Tracce di Speranza . Блейк Пирс
perché, per Dio?” chiese Mags.
“Questa è una domanda eccellente, Margaret,” disse Keri chiudendo il laptop. “Ed è una domanda che intendo fare subito al signor Anderson.”
*
Keri parcheggiò la macchina nella massiccia struttura di fronte alle Twin Towers e andò all’ascensore. A volte, se doveva venire lì di giorno, la grande prigione di contea era così piena che doveva percorrere tutta la strada fino al nono piano scoperto della struttura per trovare un parcheggio. Ma erano quasi le otto di sera, e trovò posto al primo piano.
Attraversando la strada, ripassò il piano. Tecnicamente, vista la sospensione e le indagini degli affari interni, non era autorizzata a vedere un prigioniero in una sala interrogatori. Ma non si trattava di un fatto di dominio pubblico, ancora. Sperava che la familiarità che aveva con lo staff della prigione le avrebbe permesso di convincerli a parole a farle fare ciò che voleva.
Ray si era offerto di venire con lei per lisciarle la strada. Ma lei temeva che la cosa avrebbe portato a domande, mettendolo potenzialmente in pericolo. Anche in caso contrario, avrebbero potuto chiedergli di essere presente all’interrogatorio di Anderson. Keri sapeva che in quelle circostanze l’uomo non si sarebbe aperto.
Come si scoprì, non avrebbe dovuto preoccuparsi.
“Come va, detective Locke?” chiese l’agente della sicurezza Beamon quando lei si avvicinò al metal detector posto nell’atrio. “Sono sorpreso di vederla in piedi dopo lo scontro con quello psicopatico di questa settimana.”
“Ah, già,” disse Keri decidendo di usare il confronto che aveva avuto a suo vantaggio, “lo sono anch’io, Freddie. Pare che sia stata a un incontro di pugilato, vero? A dire la verità sono ancora ufficialmente in malattia finché non sono in una forma migliore. Ma stavo diventando matta chiusa a casa, perciò ho pensato di dare un’occhiata a un vecchio caso. È una cosa informale, perciò non ho neanche portato la pistola e il distintivo. Va bene lo stesso se interrogo qualcuno fuori dalle ore di lavoro?”
“Ma certo, detective. Vorrei solo che se la prendesse un po’ comoda. Però so che non lo farà. Firmi. Prenda il badge dei visitatori e vada al piano interrogatori. Conosce la procedura.”
Keri la procedura la conosceva, e quindici minuti dopo era seduta in una sala interrogatori, in attesa dell’arrivo del detenuto #2427609, o Thomas “il Fantasma” Anderson. La guardia l’aveva avvertita che si stavano preparando a spegnere le luci e che ci sarebbe potuto volere un po’ di tempo in più per recuperarlo. Cercò di stare tranquilla mentre aspettava, ma sapeva che era una battaglia persa.
Anderson sembrava sempre irritarla, come se segretamente le stesse rimuovendo lo scalpo per aprirle il cranio e leggerle i pensieri. Frequentemente le pareva di essere un gattino mentre lui teneva in mano una di quelle penne con le lucine per farla scorrazzare in direzioni casuali a seconda dei suoi capricci.
Eppure erano state le sue informazioni ad averla portata per una strada che l’aveva condotta più vicina a trovare Evie di quanto avesse fatto qualunque altra cosa. Era stato un progetto o solo fortuna? Non le aveva mai dato indicazione che i loro incontri fossero altro che eventi fortuiti. Ma se lui era così avanti nel gioco, perché avrebbe dovuto?
La porta si aprì e lui la attraversò, molto simile a come se lo ricordava. Anderson, sui cinquantacinque anni, era bassino, sul metro e settantasei, con una figura quadrata e ben costruita che faceva pensare che usasse con regolarità la palestra della prigione. Le manette sugli avambracci muscolosi sembravano strette. Però sembrava più snello di come lo ricordava, come se avesse saltato qualche pasto.
I capelli folti erano divisi ordinatamente, ma con sorpresa di lei, non erano più del nero corvino che ricordava. Adesso erano più che altro una combinazione sale e pepe. Ai margini della tuta della prigione, riusciva a vedere porzioni dei molteplici tatuaggi che gli rigavano il lato destro del corpo fino a risalire sul collo. Il lato sinistro era ancora incontaminato.
