Racconti Buonisti. Marco Fogliani

Racconti Buonisti - Marco  Fogliani


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Cercavo di sollevarle il morale (il mio era molto alto, forse perché inconsciamente pensavo che lei avesse voluto prendermi a modello), senza rendermi conto che di lì a poco avrei rischiato io di avere il morale a terra.

      Arrivati al nostro pianerottolo, infatti, suonai alla porta e mio marito, che mi venne ad aprire, non mi riconobbe. Ovviamente scambiò Enrica per me.

      "Cos'è, uno scherzo?", disse rivolto a lei che si era avvicinata all'appartamento di fianco. "Guarda che casa tua è questa. … e forse lei ha i tuoi occhiali", continuò indicando me.

      Afferrai io per prima l'equivoco. Mi tolsi gli occhiali, esibii a mio marito uno sciocco risolino adatto alla circostanza e cominciai:

      "Tua moglie è proprio una gran mattacchiona, ed io sono molto contenta di essere sua amica. Vieni, Teresa, riprenditi pure i tuoi occhiali: lo dicevo io che non ci sarebbe cascato." Feci un altro risolino da ochetta. "Teresa. Teresa, dico a te!"

      Enrica cadde dalle nuvole.

      "Eh? Ah, si. Casa mia è quella e quelli sono i miei occhiali. E lei è la mia amica … Silvana. Non so se vi siete mai conosciuti."

      Con mia sorpresa, sembrava che anche lei avesse capito e stesse al gioco.

      "Oh, no, non credo proprio. Uno così me lo sarei ricordato!" risposi proseguendo nella mia parte da svampita. Non c'è che dire, pensai: recitare mi veniva piuttosto naturale.

      "Anch'io me la ricorderei", rispose mio marito, fissandomi e squadrandomi come forse non aveva mai fatto. "Dimmi, cara: la tua amica si ferma a cena da noi?"

      "Mah, non saprei. Certo, se vuole …"

      "Siete molto gentili, io vi ringrazio molto … ma proprio stasera non mi posso fermare. Sapete, ho già preso un impegno …"

      Non so dirvi esattamente cosa mi avesse spinto a declinare un invito a cena a casa mia da parte di mio marito; e tuttora non me lo riesco a spiegare completamente. Non il modo strano e interessato in cui mi guardava Piero, pensando in realtà di guardare un'estranea; e neppure l'idea che ai suoi occhi, di fianco ad una donna col fisico da attrice ballerina e con la mia testa, lui potesse credere che sua moglie non fosse all'altezza. Del resto, ero sicura che Enrica non sarebbe stata alla mia altezza, povera ragazza; e forse per questo non avevo timore a lasciarla a casa da sola con mio marito. Non erano neanche esattamente da soli, poi: c'erano anche i bambini. Ma la verità era un'altra: e cioè che quella sera avevo una strana ed incontenibile voglia di uscire e di andare a ballare e divertirmi per locali, come mai prima di allora. Certo, avrei dovuto cambiarmi d'abito. Mi serviva almeno un punto d'appoggio. Mi venne subito in mente che per il momento ad Enrica la sua casa - o meglio la sua camera, dato che abitava insieme ad un'altra ragazza - non le serviva di certo.

      "Vi ringrazio tanto, ma devo proprio andare. E' stato un piacere fare la vostra conoscenza. A proposito: e i vostri bambini? Teresa me ne ha parlato tanto! Mi piacerebbe conoscerli."

      Non sapevo quanto mi sarei assentata, e i miei bambini già mi mancavano: volevo salutarli, anche se sapevo che non mi avrebbero riconosciuta.

      "Naturalmente! Li vado a chiamare", mi rispose Piero.

      Approfittai della sua assenza per tirar fuori dalla mia borsa le chiavi di casa e, ragionandoci su, anche il telefonino: li diedi ad Enrica, che mi sembrava ancora nel pallone, chiedendone ed avendone in cambio i suoi. La liberai anche dei miei occhiali, che forse ci invecchiavano ma che mi mettevano molto a mio agio.

      "Che tesorini meravigliosi!" Abbracciai e baciai con sincero affetto quelle pesti dei miei figli, che non capivano chi fossi.

      "Beh, adesso devo proprio andare", dissi infine.

      "Ma sei proprio sicura di non volerti fermare?", mi chiese ancora Enrica con espressione quasi supplichevole.

      "Sì", le risposi. "Ma stai tranquilla: qualunque cosa ti servisse da me, ricordati che hai il mio numero di telefonino nella rubrica del tuo cellulare, e che comunque sai dove abito, giusto?"

