Castel Gavone: Storia del secolo XV. Barrili Anton Giulio

Castel Gavone: Storia del secolo XV - Barrili Anton Giulio


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son genovesi!—notò mastro Bernardo tra sè.—Indi, a voce alta proseguì:

      –Vedo che voi, magnifici messeri, siete amici del nostro Marchese, che Iddio prosperi e innalzi su chi gli vuol male. Di certo siete qua venuti per fargli una sorpresa….

      –Vedi il destro arcadore! Ei l'ha imberciata alla prima. Sicuro, siamo venuti a fargli una sorpresa, e sarà più contento egli di veder noi, che non tu di buscarti un genovino d'oro.

      –Moneta del nemico, è sempre buona a pigliarsi;—si fece a dire quell'altro, che il Picchiasodo chiamava rispettosamente messer Pietro;—e anche non amando i genovesi, si possono avere in pregio i genovini.

      –E' sono il meglio di quella gente là!—rispose mastro Bernardo, ridendo liberamente, da uomo che non aveva più sopraccapi.—Ma ecco la frittata, magnifici messeri;—soggiunse, vedendo tornare il Maso e levandogli di mano il piatto, con quel disco appetitoso nel mezzo;—guardate se non par d'oro anche questa.

      –Or ora ne faremo il saggio;—disse il Picchiasodo.—Ma guardate, messer Pietro, voi che siete così vago della bella natura; guardate com'è bene indorata dal sole quella vetta laggiù. Di' su, amico ostiere, come si chiama?

      –È la roccia di Pertica,—rispose mastro Bernardo.

      –La è proprio a cavaliere del castello;—notò il Picchiasodo.—Io, per me, se fossi nei panni del Marchese, temerei sempre di vedermi cascare di lassù un genovese sulla groppa.

      –Sì, se un genovese avesse l'ali!—disse asciuttamente mastro Bernardo.

      –Che? non ci si sale, fino a quel colmo?

      –Che io mi sappia, non ci ha mai posto piede anima nata. E' bisogna vedere la roccia alle spalle, là dalla parte di Calice. Gesummaria! Se un negromante non ci scava i gradini nel vivo, gli è come volersi aggrappare ad uno specchio.

      –Uhm!—borbottò il Picchiasodo.—E quell'altro cocuzzolo sulla Caprazoppa?

      –È la roccia dall'Aurèra.

      –Mi pare di vederci un segno di strade.

      –Strada romèa, messere; ma ora la è guasta per modo che nessuno più se ne giova. Per altro, a che servirebbe, lassù?

      –Adagio a' ma' passi!—gridò il Picchiasodo.—Qui ti vien meno il tuo senno, degnissimo ostiere. Non mi dir male de' romani! Non c'eran che loro, per capir certe cose. Vedi; una strada su quel monte la ci voleva, come un bicchier di vino su questo boccone. Strade sui monti, dico io; in pianura, quasi quasi se ne potrebbe far senza; uomo, o macchina, o bestia da soma, tutto ci passa a bell'agio; ma su per l'erta d'un monte, sul fianco d'una costiera, e va dicendo, s'ha a far come Annibale, lavorar coll'aceto. Ne hai tu dell'aceto?

      –Padrone,–entrò a dire il Maso,—c'è quella botte di vinello fiorito, che potrebbe….—

      Così disse il ragazzo, ma non continuò il discorso, poichè mastro Bernardo con una occhiata furibonda gli troncò le parole, e con una pedata non meno espressiva gli fe' prendere il volo verso l'abbaìno.

      –Ne avrete fatto, di strada;—disse l'ostiere, tornando a' suoi ospiti e cercando di ravviare la conversazione;—ne avrete fatto molta, messeri, pervenire fin qua!

      –Molta;—rispose il Picchiasodo, colla bocca impacciata da un boccone più grosso degli altri.

      –E…. se è lecito il chiedervi….

      –Ostiere!—interruppe quell'altro, con piglio tra il burbero e il faceto.—Che diavol ti piglia, di voler sapere il nostro itinerario?

      –Scusate, magnifico messere…. volevo dire…. Siccome so che il nostro Marchese aspetta per l'appunto qualcuno….—

      Il Picchiasodo era per dirgli dell'altro in quella medesima chiave; ma messer Pietro, più accorto, indovinò il profitto che si poteva ritrarre da quelle mezze parole dell'oste, e vogò destramente sul remo al compagno.

      –E chi aspetta, di grazia?—domandò egli a mastro Bernardo.—Ne hai già imbroccata una, dicendo che siamo venuti per fare una sorpresa al tuo nobilissimo signore; vediamo dunque; indovina quest'altra!

