Racconti Buonisti. Marco Fogliani
rilassata. Stai tranquilla. Cerca di sentirti più a tuo agio", mi disse in un paio di occasioni, scimmiottando i precedenti consigli dell'aiuto regista. Non pensai ad una sua burla perché certamente, così senza pensarci, lo stavo stringendo troppo: ebbi persino il dubbio di fargli male. Fatto sta che allentai la presa. Lui andò veramente piano ed io mi sentii davvero piacevolmente a mio agio. Tanto mi stavo rilassando che avrei rischiato di addormentarmi in quella posizione, pensai lungo il tragitto. Notai che non stava facendo la strada più breve, ma una specie di giro panoramico della città. Però non dissi niente: anzi, mi piacque molto, e quando mi resi conto che stavamo arrivando a casa ne ero quasi dispiaciuta.
Una volta arrivati, scesi dalla moto, mi tolsi il casco e lo ringraziai.
"Posso darti un bacio?", mi chiese lui a bruciapelo.
"Si", risposi io a bruciapelo, "ma sulla guancia, oppure sulla fronte, se preferisci." Non mi sentivo più coraggiosa come una ventenne, come la Silvestrini, tanto da cominciare una nuova avventura sentimentale, e per giunta proprio sotto il portone di casa mia.
Alfonso mi diede un bacio sulla guancia, ed uno sulla fronte; e ciò bastò per farmi avvampare. "Si capisce subito che non sei un'attrice, e che non potresti neanche mai diventarlo", mi disse sorridendo prima di ripartire in moto.
Probabilmente aveva ragione, e non mi dispiaceva affatto. Attori e attrici divorziano spesso, creando e distruggendo fragili famiglie, riflettei pensando con nostalgia alla mia cara famigliola. Mi toccai la fede sul mio dito, tanto per verificare che fosse ancora lì: fu allora che mi venne in mente che non l'avevo tolta durante le riprese, e nessuno se l'era ricordato. Chissà, magari avevo rovinato tutta la scena.
Tra questi pensieri salii a casa di Enrica, misi qualcosa sotto i denti ed esausta mi buttai sul primo letto che trovai, e mi addormentai.
Mi risvegliai con la suoneria di un cellulare. Che strano sogno ho fatto, pensavo mentre cercavo prima di localizzare la fonte di quel suono e poi, una volta cessato, di orientarmi per capire dove mi trovassi.
Poi suonò il campanello, ed io, realizzato dove mi trovavo e perché, andai ad aprire. Era Enrica, tornata quella di sempre.
"Bene, vedo che anche tu non hai usato la lacca e sei tornata in te. Per fortuna, altrimenti i tuoi figli sarebbero rimasti qualche ora senza mamma."
Mi guardai allo specchio e constatai, con un certo sollievo, che quello che diceva era vero.
"Io sono uscita che loro dormivano. Se ti chiedessero perché … per buttare la spazzatura. E adesso vai, se no potrebbero preoccuparsi o insospettirsi."
Ci scambiammo nuovamente le chiavi e il telefonino. Io presi anche la spazzatura, e uscii di casa a buttarla.
Era domenica mattina presto e, nonostante avessi dormito per un sacco di tempo, mi sentivo ancora assonnata. Rientrai a casa, stavolta la mia, e senza far rumore mi svestii, mi infilai nel mio letto e mi rimisi a dormire.
IL CAMPIONE E LO STUDENTE
“Ha capito la domanda? Giovanotto: mi sta a sentire si o no?”
Riccardo sembrava assente, del tutto indifferente a quanto gli stava dicendo il professore al cui cospetto si trovava seduto per affrontare un esame universitario.
“Ehi, ragazzo: dico a te.”
Il tono di voce stava salendo, segno che il docente stava perdendo la pazienza; ma la giovane assistente intervenne in difesa dello studente.
“La prego, non alzi troppo la voce, professore. Una volta ho avuto a che fare con una ragazza che soffriva di una forma leggera di epilessia. Anche lei aveva dei momenti in cui la mente era come assente. Dicono che in questi casi la cosa migliore sia aspettare che tornino in loro. Gli lasci cinque minuti per riprendersi. Lo conosco bene, ha frequentato tutte le esercitazioni e mi pare un ragazzo molto preparato: non può non conoscere questo argomento basilare.”
