Il Cuore Del Tempo. Amy Blankenship
di occhi scuri e penetranti. Il ragazzo era appoggiato al muro in cima alle scale, e la stava guardando. Aveva i capelli color ebano, lunghi oltre le spalle, e i suoi occhi intensi erano neri come la notte. Era molto attraente ma la faceva sentire quasi... in pericolo, perciò distolse lo sguardo. “Datti una calmata, Kyoko. Smettila di fare la radiografia a tutti quelli che vedi.” disse a se stessa mentre provava a guardarlo di nuovo.
«Ecco la ragazza più carina di tutto il campus.». Kyoko sentì un braccio che le circondava le spalle, e riconobbe la voce del ragazzo che le aveva mostrato la sua camera quella mattina. Sentì le punte dei capelli solleticarle il viso, come se una brezza fosse spuntata dal nulla per accarezzarla.
Gli rivolse un sorriso caloroso ma, allo stesso tempo, si abbassò per liberarsi dal suo braccio. «Kotaro, è bello rivederti. Grazie per avermi aiutato stamattina.» disse Kyoko, nervosa per tutta quella confidenza che lui mostrava. Lo trovava gentile, sì, ma non gli aveva certo dato il permesso di abbracciarla.
Kotaro non batté ciglio e la prese per mano: «Posso accompagnarti da qualche altra parte?». Fissò intensamente i suoi occhi color smeraldo, sapendo di averli già visti da qualche parte. Ed era sicuro che, un tempo, si era perso felicemente in quello sguardo.
Kyoko alzò lo sguardo e vide che Toya si era fermato ed era di nuovo arrabbiato. Le sembrò di sentirlo ringhiare verso di lei, o verso Kotaro, non ne era sicura.
Toya non sapeva cosa stesse facendo Kotaro, ma non gli piaceva il suo atteggiamento così amichevole nei confronti di Kyoko. Un ringhio cupo gli uscì dal petto mentre parlava con tono di avvertimento: «Ci penso io, Kotaro. A meno che non voglia portarla tu da Kyou.». Gli lanciò un’occhiataccia, sapendo che Kotaro incontrava Kyou solo per le lezioni o quando veniva chiamato.
Kotaro lasciò la mano di Kyoko e le disse: «Spero che vada tutto bene.». Ricambiò l’occhiataccia di Toya, poi si rivolse di nuovo a lei: «Attenta a “Mister Ghiacciolo”. Se esagera, ci penso io a lui.». Rivolse uno sguardo compiaciuto a Toya, poi fece un cenno a Kyoko e si voltò, scendendo le scale.
Kyoko sentì Toya sbuffare e lo vide imboccare lo stesso corridoio che aveva percorso lei quella mattina.
Stavolta affrettò il passo e lo raggiunse appena in tempo per vedere che stavano entrando dove c’era il divieto di accesso. Si chiese dove stessero andando. Mentre lo seguiva, pensò che forse la stava riportando nella sua stanza. Toya si fermò proprio davanti alla sua porta e lei gli lanciò un’occhiataccia, ma lui fece un cenno con la mano verso la porta di fronte alla sua e bussò.
Kyoko era scioccata. Il rettore era nella stanza proprio di fronte alla sua?! Ancora una volta, ripensò alle parole di suo fratello “Non ci credo!”. Senza aspettare una risposta, Toya aprì la porta e la spinse dentro.
Kyoko si voltò di scatto, «Non so che cavolo di problema hai, ma potresti evitare di spingermi?» gli disse, facendo un gesto come per scacciarlo, poi aggiunse: «E anche di toccarmi? Io non ti ho fatto niente.». Le si drizzarono i peli sulla nuca quando notò che Toya stava guardando dietro di lei, e si bloccò. Ormai l’aveva detto. Ma perché sbottava sempre, senza pensare a dove si trovava né a chi poteva sentirla o vederla?
Toya la vide irrigidirsi e sogghignò, adesso sembrava improvvisamente piccola. «Non volevi parlare con qualcuno?». Quando Kyoko non si voltò, lui guardò di nuovo Kyou e restrinse lo sguardo quando vide che era appoggiato alla porta del soggiorno e fissava Kyoko come se fosse ipnotizzato.
“Ma che cavolo gli prende?” pensò Toya tra sé. Perché Kyou stava guardando la ragazza come se avesse visto un fantasma? A quel punto, si rifiutava di ammettere che la cosa lo rendeva geloso. Sentiva uno strano formicolio nello stomaco e gli venne voglia di mettersi tra i due per nascondere Kyoko dalla vista di Kyou. Voleva proteggerla.
In quel momento Kyou era senza parole, non vedeva Kyoko così da vicino da oltre mille anni. L’aria attorno a lei vibrava per la forza che lui ricordava... la stessa innegabile forza che, in passato, lo aveva attratto... e che non era svanita.
