Peccati Erotici Delle Italiane, Volume I. Giovanna Esse

Peccati Erotici Delle Italiane, Volume I - Giovanna Esse


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sua “madrina” resero la principessa euforica, come ubriaca. Abbandonò ogni freno inibitore e si avventò con le mani sul petto e sulla pancia che li sosteneva, con le mani bramose di toccare.

      Il silenzio indifferente e annoiato, che spesso era stato causa di dolori d’amore nella giovane principessa, ora, era benedetto. L’eccitazione la rendeva temeraria… e, miracolosamente, la donna, immobile, si lasciava sballottare, tastare, annusare, senza dare segni, né di fastidio, né di apprezzamento; buon per Alba, che aveva perso la testa. Adesso era quasi pronta al passo decisivo; la vicinanza del viso e della bocca a quel seno generoso, la invitava a fare una cosa che ancora non aveva osato mai: prenderlo tra le labbra con tutta la passione. Quel primo bacio, erotico, estremo, avrebbe segnato la fine di ogni compromesso…

      La voce della Fata arrivò, pacata ma decisa, del tutto inaspettata, come uno schiaffo sulle mani. La matrona uscì all’improvviso dal suo torpore sibillino. Risorse e, voltandosi verso Alba, la fissò con gli occhi scuri, ardenti come braci:

      Â«Ma ti piace veramente quello che stai facendo?»

      Alba saltò indietro; ritirò la mano. S’irrigidì come fosse stata colpita da un ceffone.

      Nonostante la donna continuasse a rimanere immobile sul divano, con i seni al di fuori dell’abito stretto; nonostante l’orlo sottostante, sollecitato dai moti di Alba, fosse salito fino a scoprire del tutto le grandi cosce, mostrando persino la mutandina bianca, fu Alba a sentirsi messa a nudo; si sentì scoperta, in un gioco che, follemente, aveva pensato di poter occultare. Caduto d’improvviso l’eccitamento, si vergognò di aver tanto approfittato, esagerato, usurpato. Aveva invaso l’amicizia bonaria della fata, frugando sempre più il suo corpo, senza mai averne ottenuto il permesso, esplicitamente.

      Quel giorno aveva di certo esagerato e provò, in pieno, tutta la violenza della sua trasgressione. Rimase impietrita mentre, completamente sobria dopo la sbornia di piacere, desiderava sprofondare, pur di non dover ammettere il suo mortificante atteggiamento.

      

      

      ***

      

      

      Il tempo si era fermato nel soggiorno. Tutto sembrava tacere, persino la TV.

      La Fata di Ferro, impassibile come un’aguzzina, scrutava l’anima di Alba, passandole attraverso gli occhi, chiari come l’acqua. Poi, finalmente, sul suo viso si disegnò un leggero sorriso che odorava di panna montata. Riprese la sua posizione comoda sul divano e, lentamente, cercò la mano di Alba, riportandosela sui seni cedevoli. Appena la ragazza si sciolse dalla morsa della paura, vi poggiò la testa, lasciando scorrere dagli occhi qualche lacrima di gioia. E allora la fata l’attirò a sé fino a quando la bocca non si trovò proprio sul capezzolo.

      Â«Tu lo sai che tutto questo è proibito? Saprai mantenere il segreto?» le sussurrò all’orecchio. Liberandosi la bocca dal bacio perverso ma dolce, Alba promise con tutta l’anima:

      Â«Non dirò mai niente a nessuno di quello che accade tra noi... qui. Te lo giuro sulla mia vita!» La fata abbassò lo sguardo e le loro labbra si incontrarono: le sue erano carnose e pronunciate, e si schiusero alla curiosità della fanciulla. Alba non sapeva bene come fare, ma il contatto fu inebriante. Un attimo dopo si ritrovò sulla lingua un succo oleoso e trasparente: era la saliva della sua amante. Passando da una bocca all’altra il liquido si abbassava di temperatura, portandole in bocca una freschezza sconosciuta e nuova. Non credeva di resistere a quel sapore senza svenire, ma si fece forza.

      Â«Nooo!» non riusciva a credere che tutto stesse veramente succedendo. Quella penetrazione tra le labbra era la cosa più intima e segreta che le fosse mai capitata. Quando le due lingue si catturarono, Alba voleva piangere ancora per l’emozione. Non poteva immaginare che quello era solo l’inizio dei loro balli proibiti.

