Peccati Erotici Delle Italiane, Volume I. Giovanna Esse

Peccati Erotici Delle Italiane, Volume I - Giovanna Esse


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le sfilarono tutto, scorrendo sulla pelle e facendola vibrare. Languidamente le tolse le calze strappate, facendole scivolare sulle lunghe gambe da gazzella. Le dita leggere sfioravano i piccoli seni, che reagivano, autonomamente, a ogni sua carezza. Con fare materno sistemò la biancheria su un cuscino. In poco tempo, anche la ragazza venne completamente spogliata.

      Per Nicòle, starle di fronte era come volare: vedere per intero il suo corpo, la faceva sentire sospesa in uno stato conturbante, mai provato prima.

      Essere così nude fece sì che si fondessero in un abbraccio totale, ogni centimetro di pelle veniva a contatto, combaciando. Distese sul letto, le mani di Flora, immediatamente seguite dalle sue labbra, iniziarono quel viaggio passionale che mai più si sarebbe cancellato nei ricordi di Nicòle.

      Le sue dita addosso erano come scintille, lava incandescente. Scivolavano, assetate di carne; appena dopo le dita, arrivava la bocca, umida di fiato e di saliva, sembrava fumare: una bava ardente lasciava, sul corpo ancora acerbo, emozioni mai provate. La scia evaporava subito, per la febbre dell’amore e procurava brividi di eccitazione incontrollabili. Nicòle era in trance. Viveva tutto come fosse in un’altra dimensione. Le sensazioni nuove erano intense, violente, eppure ovattate: come se la mente le vivesse sotto l’effetto della più inebriante delle droghe.

      Finalmente, dopo il lungo peregrinare, le dita raggiunsero la piccola farfalla che, come appena sorta dal bozzolo, se ne stava immobile e contrita, in attesa che la natura le insegnasse a schiudersi al piacere. Ciò che sembrava l’apice insostenibile della goduria si rivelò solo l’alba del sentiero proibito, durante quell’accoppiamento, tremendo, innaturale.

      La mano di Flora si dedicò al gioiellino della giovane Nicòle: la carezzava, la confortava… l’avvisava di tenersi forte, perché l’affondo stava per giungere. Infatti, pochi momenti dopo, la bocca carnosa discese implacabile, affamata. Ghermì la farfallina, violentandone le ali piene di rugiada, spaccandola fino al vertice con la lingua possente e decisa. La bocca tutta premeva; la lingua penetrava inarrestabile: come il canino di un vampiro assetato di miele. Flora penetrò nel sacello bagnato e, al tempo stesso, infuocato dalla passione.

      Un suono osceno si sprigionava da quella scena erotica. La dolcezza aveva lasciato il posto all’ingordigia. Un fulmine elettrico, squarciante, luminoso, partì dal ventre di Nicòle e percorrendo ogni suo muscolo più recondito, raggiunse il cervello, facendola sobbalzare per l’emozione.

      Un piacere mai provato, sconosciuto persino nelle notti solitarie in cui si martoriava il sesso. Flora le stette addosso con la stessa forza di un maschio che vuol possedere la preda conquistata. Pur senza deflorarla, la fece sua ripetutamente, forse in maniera ancora più veemente; marchiandola per sempre col suo peso e con le lettere infuocate del suo incontenibile desiderio. La infilò col medio, rigido, e poi anche l’indice riuscì a passarle dentro.

      L’orgasmo… gli orgasmi di Nicòle iniziarono pochi minuti dopo quelle ondate di pressione, nella sua carne che si squassava. Dopo non fu possibile contarli, così come poi non sarebbe stato possibile contare i giorni d’amore e di piacere che avrebbero vissuto in seguito. Tutte quelle ore insieme le avrebbero trasformate in amanti indivisibili.

      Quando Nicòle cercò di ricambiare, dirigendo la bocca verso i luoghi segreti della donna, Flora non le permise di raggiungerli. La ragazza si dovette accontentare di poggiarle la guancia sul ventre, mentre cercava di aspirare, vicinissima all’intimità della donna, tutto l’odore che ne sprigionava.

