e il suo spirito sarà accolto dalla Buona Dea.»

      Si sentì il rombo di qualche tuono, ma non cadde una sola goccia d’acqua. In breve le nubi si dileguarono e il cielo si rasserenò. L’azzurro della giornata di fine maggio era attraversato solo dalla colonna di fumo nero che si alzava dalla pira. Lodomilla era ormai un tizzone ardente senza vita. Qualcuno continuò a gettare fascine e alimentare il fuoco fino a che della strega non rimasero che le ceneri.

      Da quel giorno Lucia aveva intuito che, con i suoi poteri, poteva dominare i vari elementi della natura, mettendoli al proprio servizio, sia nel bene che nel male. La sua nonna aveva cercato di guidarla nel cammino per arrivare al controllo delle sue arti magiche, le aveva insegnato a riconoscere le erbe officinali, quelle curative e quelle tossiche, quelle dagli effetti stupefacenti e quelle dai presunti poteri magici. Le aveva insegnato a pronunciare incantesimi e realizzare talismani e, all’età di quattordici anni, le aveva detto: «Solo le streghe più potenti riescono a controllare tutti e quattro gli elementi, aria, acqua, terra e fuoco. L’unione di essi è rappresentato dalla quintessenza, dallo spirito, che può librarsi in alto, farti volare, e dal cielo permetterti di vedere cose che altrimenti non vedresti. Puoi vedere il passato, prevedere il futuro, conversare con gli spiriti dei nostri antenati o ascoltare ciò che io, o un’altra persona a te cara, vorrebbe dirti anche senza essere vicina a te. Puoi penetrare nella mente degli altri, e leggere i loro pensieri più intimi. Credo che tu possa essere in grado di usare tutte queste facoltà, ma ricorda, usale sempre a fin di bene. La magia nera, quella di cui ci si serve per scopi malvagi, prima o poi si ritorce contro chi la ha praticata.»

      Così dicendo aveva aperto un’antica cassapanca e aveva porto alla nipote un antico manoscritto, rivestito da una custodia di pelle nera su cui era inciso un pentacolo, una stella a cinque punte inscritta in un cerchio. Era il diario della famiglia, che veniva passato di madre in figlia, in questo caso da nonna a nipote, perché la mamma di Lucia era venuta a mancare quando lei era ancora in tenera età. Il diario in cui ogni strega riportava le sue esperienze, i sortilegi inventati, le guarigioni ottenute, le esperienze magiche che ognuna aveva avuto modo di sperimentare, in modo che la conoscenza e la sapienza aumentassero con il tempo. Lucia aveva capito che era ormai in grado di controllare tutti e quattro gli elementi quando, concentrandosi, era riuscita a far materializzare una sfera semifluida che fluttuava tra le sue mani unite a coppa, distaccandosi dai relativi palmi di pochissimo spazio. La sfera altro non era che il suo spirito, un miscuglio di colori che, roteando, in certi momenti si mescolavano tra loro a dare infinite tonalità, in altri si delineavano come se ogni elemento volesse riprendere la sua natura e staccarsi dagli altri. Riconosceva l’aria dal colore giallo, la terra dal colore verde, l’acqua dal colore azzurro e il fuoco dal colore rosso. Poteva ordinare a ognuno di quegli elementi di fare ciò che la sua mente desiderava, nel bene o nel male. Se, ad esempio, voleva utilizzare il fuoco, con il suo pensiero selezionava quell’elemento e dalla sfera poteva partire una palla di fuoco, più o meno grande a seconda delle esigenze. Accendere il fuoco nel braciere era la cosa più semplice del mondo: bastava che la legna fosse disposta per essere accesa, una piccola palla ignea veniva diretta da Lucia verso di essa e subito si aveva un bel falò scoppiettante. Ma quei poteri potevano anche essere pericolosi. Un giorno una ragazzina della sua stessa età, tale Elisabetta, l’aveva apostrofata per strada, deridendola perché aveva ormai compiuto quindici anni e nessun giovane aveva rivolto le sue attenzioni verso di lei.

      «Dicono che sei una strega, nessun uomo ti vorrà, perché quelle come te fanno l’amore solo con il diavolo. Fatto sta che quello con cui vi accoppiate non è il diavolo, ma il caprone di Tonio, il contadino che ha le terre giù verso il fiume.»

      

      

      Lucia le lanciò una palla di fuoco, così grande come non ne aveva mai realizzata una fino ad allora, e gli abiti e i capelli della malcapitata si incendiarono. Poi invocò l’aria, alzò le braccia sopra la testa e, con movimenti circolari delle stesse, diede origine a un vortice, che si staccò da lei in direzione dell’altra ragazza. Il vento alimentò ancor più le fiamme, Elisabetta sentì il dolore lancinante sulla sua pelle e iniziò a urlare. Allora Lucia si ricordò delle raccomandazioni della nonna ed ebbe pietà di quell’impertinente. Invocò l’acqua e fece scatenare un improvviso acquazzone, poi chiese alla terra che gli fornisse delle erbe per un impacco lenitivo da applicare sulle scottature della ragazza. Tutto sommato non era successo nulla di grave, la ragazza aveva solo la tunica mezza bruciacchiata e la pelle arrossata, ma non si erano formate neanche delle bolle. Avrebbe dovuto tagliare i capelli, che quelli che erano rimasti


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