Il Fiume Di Gennaio. Enrico Tasca

Il Fiume Di Gennaio - Enrico Tasca


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il difficile. Tra l'altro gli anni passavano velocemente e la pensava come recita il detto popolare: ogni lasciata è persa.

      Osservando la gente si divertiva a catalogare i vari passeggeri in attesa dell'imbarco. C'era la famiglia brasiliana composta da padre, madre e due figli maschi tutti sovrappeso, per non dire obesi. I ragazzi passavano il tempo a giocare con il cellulare, piluccando contemporaneamente delle patatine fritte da un sacchetto, la mamma leggeva una rivista scandalistica brasiliana e il papà sonnecchiava. Erano vestiti con abiti lussuosi, ovviamente firmati, ma l'aspetto celava una cafonaggine di fondo che il denaro non riusciva a cancellare. C'era poi il manager italiano che leggeva il Financial Times, passeggero della Business Class molto probabilmente. Guardava tutti con aria un po' schifata chiedendosi cosa ci stava a fare un signore come lui in mezzo a tanti plebei. E c'era poi un gruppetto di giovani che rideva e scherzava. Una coppia di anziani che si teneva per mano. "Che tenerezza - pensò Federico - a me non succederà mai di sicuro".

      Ripensava alle donne della sua vita. A parte le prime cotte giovanili che non contano perché sono più che altro conseguenza di tempeste ormonali, nessuna donna gli aveva fatto venire voglia di mettere su famiglia. Finché non aveva conosciuto Luma. Lei era il calore di Rio, la ragazza di Ipanema, Jemanjà la regina del mare, madre di tutti gli Orixà, la gioia di vivere mista ad una sensualità naturale, non ostentata, anzi quasi celata per paura che gli uomini se ne accorgessero e pensassero chissà cosa di lei. Luma era un prodotto di Rio, la cidade maravilhosa che ricorda un teatro immenso, il cui palcoscenico sono le spiagge spaziose e le passeggiate a mare, dove gli attori recitano improvvisando liberamente e il fondale è l'oceano con le sue onde quasi sempre infuriate e travolgenti.

      Ma Rio è anche violenza e insicurezza, e Federico ne sapeva qualcosa, visto che una volta era stato rapinato in pieno giorno, davanti a São Conrado. Ragazzi provenienti dalla favela della Rocinha, la più grande del mondo, coi suoi 150.000 abitanti. Era divisa in bande di narcotrafficanti, Comando Vermelho, Amigos dos amigos, ed era anche il regno dei bicheiros, gli organizzatori del gioco del bicho, che era una specie di lotteria clandestina, legata ai nomi di animali, che utilizzava le estrazioni settimanali della lotteria nazionale. Era diffuso soprattutto tra la gente umile, che sperava, con un investimento minimo, di poter essere baciata dalla fortuna. I bicheiros non erano solo temuti, ma anche rispettati perché usavano parte dei loro illeciti guadagni per finanziare le scuole di samba che sfilavano nel sambodromo durante il carnevale.

      Quando aveva incontrato per la prima volta Luma abitava anche lui a Ipanema, erano bei tempi. Ricordava ancora come si erano conosciuti, presentati da un comune amico. Allora Luma aveva una specie di fidanzato, un compagno di università, ma non era tanto convinta di aver fatto la scelta giusta. Federico la martellò per mesi, riempiendola di regali e facendole il lavaggio del cervello. Era troppo innamorato per rinunciare a lei e alla fine la spuntò. Era così cotto che la prima volta che andarono a letto insieme non prese precauzioni e Luma rimase incinta al'inizio della loro relazione.

       Estela era un po' stanca. Aveva appena compiuto 37 anni e si rendeva conto che anche il suo fisico cominciava ad accusare gli strapazzi. Aveva scelto la compagnia di bandiera portoghese per motivi economici, ma sapeva che avrebbe dovuto fare uno scalo a Lisbona alle 5 del mattino e non sarebbe arrivata a Milano prima della tarda mattinata del giorno dopo, venerdì. Poteva anche permettersi la business class, ma i soldi li metteva tutti da parte ed evitava di sprecarli. Non avevano ancora annunciato il volo, quindi si trovò una sedia dove rilassarsi finalmente dopo una giornata di fuoco. Non era stata in vacanza. Un suo amico fotografo le aveva chiesto di fare un servizio sul carnevale che si sarebbe svolto tra poco. Si trattava di presentare dei costumi e pagavano bene, non poteva quindi rifiutare, anche perché il vero motivo del viaggio era quello di gettare le basi per una eventuale futura attività commerciale nel campo dell'abbigliamento, nella quale era coinvolta anche la sua vecchia amica Elza. Era anche riuscita a salutare rapidamente suo fratello, che viveva a Niteroy, ma si era fermata solo tre giorni a Rio. Non aveva detto niente neppure al suo ragazzo per evitare che le facesse troppe domande. Tanto sapeva che era all'estero per lavoro e non avrebbe potuto controllarla dal momento che nel residence dove abitava non aveva l'uso del telefono fisso. Appena sistemata, i pensieri svanirono dalla sua mente e si appisolò come un neonato dopo la poppata.

