Ora e per sempre . Sophie Love

Ora e per sempre  - Sophie Love


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      Daniel aprì la portone, lasciando che la neve ristoratrice entrasse. Si raccolse nella giacca, poi guardò indietro, al di sopra della spalla. “L’orgoglio non la porterà lontano qui, Emily. Non c’è nulla di male nel chiedere aiuto.”

      Voleva urlargli qualcosa, litigare, rifiutare la sua affermazione che lei fosse troppo orgogliosa, ma invece gli guardò la schiena mentre lui spariva nella buia neve che vorticava, incapace di parlare, la lingua completamente legata.

      Emily chiuse la porta, chiudendo fuori il mondo esterno e la furia della bufera. Ora era completamente sola. La luce si riversava nell’ingresso dal fuoco nel soggiorno, ma non era abbastanza intensa da raggiungere le scale. Guardò su la lunga scala di legno sparire nel buio. A meno che non fosse preparata a dormire su uno dei divani impolverati, avrebbe dovuto trovare il coraggio di avventurarsi di sopra nel buio pesto. Si sentì di nuovo una bambina, impaurita all’idea di scendere nella cantina piena di ombre, inventandosi ogni genere di mostri e cose macabre che la stavano ad aspettare là sotto per prenderla. Solo che ora era una donna adulta di trentacinque anni, troppo spaventata all’idea di salire di sopra perché sapeva che la vista dell’abbandono era peggiore di qualsiasi mostro che la sua mente riuscisse a creare.

      Invece Emily tornò nel soggiorno per assorbire l’ultimo calore dal fuoco. C’erano ancora alcuni libri sulla libreria – Il giardino segreto, Cinque bambini e la cosa – dei classici che suo padre le leggeva. Ma il resto? Dov’erano finite le cose di suo padre? Erano scomparse in un luogo sconosciuto così come aveva fatto lui.

      Mentre le braci si spegnevano l’oscurità la avvolgeva, in accordo con il suo umore tetro. Non poteva più ignorare la stanchezza; era venuto il momento di salire quei gradini.

      Appena lasciò la stanza, sentì uno strano rumore strascicato venire dal portone. Prima il suo pensiero andò a una qualche creatura selvaggia che fiutava carcasse, ma il rumore era troppo preciso, troppo pensato.

      Con il cuore martellante, si spostò silenziosamente attraverso l’ingresso e si avvicinò al portone, posandoci contro l’orecchio. Qualunque cosa pensasse di aver sentito, ora non c’era più. Tutto quello che riusciva a sentire era l’ululato del vento. Ma qualcosa la costrinse ad aprire la porta.

      La spinse e vide che sistemate davanti alla soglia c’erano delle candele, una lanterna e dei fiammiferi. Daniel doveva essere tornato e doveva averglieli lasciati qui.

      Li raccolse, accettando con riluttanza la sua offerta d’aiuto, con l’orgoglio che le pungeva. Ma allo stesso tempo era molto più che grata che ci fosse qualcuno a occuparsi di lei. Aveva pure abbandonato la sua vita per correre in questo posto, ma non era completamente sola.

      Emily accese la lanterna e finalmente si sentì abbastanza coraggiosa da salire di sopra. Mentre la fioca luce della lanterna la guidava in cima alle scale, guardò i quadri appesi al muro, pieni di immagini sfuocate dal tempo, avvolte in ragnatele che le riempivano di polvere. Per la maggior parte i quadri erano acquerelli che ritraevano i dintorni – barche a vela sull’oceano, sempreverdi del parco nazionale – ma uno era un ritratto di famiglia. Si fermò, fissando la figura, guardando l’immagine di se stessa da piccola. Si era completamente dimenticata di questo quadro, che aveva confinato da qualche parte nella memoria e l’aveva relegato là per vent’anni.

      Sopprimendo un’ondata di sentimenti, continuò a salire i gradini. La vecchia scala scricchiolava rumorosamente sotto di lei ed Emily notò che alcuni gradini erano rotti. Erano sbeccati da anni di passi e la colpì un ricordo di lei che correva su e giù da questi gradini in scarpe rosse.

      Nel vestibolo al piano di sopra la luce della lanterna illuminò un lungo corridoio – le numerose porte di quercia scura, e alla fine la finestra che andava dal pavimento al soffitto che ora era chiusa dal compensato. La sua vecchia camera era l’ultima a destra, di fronte al bagno. Non riusciva a sopportare il pensiero di guardare in quella stanza. Troppi ricordi erano contenuti lì, troppi perché potesse liberarli adesso. E non le faceva tanto piacere l’idea di scoprire che genere di bestie avevano preso alloggio nel bagno nel corso degli anni.