      "Giusto", mi rispose lei, ancora poco convinta. "Ma tu controlla di avere la batteria del telefono carica."

      Ci baciammo come due amiche, una delle quali stava affidando all'altra la propria famiglia per non si sa bene quanto né per quale motivo, e augurai loro buona serata.

      Quando chiusero la porta di casa, mi trovai sul pianerottolo da sola con la mia nuova vita.

      Per prima cosa pensai che Enrica poteva avere nel suo guardaroba un vestito da sera più adatto, rispetto al mio, alla gran voglia di ballare che mi sentivo in corpo. Ma mentre infilavo la chiave nella serratura di casa sua, ebbi un'illuminazione: prima avevo qualche altra faccenda da sbrigare.

      I negozi avrebbero chiuso di lì a poco, e forse ero ancora in tempo a trovare l'edicola aperta. Per organizzarmi la serata mi sarebbe stato utile l'ultimo numero di "Lo Specchio magico", quello per intenderci che avevo letto poco prima dal parrucchiere (se non lo avessi trovato lo avrei chiesto a Gino); nonché almeno una guida ai locali notturni della città. Già che c'ero chiesi al giornalaio se avesse altre riviste che parlavano della Silvestrini. Lui mi trovò poca roba, ma soprattutto, guardandomi a lungo, si convinse che io fossi proprio la Silvestrini: mi chiese un autografo, non mi fece pagare niente e mi diede anche altre riviste in omaggio. Niente male come inizio, pensai.

      Ritornato a casa di Enrica la trovai vuota. Misi in carica il suo cellulare e mandai una serie di messaggini al mio numero (e quindi a lei) per ricordarle gli impegni dell'indomani: l'ora della sveglia; cosa mangiano i bambini per colazione; che i bambini dovevano essere accompagnati a scuola pur essendo sabato, spiegandole dove e per che ora, e quando andassero ripresi; ed altre amenità del genere.

      Poi mi studiai le riviste che parlavano della Silvestrini: che locali e che persone frequentava, e i suoi gusti. Aiutato dalle foto mi scelsi il vestito più adatto tra quelli di Enrica. Trovai nel suo guardaroba (anzi, a pensarci bene, poteva essere l'armadio della sua amica) anche una specie di pelliccia sintetica nera che mi piacque molto e che insieme ai miei nuovi capelli biondi ed ai miei occhiali da sole, che per fortuna avevo nella borsetta, mi conferivano un aspetto intrigante e misterioso.

      Così vestita mi recai, in metropolitana, in centro, al ristorante chic in cui "Lo Specchio Magico" aveva pizzicato la mia sosia qualche sera prima. Mi attendeva, ne ero convinta, una serata speciale, indimenticabile.

      "Vorrei un tavolino tranquillo, ma non troppo in disparte: tipo quello che di solito riservate alla signorina Silvestrini, per intenderci."

      E dopo aver detto ciò, sorridendo scherzosamente, mi tolsi gli occhiali da sole per farmi riconoscere.

      "Oh, mi scusi: è lei! Non l'avevo riconosciuta. Sa, di regola viene da noi sempre il martedì … e così, senza averci avvertiti, ci ha preso un po' alla sprovvista. Ma siamo ben contenti che ci abbia fatto questa improvvisata. Purtroppo temo che il suo solito tavolo sia già occupato. Ne sono davvero dispiaciuto …"

      "Oh, non si preoccupi: anche un altro va bene lo stesso."

      "Ecco: si accomodi qui. Apparecchio per due, come di consueto?"

      "No grazie, stasera sono da sola."

      Secondo le riviste avevo già confidato ad alcune mie amiche l'intenzione di sposarmi con … ma lasciamo perdere, pensai, stasera voglio godermi la serata da single, visto che dopo tanto tempo torna ad offrirmisi questa opportunità.

      Gli antipasti arrivarono senza che li avessi ordinati. Bello, pensai; ma poi, aprendo il menù per scegliere il seguito, mi impressionai un poco. Valutai che quella sera avrei speso decisamente parecchio. Respinsi subito con fermezza l'idea, balenatami in mente, di tentare di far mettere in conto la mia cena alla Silvestrini: anch'io, come lei, ero una donna autonoma, indipendente e soprattutto onesta, e per fortuna avevo con me la mia carta di credito. In fondo la bella serata meritava un piccolo sacrificio.

      Così ragionavo mentre assaggiavo i vari stuzzichini, quando il cameriere venne portando sul mio tavolo un mazzo di rose non indifferente.

      "Queste ve li manda quel signore là in fondo con la cravatta rossa."

      Perbacco:


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