       Beatriz continuava a guardare l'orologio con una leggera apprensione, avevano annunciato un piccolo ritardo, ma sapeva bene come andavano certe cose. Non ti dicono mai la verità e il ritardo spesso aumenta senza che i poveri passeggeri ne conoscano i veri motivi. Problemi tecnici, ritardato arrivo dell'aeromobile, traffico sulla pista, insomma c'è sempre qualche scusa pronta. Aveva detto in banca che sarebbe andata a lavorare il venerdì pomeriggio, c'era una riunione importante dopo l'orario di chiusura, e non voleva assolutamente mancare. Era in predicato per una promozione e la sua assenza alla riunione avrebbe fatto sicuramente imbestialire il suo capo, che aveva un carattere piuttosto spigoloso, per usare un eufemismo, quindi stava sulle spine. Se perdeva la coincidenza a Lisbona non avrebbe più trovato un volo che le permettesse di arrivare in tempo, quindi, pur essendo agnostica, sperava che qualche Orixà le desse una mano. Non che credesse nella Macumba, non era mica baiana, ma talvolta le piaceva pensare che ci fosse lassù qualcuno o qualcosa che avesse la capacità di proteggerla. Forse era suo padre a tenerla sotto la sua ala protettrice. Quando era morto lei aveva sofferto moltissimo e per anni aveva mantenuto l'abitudine di andare al cimitero dove era sepolto e gli raccontava della sua vita, delle sue speranze, delle sue delusioni. Confidenze che raramente faceva alla madre. Come le mancava! Ancora adesso, dopo tanti anni, soprattutto nei momenti in cui si sentiva un po' sola, pensando a suo padre si metteva a piangere. Non era giusto. Le avevano portato via la persona più gentile del mondo, alla quale voleva un sacco di bene e nessuno avrebbe mai potuto rimpiazzarlo.

      Sul pannello delle partenze intanto il ritardo del volo TP 0074 era passato da 15 a 25 minuti. Di hostess e steward in giro neppure l'ombra. Beatriz cominciava a preoccuparsi e le dava molto fastidio essere trattata come un pacco postale. La sua timidezza di fondo le impediva di alzarsi e andare a cercare qualche addetto che potesse darle delle spiegazioni. Ormai aveva passato il controllo della polizia e fatto il check-in da un pezzo e nell'area imbarchi non aveva visto sportelli informazioni. Pensò che sicuramente avrebbe provveduto qualche passeggero più intraprendente di lei a chiedere ragguagli e cercò di prendere le cose con filosofia, come le diceva la mamma che quand'era bambina aveva fatto di tutto per farle vincere le sue insicurezze.

       Estela si era seduta proprio di fronte a Federico che la guardava di sottecchi. Quando si accorse che aveva chiuso gli occhi si mise a osservarla meglio, sperando di non dare l'impressione di essere un vecchio mandrillo. La ragazza era veramente splendida, anche se qualche rughetta intorno agli occhi, forse dovuta alla stanchezza, rivelava un inizio di perdita della freschezza giovanile. Portava in braccio un giubbotto di piumino d'oca di marca, dal momento che a Milano era pieno inverno, ed i pantaloni lunghi impedivano di vedere le gambe, ma Federico non faticava ad immaginare che fossero splendide, come il resto. Sotto la camicetta si intravedeva un seno ben proporzionato, che non aveva bisogno del sostegno di un reggiseno. Insomma una vera opera d'arte.

      A proposito di Milano, prima aveva sentito dire da un passeggero che nel nord Italia stava nevicando, cosa d'altra parte piuttosto prevedibile in gennaio. Malpensa, dove sarebbe atterrato dopo lo scalo di Lisbona, era abbastanza attrezzata per la neve, ma "abbastanza" alle volte non era sufficiente. Gli era già capitato di essere dirottato a causa della neve, comunque non aveva fretta di arrivare a destinazione. Restava il fastidio dell'attesa, ma era già preparato a un viaggio di molte ore e in un certo senso rassegnato. Guardando Estela con più attenzione di quello che aveva fatto prima, gli venne in mente che forse quel volto e quel corpo li aveva già fotografati, ma non era sicuro. Un tempo era molto fisionomista, ora, passato da un pezzo il mezzo secolo, cominciava a ricordare meno. Il fatto è che con il suo mestiere aveva incontrato e fotografato tanta di quella gente, che difficilmente riusciva a ricordarne i volti e le fisionomie.

      Decise di andare in bagno prima che iniziasse l'imbarco. Si portò dietro il trolley perché dentro aveva la sua attrezzatura fotografica. Guardandosi nello specchio vide un signore dai capelli ancora folti e ricci, ma con un colore che da grigio stava passando inesorabilmente al bianco. Il viso, a parte


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