“Va bene. Se ha qualche problema di salute, veniamogli incontro; ma non la passerà liscia se scopro che si prende gioco di me. Comunque non abbiamo tempo da perdere. Gli esaminandi sono tanti. Passo ad un altro ragazzo, poi quando ho finito vediamo come si sente.”
L’assistente rimase seduta vicino a Riccardo chiamandolo dolcemente per cognome, e poi anche per nome, e poco dopo riuscì ad avere la sua attenzione.
“Ci sei? Ti senti bene adesso?”
“Si, direi di si. Perché? Cosa è successo?”
“Sembravi altrove. Il professore parlava e tu non gli davi retta.”
“Ho avuto l’impressione … come di essere in volo. Mi sentivo leggero e strano.”
“Hai qualche problema di salute? Che so io, ti è già capitato di avere qualche piccola amnesia temporanea?”
“No, non che mi ricordi. Anche se ultimamente ho fatto un sogno strano. Sognavo che …”
“Allora, giovanotto: si sente meglio adesso?”, intervenne il professore che, vedendolo parlare, si era avvicinato.
“Si, mi sento meglio.”
“Se la sente di iniziare l’esame? Dei suoi sogni, se vuole, ne parla dopo con qualcun altro.”
“Si professore, sono pronto.”
L’interrogazione andò molto bene.
“Le metto trenta, se però mi promette di tenere d’occhio la sua salute”, gli propose l'esaminatore.
Riccardo annuì.
Il professore si era già allontanato, mentre l’assistente procedeva alla verbalizzazione.
“Se può esserti utile, posso darti il nome di un mio amico, docente a medicina e specialista in problemi neurologici. E’ molto bravo, ed opera sia in strutture pubbliche che private.” Riccardo fece nuovamente cenno di si con il capo.
“Non sottovalutare questo problema: potrebbe avere brutte conseguenze anche sul tuo iter scolastico. Hai un’ottima media, e sono convinto che, se non fosse stata per la tua falsa partenza, avresti avuto la lode anche oggi. Sei molto brillante, hai le carte in regola per ambire a qualcosa in campo universitario: borse di studio, dottorato, specializzazioni. A proposito, se vuoi già cominciare ad approfondire questa materia in ottica tesi, vieni pure a trovarmi quando vuoi: in questo dipartimento si lavora bene, e sappiamo apprezzare chi lavora bene.”
Riccardo archiviò anche quell’esame con soddisfazione, preparandosi come sua abitudine a qualche giorno di riposo e spensieratezza; tuttavia le parole dell’assistente lo fecero pensare.
Rifletté non tanto sulla necessità di farsi visitare (“ magari se mi succede ancora; ma un professore di grosso calibro chissà quanto vuole”, pensò), quanto sull’opportunità di iniziare già a interessarsi alla tesi e ad un futuro nell’università. Ma soprattutto doveva informarsi sulle possibilità di borse di studio: sapeva che per papà era un vero sacrificio farlo studiare.
La domenica successiva era già pianificato che sarebbe andato allo stadio in compagnia. Non ci andava mai perché gli sembrava che costasse troppo e perché non era poi così tifoso della squadra cittadina come i suoi amici; ma stavolta la sua comitiva disponeva di un biglietto in più. L’avevano avuto a poco prezzo – gli avevano detto - da un ragazzo che non poteva venire. Se avesse approfondito l’argomento, Riccardo avrebbe scoperto che era un modo carino per festeggiarlo senza ferire il suo orgoglio (perché difficilmente avrebbe accettato di venire senza pagare), e al tempo stesso realizzare il suo desiderio di vedere dal vivo Raul Francisco, astro nascente del calcio brasiliano.
“Peccato che Raul Francisco non giochi nella nostra squadra, ma contro. Guai a te se fai il tifo per la squadra sbagliata”, gli dicevano i suoi amici prendendolo in giro.
Ma perché - vi starete chiedendo - tanta curiosità di vedere all’opera quel giocatore? Semplice: perché tutti dicevano che Riccardo gli somigliava tantissimo. Gli era persino capitato che qualcuno lo