I suoi occhi dorati fissarono con indifferenza il Guardiano che stava dietro di lei. «Toya, lasciaci.» gli disse, con un tono pericolosamente minaccioso.
Toya sentì un ringhio formarsi in gola e strinse i pugni con rabbia, mentre alcune strane sensazioni sembravano ricomparire da qualche angolo nascosto della sua mente, per tormentarlo. Senza aggiungere altro, si voltò e uscì di scatto, sbattendo la porta.
Kyoko guardò Toya che se ne andava, mentre la propria mente correva all’impazzata tra mille pensieri. All’improvviso, gli venne voglia di corrergli dietro. Non volendo sembrare una codarda, alzò il mento e trovò il coraggio per girarsi ma, quando lo fece, rimase incredula.
Invece dell’uomo anziano in giacca e cravatta che si aspettava di vedere, si trovò faccia a faccia con... due occhi la fissavano, facendola sentire incapace di distogliere lo sguardo. I capelli argentati gli ricadevano sulle spalle e lungo il corpo perfettamente scolpito. Era alto e bello, con un’aura di arroganza che circondava la sua figura regale e quel viso che era un dono del cielo.
Kyoko chiuse gli occhi. Ma che diavolo le prendeva? Era andata lì per fargli delle domande, non per sbavare. Quando riaprì gli occhi, lui si era avvicinato. Kyoko fece subito un passo indietro, allontanandosi da quell’aria di nobiltà e superiorità che lo circondava, ma si ritrovò intrappolata contro la porta chiusa.
Senza rendersene conto, Kyou iniziò a camminare verso di lei. Quando la vide indietreggiare, alzò un sopracciglio e le fece un cenno con la mano, indicando il divano. «Vuole sedersi, signorina Hogo?». Sapeva che lei aveva delle domande da fargli, sarebbe rimasto deluso se non fosse stato così.
Kyoko deglutì nervosamente, poi alzò il mento e si diresse verso il divano, mantenendo più distanza possibile tra loro, nella speranza che il suo cervello riprendesse a funzionare normalmente. Sorrise tra sé e iniziò a parlare: «Prima di tutto, vorrei sapere cosa le fa pensare che io sia una sacerdotessa.». Lo guardò con diffidenza e quasi perse le staffe quando lui le si sedette accanto sul divano, anziché sulla poltrona dall’altra parte del tavolino. Kyoko si scostò e si girò a guardarlo, allontanandosi ancora di più e manifestando la propria paura.
“E così vuole giocare.” pensò Kyou tra sé, poi scacciò subito quel pensiero. «Cosa le fa pensare che io non sappia riconoscere una sacerdotessa?» le chiese con voce forzatamente calma. Si sporse verso di lei e la osservò, sembrava così piccola e fragile rispetto a lui.
Kyoko scrutò il suo viso perfetto in cerca di una qualche traccia di emozione, ma non ne trovò nessuna. Sembrava la rappresentazione della calma e della perfezione, e questo la irritava da morire.
«Risponde sempre a una domanda con una domanda, signor...?» borbottò Kyoko, non sapeva neanche il suo cognome.
Kyou sorrise interiormente per non farsi vedere. Bene, c’era ancora vita in lei e ne era contento. Voleva solo vederne ancora di più. «Lord, ma può chiamarmi Kyou, se preferisce.» le rispose, inchiodandola con uno sguardo infuocato.
Kyoko ricambiò quello sguardo. «Perché... mi trovo... qui?» gli chiese lentamente, come se stesse parlando con un bambino. “Ecco, vediamo se così capisce. Signor Lord un corno.” sbottò Kyoko mentalmente, senza mai distogliere lo sguardo da lui.
Avendo letto nella sua mente, gli occhi dorati di Kyou brillarono quando incrociarono quelli color smeraldo di lei. Le si avvicinò ancora un po’ sapendo che, in questo modo, l’avrebbe intimidita. Riusciva a sentirlo.
«I tuoi poteri di sacerdotessa sono deboli e non addestrati, ecco perché non sai come faccio a dire che sei una sacerdotessa.» le rispose quasi sibilando e perse la propria compostezza per un istante, prima che la sua apparenza tranquilla tornasse al proprio posto. «Ti insegnerò arti marziali e potenziamento... è questo che ti manca.».
Per Kyoko, quelle parole sembravano quasi un insulto. Essendo una rinomata testa calda, gli si avvicinò per affrontarlo quasi faccia a faccia e non risparmiò il proprio sarcasmo. «O forse sto solo nascondendo il mio vero potere, che rilascerò quando troverò il bersaglio giusto.». La rabbia la rendeva impavida o stupida,