      8 – Prendersi: esercizi, scaramucce, perversioni

      (Realtà)

      Â«Sto tanto bene con te, mi piace toccarti tutta e desidero da tanto che anche tu mi accarezzi» disse Nicòle.

      Â«Sei certa di volerlo? Desideri davvero un contatto più intimo?» disse Flora, mentre stavano abbracciate con le guance che si sfioravano.

      Â«Sì. Lo desidero da mesi: voglio che mi tocchi anche tu!» poi aggiunse sussurrando «Lo so bene che mia madre non accetterebbe tutto questo, ma io non dirò mai niente. Io voglio solamente essere tua!» Flora sorrise e si lasciò finalmente andare, come si fosse sciolta da un legaccio, un blocco ne inibiva le emozioni. Era ora di raccogliere i frutti dei suoi segreti maneggi e della sua tenacia. La baciò ancora sulle labbra con complicità, e le sue mani iniziarono a muoversi. Scivolarono sotto lo spesso maglione e le cercarono le spalle, e si saziarono di quel corpo giovane tanto a lungo bramato. Dalle spalle scesero sui fianchi, poi, da sopra le calze scesero alle natiche, strette e sode. Conobbero le sue gambe, per poi risalire, strisciando i polsi sul pube, ma senza soggiornarvi... almeno per il momento.

      Le carezze proseguirono di nuovo verso l'alto, tornando sotto la maglia e raggiungendo i piccoli seni appuntiti, sbocciati da poco e durissimi. Arrivate all’aureola rosa si fermarono e Flora fissò Nicòle con un sorriso di sfida; aspettava un permesso che non le fu negato. Allora sapientemente seppe pressare e tirare quelle collinette acerbe. Le circondava e le massaggiava; dopo averla baciata ancora si diresse, con la bocca, sulla maglia, sottoponendo i piccoli seni alla voracità delle sue labbra. Con l’alito tiepido oltrepassava la lana, inondando la ragazza di un calore nuovo e inebriante.

      L’eccitazione divenne sogno quando, con movimenti voluttuosi, Flora fece scivolare verso l’alto sia la maglia che la canotta leggera, col contatto diretto delle labbra sui bottoni rosa, duri come madreperla.

      La ragazza aveva il fuoco nel ventre. Il desiderio la rimescolava tutta, non sapeva come, ma voleva da quella donna tutto ciò che l’eros poteva offrire. Nicòle non poteva sapere che quella danza era solo l’insieme dei preliminari. Infatti, qualche minuto dopo, Flora si alzò, chiuse la porta a doppia mandata e le prese la mano. Scalze, come ninfe dei boschi, salirono al piano superiore dove c’era la camera da letto.

      La fece stendere pressandola delicatamente, e poi si accovacciò sulla giovane, mettendosi a quattro zampe, come una cagna; intanto i seni sconfinati precipitavano sul collo e sul petto di Nicòle.

      Â«Tesoro mio, adesso puoi guardare e toccare… tutto. Non ti devi più trattenere. È da tanto che lo desideravo, piccola mia.» Si scostò una ciocca con le dita. «Finalmente…» aggiunse, quasi commossa per l’estasi di quei momenti.

      Allora Nicòle, con un gesto liberatorio, le aprì tutti i bottoni e lasciò che la veste scorresse via, lasciando la sua fata finalmente nuda, in tutta l’opulenza delle sue morbide forme: ora le si mostrava tutta davanti agli occhi vogliosi.

      Cominciò a godere già solo a guardare le curve muliebri che aveva desiderato per mesi. La possedette con lo sguardo, come un bambino che diventa padrone del giocattolo che anela da tanto. Libera, Nicòle cominciò a tastare la donna, studiandone prima i seni, poi la pancia e i fianchi.

      Flora indossava ancora le mutane bianche. Curiose di provare, le dita di Nicòle frugarono sotto l’elastico, voleva scoprire fin dove si poteva spingere oltre quella nuova frontiera della sensualità; cercò l’orlo e iniziò a sfilarle. La donna si abbandonò a quel piacere così fresco, e Nicòle, seguendo il suo corpo col tatto, ebbe l’occasione di esplorare tutta la sua carne, fino ai piedi, nudi e caldi, che tante volte aveva desiderato baciare. Ora, la grande dama era tutta nuda e tutta sua: che piacere inatteso!

      Come un dono d’amore, anche la giovanetta si offrì:

      Â«Prendimi anche tu,


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