Mentre lo portavano alla sedia di metallo dall’altra parte del tavolo rispetto a dove si trovava lei, gli occhi grigi non la lasciarono mai. Sapeva che la stava analizzando, studiando, misurando, cercando di capire tutto ciò che poteva della sua situazione prima ancora che parlasse.
Quando si fu seduto, la guardia prese posizione vicino alla porta.
“Stiamo bene anche da soli, agente… Kiley,” disse Keri strizzando gli occhi per leggergli la targhetta col nome.
“La procedura, signora,” disse bruscamente la guardia.
Lo guardò. Era nuovo… e giovane. Dubitava che prendesse già mazzette, ma non poteva permettersi che nessuno, corrotto o pulito, sentisse quella conversazione. Anderson le sorrise leggermente, sapendo che cosa stava per succedere. Probabilmente per lui sarebbe stato un intrattenimento.
Keri si alzò in piedi e fissò la guardia finché il ragazzo non percepì gli occhi su di sé e non la guardò.
“Innanzitutto, non signora. Detective Locke. Secondo, non me ne frega un cazzo della procedura, novellino. Voglio parlare con questo detenuto in privato. Se non riesci a venirmi incontro, allora dovrò parlare con te in privato, e non sarà una conversazione piacevole.”
“Ma…” cominciò a balbettare Kiley spostando il peso da un piede all’altro.
“Ma niente, agente. Hai due scelte davanti. Puoi lasciarmi parlare col detenuto privatamente. Oppure possiamo fare quella conversazione! Quale scegli?”
“Magari dovrei chiamare il mio supervisore…”
“Non rientra nella lista di scelte, agente. La sai una cosa? Decido io per te. Esci, così posso fare due chiacchiere. Si penserebbe che beccare un pedofilo fanatico religioso mi dia un pass per il resto della settimana, ma immagino di dover istruire anche un carceriere adesso.”
Si allungò verso il pomello della porta e cominciò a tirare quando l’agente Kiley finalmente perse del tutto il controllo dei nervi. Era colpita da quanto fosse durato.
“Non importa, detective,” disse frettolosamente. “Aspetto fuori. Però la prego di essere cauta. Quel prigioniero ha un passato di incidenti violenti.”
“Certo che sarò cauta,” disse Keri, la voce adesso tutto miele. “Grazie di essere stato così premuroso. Cercherò di fare presto.”
Lui uscì e chiuse la porta, e Keri tornò al suo posto, piena della fiducia in sé e dell’energia che appena trenta secondi prima le mancavano.
“È stato divertente,” disse gentilmente Anderson.
“Ne sono sicura,” rispose Keri. “Può scommettere che mi aspetto delle informazioni valide in cambio dell’intrattenimento di qualità che le ho fornito.”
“Detective Locke,” disse Anderson in un tono di finta indignazione, “lei offende la mia delicata sensibilità. Sono passati mesi dall’ultima volta che ci siamo visti, eppure il suo primo istinto quando mi vede è di chiedermi informazioni? Nessun salve? Nessun come sta?”
“Salve,” disse Keri. “Le chiederei come sta, ma è chiaro che non sta benissimo. Ha perso peso. I capelli sono diventati grigi. La pelle vicino agli occhi floscia. È malato? O è qualcosa che le pesa sulla coscienza?”
“Entrambe le cose, a dire il vero,” ammise. “Vede, i ragazzi di qui mi stanno trattando in modo un po’ ruvido, ultimamente. Non sono più nel gruppo dei popolari. Perciò occasionalmente mi viene ‘presa in prestito’ la cena. Di tanto in tanto mi viene eseguito un massaggio alle costole non richiesto. Ah, e ho un principio di cancro.”
“Non lo sapevo,” disse piano Keri, presa sinceramente alla sprovvista. Tutti i segni fisici di deperimento adesso avevano più senso.
“Come poteva?” chiese. “Non ho pubblicizzato la cosa. Avrei potuto dirglielo all’udienza di novembre, ma lei non c’era. Non ce l’ho fatta, comunque. Non è colpa sua, però. La sua lettera era adorabile, grazie mille.”