Schiava, Guerriera, Regina . Морган Райс

Schiava, Guerriera, Regina  - Морган Райс


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quel capolavoro d’arma come regalo di compleanno da parte di sua madre tre anni prima. La sua spada era un vecchio scarto che suo padre aveva buttato nel mucchio delle cose da riciclare. Oh, quali cosa sarebbe stata capace di fare con una spada come quella di Nesos.

      “Ti farò mantenere la parola data, lo sai,” disse Ceres sorridendo, anche se in realtà non gliel’avrebbe mai portata via.

      “Non mi aspetterei niente di meno,” disse lui ridacchiando.

      Lei incrociò le braccia sul petto mentre un pensiero buio le attraversava la mente.

      “Nostra madre non lo permetterebbe,” disse.

      “Ma nostro padre sì,” disse. “È molto fiero di te, lo sai.”

      Il commento gentile di Nesos la colse impreparata e non sapeva esattamente come reagire, quindi abbassò gli occhi. Amava suo padre e lui amava lei, lo sapeva. Ma per qualche motivo il volto di sua madre le compariva sempre davanti. Tutto ciò che avrebbe desiderato era che sua madre la accettasse e le volesse bene come ai suoi fratelli. Ma per quanto ci provasse, Ceres sentiva di non essere mai abbastanza ai suoi occhi.

      Sartes sbuffò arrivando in cima al muro dietro di loro. Era ancora più basso di una testa rispetto a Ceres ed era magrolino come un grillo, ma lei era convinta che da un giorno all’altro sarebbe fiorito come un germoglio di bambù. Era successo così a Nesos. Ora era pieno di muscoli ed era alto più di un metro e novanta.

      “E tu?” chiese Ceres a Sartes. “Chi pensi vincerà?”

      “Io sono con te. Brennius.”

      Lei sorrise e gli scompigliò in capelli. Lui ripeteva sempre quello che diceva lei.

      Si udì un altro rombo, la folla si infittì e Ceres provò un senso di urgenza.

      “Andiamo,” disse. “Non c’è tempo da perdere.”

      Senza aspettare Ceres scese dal muro e si mise a correre appena toccata terra. Tenendo d’occhio la fontana, si fece strada attraverso la piazza, desiderosa di raggiungere Rexus.

      Lui si girò e sgranò gli occhi per la gioia quando la vide. Lei gli si buttò addosso e sentì le sue braccia stringersi attorno alla vita mentre strofinava la guancia ruvida contro la sua.

      “Ciri,” disse con voce bassa e roca.

      Un brivido le scorse lungo la schiena quando si girò e si trovò davanti gli occhi blu cobalto di Rexus. Alto un metro e ottantacinque era ormai quasi una testa più di lei, con capelli biondi e spettinati che incorniciavano il viso a forma di cuore. Sapeva di sapone e aria aperta. Cavolo, era bello rivederlo. Anche se sapeva cavarsela da sé quasi in qualsiasi situazione, la sua presenza le donava una sensazione di calma.

      Ceres si alzò in punta di piedi e intrecciò le braccia attorno al suo collo. Non l’aveva mai visto come più che un amico fino a quando l’aveva sentito parlare della rivoluzione e dell’esercito sotterraneo di cui faceva parte. “Combatteremo per liberarci dal giogo dell’oppressione,” le aveva detto anni prima. Aveva parlato con una tale passione della ribellione che per un momento Ceres aveva davvero creduto che fosse possibile eliminare la famiglia reale.

      “Com’è andata la caccia?” gli chiese con un sorriso, sapendo che era stato via per giorni.

      “Mi è mancato il tuo sorriso.” Le accarezzò i lunghi capelli dorati. “E i tuoi occhi color smeraldo.”

      Anche a lei era mancato, ma non osò dirlo. Aveva troppa paura di perdere la loro amicizia se qualcosa fosse successo tra loro.

      “Rexus,” disse Nesos raggiungendoli e stringendogli un braccio, subito seguito da Sartes.

      “Nesos,” lo salutò lui con voce profonda e autoritaria. “Abbiamo poco tempo se vogliamo entrare,” aggiunse facendo cenno agli altri.

