Non Andare Mai Dal Dentista Di Lunedì. Ana Escudero

Non Andare Mai Dal Dentista Di Lunedì - Ana Escudero


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invadeva inevitabilmente. Non aveva neanche voglia di dormire in quel momento, ma presto notò che non poteva tenere gli occhi aperti. Scese dalla sedia e si rannicchiò sotto il tavolo con le gambe ripiegate. Dopo alcuni secondi si era già completamente addormentato.

      Poco dopo Topolino entrò di nuovo, sparecchiò il tavolo e si chinò per vedere Alexis. Lo trascinò con attenzione per non fargli male, finché lo tirò fuori da sotto il tavolo. Lo prese tra le braccia e, una volta attraversata la stanza, lo mise in un letto che non si vedeva, dietro un paravento. Poi lo coprì e uscì dalla stanza cercando di fare meno rumore possibile, anche se sapeva che il bambino non si sarebbe svegliato per il momento.

      Fuori lo stava aspettando Batman, che nel vederlo gettò via la sigaretta che stava fumando.

      – Ora abbiamo qualche ora libera – disse Batman —. Odio fare la babysitter.

      Topolino alzò le spalle, iniziava a conoscere il suo compagno.

      – Non alzare le spalle, sai che non mi piace – disse Batman —. Odio anche te, compagno.

      Topolino fece un mezzo sorriso sotto la maschera e poi fece per togliersela.

      Batman trattenne il suo braccio con violenza, mentre si guardava intorno verificando quanta gente c'era. Topolino si fermò, anche se aveva bisogno di togliersi quella maschera quanto prima, iniziava a dargli fastidio.

      – Aspetta quando saremo in macchina, qui siamo troppo esposti. Qualcuno potrebbe notare le nostre facce – disse Batman mentre iniziava a camminare verso l'uscita del parco giochi.

      Alcuni minuti dopo arrivarono alla macchina e nel vederla Batman lanciò una maledizione, aveva una ruota a terra.

      – Maledetti bambini! – gridò, mentre colpiva con rabbia il cofano della macchina.

      VIII – Un viaggio improvviso

      Vivian era distratta da un po', innanzitutto per colpa della perdita della busta e poi per la visita di quell'uomo che le aveva fatto una richiesta un po' particolare. Ma Vivian era soprattutto una donna d'affari, per essere più precisi, una donna pratica di affari che valutava i pro e i contro di ogni situazione in modo ormai istintivo grazie ad anni di esperienza. Quindi, senza neanche riflettere più dello stretto necessario, calcolò il passo successivo da fare, più per istinto che per un pensiero razionale. Per prima cosa, disse alla sua segretaria che non voleva essere disturbata in nessun caso.

      Successivamente decise di trattare la richiesta dello sconosciuto come se si trattasse di un affare in più. Quindi valutò mentalmente i possibili vantaggi e svantaggi della richiesta.

      Non le aveva chiesto soldi, né un lavoro, era qualcosa di meno materiale. E Vivian, che si lasciava guidare solo dai suoi sentimenti per la sua famiglia, pensò che avrebbe potuto fare un'eccezione con la richiesta dello sconosciuto. Doveva fare un paio di telefonate, chiedere un paio di favori.

      Sganciò il telefono per fare la prima telefonata.

      Dieci minuti dopo aveva avviato la faccenda e pensò che presto sarebbe stata l'ora di mangiare e che avrebbe potuto andare a casa. Non era abituata a farlo, ma all'improvviso sentì che aveva bisogno di stare vicino a suo figlio.

      Fu l'istinto materno che le fece concentrare i suoi pensieri su suo figlio in quel momento? Fu quell'istinto a suggerirle di chiamare a casa sua e interessarsi del suo rampollo dopo l'appuntamento dal dentista?

      Prese il telefono, chiamò casa sua e aspettò pazientemente che qualcuno rispondesse.

      – Casa Clarke – sentì rispondere Frans.

      – Frans, sono io. Mi passi Peter.

      – Signora, al momento suo marito non si trova fra queste mura – rispose Frans con un linguaggio ricercato.

      Vivian guardò l'ora e replicò:

      – Non può essere. Aveva l'appuntamento alle nove. Dove diavolo saranno?

      – Non lo so, signora – rispose Frans, lo stoico maggiordomo.

