Scherzi Da Adulti. Marco Fogliani
un buon caffè?”, era la scusa migliore che avevo escogitato per assentarmi e giustificare il fatto che mia madre non mi avrebbe visto insieme al prete.
“Volentieri, volentieri, signora. Però ...”. Però stavo incontrando più difficoltà del previsto per sistemarmi la barba finta e la pelata, e mi serviva un altro po' di tempo.
“Però, visto che ci conosciamo così poco, mi farebbe piacere sapere qualche cosa di più su di lei, e soprattutto su sua madre. Perlomeno i vostri nomi.”
Ecco, adesso mi stavo controllando allo specchio ed ero proprio a posto. Tanto ero soddisfatta che non resistetti alla tentazione di farmi un “selfy” col cellulare.
“Arianna, io mi chiamo Arianna. E mia made Luisa, ha quasi novant'anni. Si accomodi, la prego. E' quella porta laggiù. Io intanto vado a preparare il caffè.”
Entrai nella stanza di mamma un po' impacciata nell'abito talare, ma sicuramente irriconoscibile.
“Cara signora Luisa, eccomi qui. Che cosa posso fare per lei?”
“Lei è simpatico e spiritoso, ma sa benissimo perché si trova qui.”
“Repente liberalis stultis gratus est, verum peritis irritos tendit dolos, gloria patri et filio et spiritui sancto sicut erat in principio et nunc et sempre in secula seculorum Amen”, le sciorinai quasi in un sussurro ma molto velocemente, tenendo le mani e lo sguardo rivolti al cielo, ottenendo esattamente l'effetto da me desiderato. “E adesso veniamo al dunque”, proseguii, “mi dica tutto, cara signora.”
“E' successo tanti anni fa, forse quindici o venti. Mia madre era malata, non proprio come me, ma molto vecchia. Quando la sua amica più cara morì io lo venni a sapere quasi per caso e non ebbi il coraggio di dirglielo. Avevo paura di darle un dispiacere troppo grosso, magari tanto da morirne essa stessa, vista la sua età e la sua salute. E così decisi di fare in modo che non lo venisse a sapere. Volevo solo risparmiarle un dispiacere. Insomma, doveva essere una pietosa bugia, non un inganno e soprattutto non c'era nessuna cattiveria.”
“Decisi di fare una telefonata a mia madre, di fingermi la sua amica ed inventarmi una buona scusa per cui non l'avrebbe più chiamata né sentita. Sa, io ero attrice di teatro: mentire e alterare opportunamente la mia voce non era difficile per me.”
“ Lo so, lo so”, pensavo mentre l'ascoltavo nei miei panni da prete; “anch'io sono attrice di teatro, evidentemente me l'hai trasmesso col DNA.”
“Inventai per la sua amica che uno dei suoi figli, che da diversi anni per davvero viveva in Francia, era venuto a trovarla dopo tanto tempo. Le aveva detto che si trasferiva nel nord Italia con la famiglie e che aveva comprato una villa grande e bella dove sarebbero stati comodi tutti insieme; e le aveva proposto di andare a stare da loro. E lei aveva accettato.”
“E fin qui andò tutto bene, se la bevve tranquillamente”, proseguì mia madre. “Ma evidentemente quel giorno aveva voglia di chiacchierare, ed io dovetti improvvisare. Non è che conoscessi molto bene la sua amica: perciò, per evitare di dover parlare troppo e venire smascherata inventandomi cose non vere, feci la vaga e lasciai parlare lei.”
“La conversazione si stava facendo troppo lunga e meditavo di far cadere la linea per interromperla, quando cominciò a prendere una piega inaspettata ma interessante. Perchè, non ricordo per quale motivo, lei aveva cominciato a parlare di me. Ma purtroppo, e con mia grande sorpresa, non è che avesse per me le buone parole che mi aspettavo. Anzi, mi dipingeva in modo decisamente negativo. Sì, parlò di me con astio e cattiveria. Si lamentò che non stavo mai a casa, e che quando c'ero la trattavo male, come fosse una bambina, e non le lasciavo fare niente di quello che voleva. Ma ciò che mi diede più fastidio fu invece l'esaltazione che fece di mio fratello: lui fa questo, lui fa quello; lui qui e lui là. Mio fratello che - voglio che lo sappia, padre - ha badato a lei neanche per un anno della sua vita: poi si è risposato, è andato a vivere in campagna e non si è fatto più vedere né sentire.”