      La sua amante le accarezzò la mano e, delicatamente, la guidò, così le concesse di avventurarsi dentro di lei ma solo con le dita. Nicòle cominciò a scavare e a rovistare, come fosse la padrona; sguazzava felice in quel mare di umori. Di nascosto, si leccava le dita, per riprendere subito dopo il suo ditalino. In pochi minuti anche Flora esplose, senza più controllo. Appena Nicòle capì che la sua istitutrice stava raggiungendo l’acme, cercò, con l’altra mano, la sua natura e si associò a lei nel novello piacere che, liquido e sonoro, la fece sciogliere… come se svenisse, in un lago peccaminoso. Godere insieme fu inconcepibile, iniziandole subito a una comunione che mai più si sarebbe potuta ignorare.

      Per la giovane Nicòle, questa fu la prima, vera esperienza sessuale, e fu tutta al femminile. Andava ben oltre il semplice sesso; sfociava nell’emozione d’amore: un'emozione che mai, nella sua vita, sarebbe stata eguagliata. Per quanto piacere potesse mai assaporare, nessuna relazione avrebbe retto il paragone con quella prima, indelebile, avventura. Quel paio d’ore intense e travolgenti restarono impresse nei suoi ricordi come un livello di estasi ineguagliabile.

      Spossata, si accucciò sotto il corpo della sua fata, dopo il sesso sfrenato, adesso, cercava l’amore incondizionato.

      

      

      E si addormentò.

      9 - Intermezzo magico

      (Fiaba)

      L’estate torrida passava e scaldava i sensi, mentre i corpi seminudi delle due amanti, la giovane principessa e la fata matura, si mostravano e si avvinghiavano, schiavi dello stesso desiderio.

      Anche l’autunno venne, con la sua dolce pacatezza, le invitava a cercarsi e a possedersi, approfittando di ogni occasione.

      Poi l’inverno, e il freddo le teneva vicine, pelle contro pelle, sotto un’unica coperta, profumata di piacere.

      Finalmente, a primavera le loro farfalle fiorivano ed erano eccitate più che mai: il momento migliore, per affondare la bocca nell'altra, manipolandola fino a quando, dalla corolla, intensamente profumata e dolce come il miele, si decideva a sgorgare l’acqua di rose dell’amore.

      E così, mescolandosi l’una nell'altra, in un amalgama di sesso e passione, le donne passarono le stagioni di quell'amore avvincente e perverso. Alba cresceva e imparava; la Fata di Ferro provava un intenso languore, lasciandole una parte dominante sul possesso del suo corpo maturo. La principessa, oltre ad amarla, si divertiva a giocare con lei e a sottometterla ai suoi capricci.

      Spesso la fata si accontentava di inginocchiarsi ai piedi del grosso divano, facendole da serva, da schiava. Il suo omaggio servile partiva dai piedini di Alba. Poi la massaggiava, la baciava fino all’estremo, lasciandola, alla fine, riposare sotto il suo abbraccio materno. Pian piano le faceva scoprire il piacere in tutte le sue possibili sfumature. Prima concedette tutto di sé, poi iniziò anche a cercare il gusto del possesso di lei. Le insegnò tutti i giochi e le furbizie, le permise di usare oggetti erotici, per imparare a dare virilmente piacere a una donna. La principessa giocava e sperimentava. Amava prendere la fata, da ogni parte, godeva nel vederla ricevere le sue spinte penetranti, in ogni meandro.

      La donna godeva dell’ingenuità di Alba, ogni giorno più provata, più curiosa, più smaliziata, nella ricerca sfrenata della passione. La fata, adesso, prendeva piacere dalla sua discepola.

      Di notte, poi, la fata, più matura e scaltra, sola nel letto, mentre ascoltava il frinire delle cicale, si arrovellava cercando nuove perversioni per poterle esercitare l'indomani. Non le sembrava vero di poter coronare i suoi sogni più inconfessabili, servendosi di quel corpo, tenero e giovane, e di quella mente fertile e incantata.

      L’aveva tenuta vergine fino ad allora, ma un giorno decise di sferrare il suo incantesimo erotico più potente.

      Nel frattempo i genitori della principessa, ignari di quanto accadeva, si concentravano sulle loro vite complicate. La regina si fidava ciecamente dell'amicizia che la legava alla fata. Nonostante avesse intuito che, in quella casa di marzapane, avveniva qualcosa di più che il solo sorbire del the con i biscotti. Ma tutto era tranquillo, grazie a quel rapporto tanto speciale. L’amica era dolce e paziente, la principessa veniva su felice e robusta, e lei, la madre, era più libera che mai.

      Andava bene così. Indagare sarebbe stato inutile


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