Peccati Erotici Delle Italiane 2. Giovanna Esse

Peccati Erotici Delle Italiane 2 - Giovanna Esse


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chiamo Rosa, ho sessant'anni… e sono piegata sul tavolo della cucina di casa mia.

      Ho i gomiti e gli avambracci poggiati sul piano, per sostenermi; le mani conserte, non giunte, perché non sto pregando! Al contrario… Forse sono in procinto di compiere il più inconfessabile dei peccati della vita mia.

      Non so quanto questo contribuirà alla mia perdizione, ma sono ancora una bella donna. Alla mia età non si può più mentire, o illudersi: il fisico parla chiaro della tua salute, non della tua bellezza. Basta pesarsi; basta che gli acciacchi e i dolori dell’artrite non ti facciano procedere storta, o peggio. Le carni toniche, il culo sodo, i seni consistenti… se a sessant'anni sei così: allora sei, indiscutibilmente, una bella donna… ed io, fortunatamente, sto benissimo. E poi da giovane ero molto bella… è innegabile, basta osservare le foto, che conservo tanto amorevolmente. Nonostante questo, sono quasi certa che, la bellezza, sia solo l’ultima delle attrattive che potrebbero indurmi a essere complice di un esecrando peccato… e, di conseguenza, peccatrice io stessa. La cosa che mi perderà, ne sono certa, è la cultura. L’amore, (che adesso maledico) per la lettura, la conoscenza. La passione per le arti e per i grandi artisti… poeti, pittori, scultori: amanti del bello, per forza di cose e pertanto, irrimediabilmente, lascivi, molli al peccato; promiscui, sessualmente confusi.

      Maledetta! Se non avessi amato tanto la cultura, sarei stata di certo meno sensibile, meno permissiva; non mi sarei persa ogni volta in mille se e mille ma!

      Probabilmente non mi sarei accorta di niente, oppure avrei gestito la cosa “a suon di ceffoni”. Come quelle belle mamme di una volta, che allevavano i figli alla maniera Spartana: o sopravvivevano, maschi e animaleschi, o restavano, per tutta la vita, imbelli, instabili, spesso froci.

      Invece io, a furia di pensare, rimuginare, attendere, sperare, mi sono ridotta così. Piegata, come si suol dire, a 90 gradi, o come ancor più volgarmente si definisce, “a pecora”, sul tavolo della cucina, in una complice penombra. Per rendermi più disponibile, più comunicativa; per trasmettere il “messaggio” che la mia bocca non oserebbe mai profferire, ho cercato anche di abbigliarmi, in modo da farmi intendere. Certo, non ho più nulla della lingerie che indossavo da giovane: apparecchiata, pronta per il piacere di mio marito, né la indosserei. Al posto delle collant contenitive, però, indosso le calze nere, autoreggenti, con la riga dietro. Le avevo in casa da chissà quanti anni, ancora intatte nella loro confezione. Ma comunque non si vedono sotto la gonna, nera e stretta, che mi arriva al ginocchio… chissà, forse stando così, piegata, la gonna dietro è salita un po’ più su? Di sopra porto solo una camiciola, ma niente di comodo, niente di ciò che adopero normalmente per starmene tranquilla, a casa mia. Lo stesso vale per le scarpe col tacco, anche quelle, recuperate dal passato. Niente di speciale, per l’intimo, uso sempre lo stesso da anni: mutande classiche, elastiche, nere o bianche, e reggipetto robusto, indispensabile a contenere la mia quarta di seno. Avrei ancora dei vecchi slip e qualche perizoma, giusto per fare contento mio marito, qualche volta, ma mi sarei vergognata di farmi trovare così… se mai dovesse accadere ciò che temo di più. Una cosa la posso dire, la posso giurare davanti al mondo: non l’ho mai desiderato! Mi sono sorpresa, indignata, divertita, persino sconvolta, ma non l’ho mai desiderato; non l’ho mai sognato, nemmeno nei più irraggiungibili meandri della mia psiche. Solo questa sera, solo adesso, solo in questa posizione di offerta, di attesa, di aspettativa… solo adesso, per la prima volta, nella mia pancia comincia a muoversi qualcosa. Un tramestio caldo, a ondate, non un vero desiderio ma… una specie di preparazione. Qualcosa di animale e di incontrollabile, probabilmente ancestrale: per migliaia di anni, la femmina prona, si è sottomessa al suo maschio. Se ne stava lì, in quella posizione, a volte persino per strada, o nel bosco. Si piegava, e attendeva l’erezione. Si piegava e si posizionava favorevolmente, per rendere facile e rapida la penetrazione.