“Lo so, lo so … voglio dire, lo immagino. A volte càpitano situazioni come queste nelle famiglie, anche nelle migliori. Con gli anziani bisogna aver pazienza”, buttai lì per calarmi meglio nella mia parte.
“E' questo il punto”, riprese lei, “che io, che di pazienza fino ad allora ne avevo avuto tanta, la persi tutta in un colpo. Se proprio ti trovi tanto male con me e a casa mia dove per anni non fai altro che portarmi impicci e problemi, ho pensato, allora vattene una buona volta. Non so come abbia potuto assalirmi un pensiero del genere, ma non sono riuscita a controllarlo. Con una scusa ho interrotto la comunicazione, ed ho cominciato a pensare al modo migliore di fargliela pagare. Ho pensato sùbito alle sue medicine: gliele faccio mancare. Anzi, gliele sostituisco. Tanto sembrano più o meno tutte uguali. Quella della pressione col diuretico, e un altro con una pasticca di uguale forma e colore che avevo tra le mie, non so neanche per cosa fosse. Così feci, fintatntoché, dopo una quindicina di giorni, lei peggiorò. Quando ciò accadde, guarda caso, il suo medico curante era in ferie, e io la convinsi ad aspettare che tornasse piuttosto che affidarsi ad un altro. Ma poi anche quando tornò non glielo dissi. E solo quando stette molto male mi decisi a chiamare un dottore; ma un altro, di cui qualcuno mi aveva parlato piuttosto male e che non la conosceva. Nonostante il ricovero in ospedale, mia madre non ce la fece.”
Sentendo questo racconto rimasi quasi pietrificata, come una statua di sale. Cercavo di digerire quello che mia madre mi aveva appena detto ma la mia mente si rifiutava: era quasi assente, come in coma. Non riuscivo davvero a credere alle mie orecchie.
“E allora?”, mi chiese lei, visto il prolungarsi evidentemente esagerato del mio silenzio.
“ E allora, mamma, che cosa diavolo hai combinato alla mia povera nonnina?”, pensai tra me, come se la mia mente si fosse risvegliata al'improvviso alla sua domanda. “ Il papà lo diceva spesso che avevi una rotella fuori posto, una vena di follia. E pensare che io non gli ho mai creduto.”
“E allora cosa?”, le chiesi, cercando di risvegliami da quella specie di brutto sogno.
“Allora la penitenza, padre. E l'assoluzione. Lo so che ho fatto una cosa molto brutta, ma me la può dare lo stesso l'assoluzione?”
Non ero in grado di ragionare. Pronunciai velocemente e a bassa voce la formula dell'assoluzione che avevo imparato quella stessa mattina, concludendo con un ampio segno di croce a mo' di benedizione.
“La prego, mi dia anche una penitenza. Anche se portarsi da sola il peso di questo segreto per tanti anni è già stato per me una mezza punizione, credo che non sia sufficiente.”
Cercai di pensare ad una penitenza un po' dura nei suoi confronti, ma proprio non mi venne in mente nulla. Poverina, era pur sempre la mia povera vecchia mamma.
“Dica cinque Ave Marie … anzi, facciamo dieci … dopo ogni pasto … compresa la colazione … finché il Signore le darà vita. E adesso voglia scusarmi, ma devo andare. C'è un'altra signora che ha bisogno di me e che mi sta aspettando. Stia in pace, e coraggio.”
Uscii dalla stanza un po' alla chetichella e tornai nei miei soliti abiti. Cambiandomi mi tornarono in mente i dettagli della mia finzione, per la quale avevo previsto che il sacerdote prendesse il caffè.
“Padre, si sta dimenticando del suo caffè!”, dissi con la mia voce di donna.
“La ringrazio, ma devo proprio scappare”, risposi con la voce del prete e sbattei la porta dell'ingresso per far sentire bene che era uscito.
Che pessima idea che mi era venuta in mente, di andarmi ad impicciare degli affari di mia madre!
Ancora nel panico, riportai al teatro gli abiti che avevo preso in prestito; dopodiché passai, stavolta veramente, nella vicina parrocchia a cercare un prete per la confessione.
“Si, vengo subito. Gli darò anche l'unzione dei malati, se le sue condizioni sono quelle che mi hai riferito”, mi disse con grande pacatezza e disponibilità il primo sacerdote che incontrai.
“Mamma, svegliati mamma. Ti ho portato un sacerdote per la confessione, come mi avevi chiesto”,