      Invece Emily incespicò lungo il corridoio, superò la cassettiera contro cui aveva sbattuto le dita dei piedi un sacco di volte, e si infilò nella camera dei suoi genitori.

      Alla luce della lanterna, Emily riuscì a vedere quanto fosse impolverato il letto, quanto la biancheria fosse stata rosicchiata dalle tarme negli anni. Il ricordo del bel letto a baldacchino che i suoi avevano condiviso andò in pezzi nella sua mente mentre si confrontava con la realtà. Vent’anni di abbandono avevano devastato la stanza. Le tende erano sporche e spiegazzate, scendevano flosce sulle finestre sprangate. I portacandele da parete erano inspessiti dalla polvere e dalle ragnatele, sembrava che intere generazioni di famiglie di ragni ne avessero fatto la loro casa. Uno strato di spessa polvere stagnava su tutto, incluso il tavolo da toletta alla finestra, il piccolo sgabello su cui sua madre si sedeva molti anni prima quando si spalmava in viso la crema alla lavanda davanti allo specchietto di cortesia.

      Emily vide tutto, tutti i ricordi che aveva sepolto negli anni. Non riuscì a trattenere le lacrime. Tutte le emozioni che aveva provato negli ultimi giorni la assalirono, intensificate dai ricordi di suo padre, dallo choc improvviso di quanto le mancava.

      Fuori, il suono della bufera si intensificava. Emily ripose la lanterna sul comodino, sollevando una nuvola di polvere, e si preparò per andare a letto. Il calore del fuoco non era arrivato fin lassù e la stanza era di un freddo pungente quando si tolse i vestiti. In valigia trovò la camicetta di seta e capì che non le sarebbe stata molto utile lì; sarebbe stata meglio con una poco signorile calzamaglia e grossi calzini da notte.

      Emily scostò la coperta patchwork cremisi e oro tutta impolverata e scivolò nel letto. Fissò il soffitto per un attimo, riflettendo su tutto quello che le era accaduto negli ultimi giorni. Sola, infreddolita e indifesa, soffiò sulla fiamma della lanterna, immergendosi nel buio, e pianse fino ad addormentarsi.

      CAPITOLO QUATTRO

      La mattina seguente Emily si svegliò presto, sentendosi disorientata. C’era così poca luce che entrava nella stanza dalle finestre sprangate, che le ci volle un po’ per capire dove si trovasse. Gli occhi le si abituarono piano alla penombra, la stanza le si materializzò intorno, e ricordò – Sunset Harbor. La casa di suo padre.

      Trascorse un momento prima che ricordasse di essere anche senza lavoro, senza casa, e completamente sola.

      Trascinò il suo corpo esausto fuori dal letto. L’aria del mattino era fredda. Il suo riflesso nello specchietto di cortesia impolverato la spaventò; aveva il viso gonfio delle lacrime che aveva versato la notte precedente, la pelle tirata e pallida. Improvvisamente le venne in mente di non aver mangiato abbastanza il giorno precedente. L’unica cosa che aveva messo nello stomaco la sera prima era stata la tazza di tè bollito sul fuoco acceso da Daniel.

      Esitò momentaneamente davanti allo specchio, guardando il suo corpo riflesso nel vetro vecchio e sporco mentre la sua mente riviveva la notte appena trascorsa – il calore del fuoco, lei che sedeva al focolare con Daniel bevendo tè, Daniel che si prendeva gioco della sua incapacità di prendersi cura della casa. Ricordò i fiocchi di neve tra i suoi capelli quando gli aveva aperto la porta la prima volta, e il modo in cui si era ritirato nella bufera, scomparendo nella notte nera d’inchiostro veloce com’era apparso.

      Il brontolio dello stomaco la riportò fuori dai suoi pensieri e nel presente. Si vestì velocemente. La camicia spiegazzata che indossò era troppo sottile per l’aria fredda quindi si appoggiò la coperta polverosa del letto sulle spalle. Poi uscì dalla camera e scese di sotto a piedi scalzi.

      Dabbasso, tutto era silenzio. Scrutò attraverso la finestra gelata del portone e si stupì di vedere che nonostante la tormenta si fosse esaurita, erano caduti novanta centimetri di neve, rendendo il mondo di un biancore liscio, immobile e infinito. Non aveva mai visto così tanta neve in tutta la sua vita.

      Emily riusciva a vedere solo le impronte di un uccello che aveva saltellato sulla strada lì fuori, ma oltre a quello niente era stato disturbato.


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