      Decisa, per capire

      Sono passati quasi vent'anni da quando mi accorsi che qualcosa non andava…

      La mia ragazzina aveva circa tredici anni e suo fratello due di meno ma lui era già curioso, attratto dal sesso, nonostante fosse così piccolo. Non perdeva mai l’occasione se si trattava di guardarmi, sotto la doccia, quando mi cambiavo, e faceva di tutto per toccarmi, o per strusciarsi sulla mia intimità. Non ci si faceva troppo caso, ci scherzavamo sopra e tutto finiva lì. Cose da ragazzi, mi dicevo, e pure mio marito la pensava come me. Crescendo, però, le manifestazioni fisiche aumentavano invece di diminuire. Troppe effusioni nei confronti della mamma per essere un ragazzo così cresciuto… e sempre, sempre, quel mettermi le mani addosso, come tentacoli di una piovra. Tant’è vero che, cogliendomi spesso impreparata, mi dava fastidio e, a volte, lo redarguivo.

      Una volta, distratta dai lavori di casa e inseguendo chissà quali pensieri, entrai nel bagno senza bussare. La porta era appena accostata; avevo le mani impicciate e spinsi l’anta col piede per aprire. C’era mio figlio, dentro, ma ci misi qualche momento a capire ciò che mi si parava davanti agli occhi. Il ragazzo era seduto sullo sgabello, il tronco all’indietro, le gambe allungate e aperte. In equilibrio precario e gli occhi socchiusi, stava venendo, masturbandosi, esattamente nel momento in cui realizzai ciò a cui stavo assistendo. Sono certa che il poverino non mi vide, non fu per malizia che sborrò davanti alla mamma, almeno… non poteva prevedere che sarebbe accaduto. E’ molto probabile che si sarebbe fermato, ricomposto, se solo fossi entrata trenta secondi prima. Ma adesso, nel pieno dell’acme, gli occhi chiusi e il corpo rigido per l’emozione, non avrebbe potuto bloccare l’orgasmo. Infatti venne copiosamente, eruttava continuamente dal pene i fiotti bianchi, sembrava non finire mai… ed io, là, immobilizzata dalla sorpresa; incapace di decidere subito quale sarebbe stata la cosa più giusta da fare. Quando si riprese e si accorse di me, si raggomitolò su se stesso in preda al panico. Non lo sgridai… non feci niente: dovevo essere, a mia volta, uno spettacolo. Ferma sulla porta, con gli occhi sgranati, con tutti i panni che mi erano caduti dalle mani, sparsi sul pavimento. L’imbarazzo più totale ebbe il sopravvento… tornai sui miei passi senza nemmeno accostare la porta. Quel giorno mi tenni pronta a rispondergli, qualunque cosa il mio ragazzo avesse detto a sua discolpa, ma lui non disse assolutamente niente; semplicemente, per quello e per i giorni successivi, fece del suo meglio per evitarmi. Soprattutto evitava accuratamente di guardarmi negli occhi, anche quando parlavamo tra di noi. Di quell’episodio non trovai mai l’occasione per parlare a mio marito. Il tempo passò ed io sperai che tutto fosse dimenticato, con la crescita e con le frequentazioni di un giovanotto. Il mio ragazzo era pieno di amici, simpatico e benvoluto. Questa per me era solo una grande gioia!

      Ma una mamma vede meglio di un gatto, naturalmente… Così mi accorsi che alcune cose continuavano a capitare, ma adesso non ero più una sprovveduta. Tenevo un certo controllo della situazione; mi ero addirittura preparata dei “discorsetti” ad hoc, da adoperare in caso di bisogno, per rimettere in riga quel mio ragazzo, un po’ troppo innamorato della sua mamma.

      E delle cose avvennero… Qualche volta si masturbava in camera sua; qualche volta sotto la doccia. Quando ci capitava di restare soli, a volte lasciava le porte socchiuse e non soffocava con troppo impegno i suoi mugolii e i suoi sospiri. Io lo controllavo discretamente, tenendomi pronta a rintuzzarlo, ma non accadeva niente di più, niente che giustificasse un mio intervento troppo drastico o crudele. E così, combattevo la mia piccola battaglia sempre con la stessa arma: l’indifferenza. L’altra cosa che capitava, e sempre quando eravamo soli, era collegata a una sua vecchia abitudine: con l’arrivo della stagione calda, andava in giro, quasi sempre, con addosso solo gli slip. Ora che era grande, in casa ci stava molto meno ma, in compenso, quando circolava in mutande, era sempre, immancabilmente e visibilmente, in stato di erezione.

      Ricordi e timori

      Una volta sì… una volta fui sul punto di intervenire sul serio, anche se non ero chiamata in causa direttamente. Una notte, in camera della sorella,


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