      Si affrettarono tutti mescolandosi con la folla che si stava dirigendo verso l’arena. Ovunque c’erano soldati dell’Impero che spingevano la gente avanti, a volte con mazze e fruste. Più vicini andavano alla strada che conduceva all’arena e più la folla si faceva fitta.

      All’improvviso Ceres udì del baccano provenire da una delle bancarelle e istintivamente si girò verso il rumore. Vide che si era aperto un generoso spazio attorno a un ragazzino che era ora affiancato da due soldati dell’Impero e da un mercante. Un paio di spettatori se ne andarono mentre altri si misero in cerchio a guardare.

      Ceres corse avanti e vide uno dei soldati che strappava una mela dalle mani del ragazzino e lo scuoteva violentemente tenendolo per un braccio.

      “Ladro!” ringhiò il soldato.

      “Pietà, per favore!” gridò il bambino con le lacrime che scorrevano lungo le guance sporche e scavate. “Avevo… così tanta fame!”

      Ceres si sentì il cuore esplodere per la compassione, dato che lei stessa aveva fame e sapeva che ai soldati non mancava la crudeltà.

      “Lasciate andare il ragazzo,” disse il mercante con calma facendo un gesto con la mano. Il suo anello d’oro brillò al sole. “Posso permettermi di dargli una mela. Ne ho centinaia.” Ridacchiò un poco, come a voler alleggerire la situazione.

      Ma la folla che si era raccolta là attorno fece silenzio mentre i soldati si giravano per affrontare il mercante con le armature che brillavano alla luce e sferragliavano. Il cuore di Ceres sprofondò per il mercante: sapeva che nessuno doveva mai osare affrontare l’Impero.

      Un soldato si fece avanti minacciosamente verso l’uomo.

      “Difendi un criminale?”

      Il mercante spostò lo sguardo dal soldato al ragazzino, ora apparentemente insicuro. Il soldato si girò e colpì il bambino al viso provocando uno scricchiolio che fece rabbrividire Ceres.

      Il ragazzino cadde al suolo con un tonfo mentre la folla sussultava.

      Indicando il mercante il soldato disse: “Per provare la tua lealtà all’Impero, terrai fermo il bambino mentre lo fustighiamo.”

      Gli occhi del mercante si fecero duri, la fronte sudata. Con sorpresa di Ceres, l’uomo tenne loro testa.

      “No,” rispose.

      Il secondo soldato fece due passi minacciosi verso di lui e portò la mano sull’elsa della spada.

      “Fallo o perderai la testa e bruceremo la tua bancarella,” disse il soldato.

      Il volto rotondo del mercante si afflosciò e Ceres capì che era sconfitto.

      Lentamente l’uomo si avvicinò al ragazzino e gli prese le braccia inginocchiandosi davanti a lui.

      “Ti prego, perdonami,” disse con le lacrime che gli facevano luccicare gli occhi.

      Il bambino piagnucolò e poi iniziò a gridare cercando di liberarsi dalla presa dell’uomo.

      Ceres vide che il ragazzino tremava. Voleva continuare ad andare verso l’arena, evitare di vedere quella scena, ma i suoi piedi rimasero fermi sul posto, in mezzo alla piazza, con gli occhi incollati a quella brutalità.

      Il primo soldato strappò la tunica del ragazzino mentre il secondo faceva schioccare una frusta sopra la testa. La maggior parte degli astanti incitava i soldati ad andare avanti, mentre un pochi mormoravano e si allontanavano a testa bassa.

      Nessuno si mise a difendere il ladro.

      Con un’espressione avida e quasi folle, il soldato fece schioccare ancora la frusta contro la schiena del ragazzo, facendolo gridare di dolore. Il sangue sgorgò dalla ferite fresche. Ripetutamente il soldato lo frustò fino a che la testa del bambino rimase reclinata indietro e smise di gridare.

      Ceres provò la forte urgenza di scattare in avanti e salvarlo. Ma sapeva che fare una cosa del genere avrebbe significato la morte per lei, e la morte di tutti i suoi cari. Rimase a spalle basse, sentendosi inerme e sconfitta. Dentro di sé decise che un giorno si sarebbe vendicata.

      Tirò Sartes verso di lei e gli coprì gli occhi, disperatamente desiderosa di proteggerlo, di concedergli ancora alcuni anni di innocenza, anche se non c’era innocenza da vivere in quella


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