      – Mi faccia il favore di avvisarmi quando arrivano. Potrebbe aver portato il bambino a mangiare un hamburger nel suo vecchio paese.

      – Sarà fatto, signora. – E riagganciò dopo aver sentito Vivian riagganciare a sua volta dopo averlo ringraziato.

      Il passo successivo sarebbe stato chiamarlo al cellulare, ma Vivian preferì chiamare l'Esattore.

      Il cellulare dell'Esattore squillò, per cui lui lo tirò fuori dalla tasca con l'intenzione di vedere chi stava cercando di contattarlo in quel momento. Doveva rispondere, quindi premette il tasto di chiamata.

      – Ciao, Vivian. Qualcosa non va?

      – Sei con Peter? Perché non siete tornati a casa? – chiese prima di aspettare la prima risposta.

      – Sì, Peter è qui con me – rispose l'Esattore mentre pensava a come rispondere alla seconda domanda —. Peter ha pensato che ad Alexis sarebbe piaciuto godersi questa bella giornata dopo l'appuntamento dal dentista, quindi stiamo facendo una passeggiata.

      – Non fate tardi. Di' a Peter che l'aspetto per mangiare.

      – Sarà fatto, Vivian. Ciao. – E riagganciò prima che a Vivian venisse in mente qualche domanda inopportuna per ampliare le poche informazioni che aveva su dove si trovava la sua famiglia.

      Vivian guardò l'ora, poteva ancora approfittare del tempo prima di andare a casa, per cui decise di fare la telefonata che aveva in sospeso, doveva riscuotere un altro favore.

      La scena dell'incidente le venne in mente come un fulmine, cosa che la fermò prima che componesse il numero. E allora ricordò che l'aveva visto e Vivian si chiese cosa stava facendo lui lì. Il suo istinto di sopravvivenza le rinfacciò di essersi fidata troppo. Tamburellò energicamente con la penna sul tavolo, prima di alzarsi dalla poltrona e uscire decisa dal suo ufficio.

      La segretaria alzò lo sguardo sentendo dei tacchi passare come una meteora e andare verso l'ascensore. Poi continuò con il suo lavoro visto che Vivian non si girò per darle qualcosa da fare o almeno per dirle se e quando avesse intenzione di tornare in ufficio durante il resto della giornata.

      Vivian andò in garage e si diresse verso il suo box dove teneva la sua Toyota, che usava solo in certe occasioni: quando non era richiesto il servizio di un autista, quando la destinazione era un segreto.

      Le vie della città si susseguivano velocemente mentre Vivian si stava dirigendo verso la sua meta. Nonostante il pericolo di avere un incidente, tale velocità fece sì che il suo viaggio finisse presto.

      Vivian scese dalla macchina, era all'aeroporto. Prese una valigetta che teneva sempre pronta nel bagagliaio per qualsiasi evenienza. Attraversò l'aeroporto fino ad arrivare a una porta con su scritto "Vietato entrare" e che la condusse lì dov'erano parcheggiati gli aerei. A passo deciso si diresse verso un piccolo aereo leggero di fianco a un hangar, dove un uomo di mezza età stava aspettando facendo dei brevi giri.

      – Sam, andiamo in fretta. Non ho molto tempo.

      Il pilota e la passeggera salirono sull'aereo, che decollò qualche minuto dopo senza il minimo contrattempo.

      Quindici minuti dopo atterrò con destrezza e Vivian scese in fretta dall'aereo.

      – Aspettami qui con l'aereo pronto per poter partire appena torno – gli disse Vivian.

      Il pilota annuì con la testa e si mise a guardarsi le unghie, unghie mal curate e sporche a furia di maneggiare il motore dell'aereo, poiché, oltre a esserne il pilota, era anche il meccanico dell'aereo che Vivian utilizzava per i suoi viaggi a lunga distanza.

      Vivian fece una telefonata.

      – Sono qui. Adesso vengo a trovarti.

      Un taxi l'avvicinò alla sua meta successiva in più tempo del previsto, cosa che spinse Vivian a dare un'occhiata nervosa all'orologio e a rimproverare l'allegro tassista, che le rispose:

      – Che fretta hai, bellezza?

      Vivian lo guardò severamente, ma nel suo intimo le piaceva che le facessero i complimenti. Peter non


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