      –Ma….—disse l'ostiere, gonfiandosi a quella lode (e se avesse avuto un cencio di coda, si sarebbe provato a fare la ruota)—si parla in paese d'un certo matrimonio….

      –E di chi? Va innanzi!—prosegui messer Pietro, ugnendogli le carrucole.

      –Eh, meglio di me lo saprete voi, magnifico messere. Io non lo conosco, ma dicono sia un uomo d'assai, che ha terra e castella ed ogni ben di Dio, là dalle parti di Torino….

      –E la sposa? Che ne dici tu?

      –Madonna Nicolosina? Ah, quella è un occhio di sole…. un bottoncino di rosa!… Diecisette anni, messere, diecisette anni a san Nicola, che casca tra dieci dì, salvo errore, ed è già una meraviglia di bellezza, che vengono già da tutte le parti, solo per vederla a passare per via. E buona, per giunta, come il pane, e costumata, poi, e dotta, che nemmanco il parroco di san Biagio ne sa quanto lei. Insomma, una perla, messere, una perla, come madonna Bannina, sua madre, che Iddio conservi lungamente alla casa dei nostri signori.

      –Godo che un suo vassallo me la lodi così!—esclamò messer Pietro, con aria tra umile e contenta.

      –È lui! è lui! non c'è dubbio;—disse mastro Bernardo tra se.—Non sono io il solo a lodarla,—ripigliò quindi, per dar la giunta alla derrata,—ma tutti i ventimila abitanti del Marchesato l'hanno in quel conto che ella si merita, per la sua bellezza e per la sua virtù, che non han la compagna. E come le son fioccati i partiti! Ce n'è uno che la voleva ad ogni costo, e seguita a volerla…. messer lo Doge di Genova…. Ma sì, gli ha da appiccar la voglia all'arpione, costui! Madonna Nicolosina non è boccone pei Fregosi….

      –Ah sì? e perchè mò?—interruppe messer Pietro, facendo bocca da ridere.—Perchè son genovesi?

      –Non già per questo;—rispose l'ostiere, con un certo sussiego.—Parliamo suppergiù la medesima lingua e si potrebbe vivere, sto per dire, da buoni fratelli, se qualche volta non ci avessero il ruzzo di spadronare in casa d'altri. Ma vedete, messeri; su quella gente là non ci si può far conto. Potevano essere, sia detto con vostra licenza, il primo popolo del mondo, stimati da per tutto e temuti la parte loro…. Ma no; con mille discordie si sono guastati il sangue, e non possono durarla tre mesi in pace con sè medesimi. Va via di lì, ci vo' star io, è la regola di tutti que' maggiorenti, che dovrebbero invece adoperarsi per la tranquillità e per la grandezza del popolo. E si bisticciano sempre, non so da quanti anni, e fanno a rubarsi il comando; oggi Adorno, domani Fregoso, posdimani Adorno da capo, sempre su e giù, si arrabbattano come fagiuoli in pentola. Erano padroni in casa loro, che non li comandava nemmeno l'imperatore; e adesso, vedete, son roba di tutti, che la è una miseria a pensarci. E ancora s'impuntano a dar molestia ai vicini; e vogliono far l'omo addosso a noi altri! Si mettano in pace tra loro, si mettano; comandi chi può e obbedisca chi deve. Che ve ne sembra, messere?

      –Mi sembra che tu abbia ragioni da vendere!—rispose messer Pietro, aggrottando le ciglia.

      In quella che mastro Bernardo, ringalluzzito del suo trionfo oratorio, si disponeva a meritarsene un altro, ricomparve il Maso sull'altana.

      –Padrone!—gridò egli ansimante—Venite giù subito!

      –Che c'è egli di nuovo?—dimandò stizzito l'ostiere.

      –C'è messer Giacomino che ha mestieri di voi.

      –Aspetti; or ora ci andrò.

      –Ha premura;—incalzò il ragazzo,

      –Se ne vada, allora; potevi dirgli che ci ho forastieri.

      –Se gliel ho detto! Ma egli vi vuole ad ogni costo.

      –Ha da essere un pezzo grosso, il vostro messer Giacomo!—notò il Picchiasodo.—Va dunque e vedi di contentarlo.

      –Oh, gli è un giovinotto, mezzo villano e mezzo soldato, che si crede dappiù di chi si sia, perchè il nostro Marchese lo vede di buon occhio; un superbioso, che va sempre col capo nelle nuvole, e qui non ha mai bevuto


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