Lo Spirito Del Fuoco. Matteo Vittorio Allorio

Lo Spirito Del Fuoco - Matteo Vittorio Allorio


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per alzarsi, ma poi scosse la testa e si rimise a guardare la tv maledicendo quella sua contorta passione per le serie poliziesche. In quei film dove la cattiveria delle persone era spiegata minuziosamente e combattuta da detective e poliziotti eroici, Jack vedeva nei protagonisti figure forti e leali alle quali s’ispirava. Voleva diventare coraggioso proprio come il detective Mastrocaltro, protagonista della sua serie preferita. Un uomo tutto d'un pezzo. Era proprio per questo che aveva convinto, dopo numerose discussioni, la madre a iscriverlo a Jeet Kune Doo, un’arte marziale orientale, la stessa praticata dal suo eroe televisivo. E con tutta la forza di volontà di cui disponeva, frequentava assiduamente le lezioni, fermandosi sempre fino a tardi per imparare il più possibile, allenandosi anche con i ragazzi più grandi del corso avanzato.

      Un altro rumore.

      Questa volta Jack si alzò, riprese il sasso che aveva poggiato ai piedi del divano e si diresse verso l'altra stanza.

      Entrò nella sala da pranzo.

      Tutto era in ordine, tranne un lungo coltello appuntito che, al posto di essere nel primo cassetto, era vicino al lavandino. Si avvicinò, lo guardò attentamente e si accorse che quello non faceva parte dei coltelli della loro cucina. Un brivido lo scosse e la sua mente iniziò a viaggiare a mille. Allungò la mano per prenderlo.

      Mancavano pochi centimetri all’impugnatura quando un forte rumore proveniente dal piano di sopra lo fece ritrarre velocemente. Ansioso, si girò lentamente aspettandosi di vedere qualcuno dietro di lui.

      Così non fu, davanti a lui solo il semplice tavolo di vetro sul quale pranzava e cenava da quando era nato.

      Le gambe gli formicolavano, doveva calmarsi. Decise comunque di andare di sopra per vedere cosa aveva provocato il rumore.

      Arrivò davanti alle scale.

      Paura.

      Ne aveva tanta, ma sapeva, per rispetto di suo padre, che doveva salire. L’uomo era morto quando Jack aveva sei anni e l’ultima volta che ci parlò, gli diede il compito di prendersi sempre cura della madre. Era stato un genitore e un marito eccezionale, sempre al fianco del figlio e dell'amata moglie. Era un brillante meccanico, con l’officina nel centro della città. Ereditata dal padre, Robert l’aveva mandata avanti rifiutando sempre le offerte degli avvoltoi pronti a pagare grosse somme per accaparrarsi un locale nel centro di Sentils. Dalla sua scomparsa, l’officina era passata al fratello minore Din, che con grande orgoglio e fatica aveva deciso di mollare il suo vecchio lavoro d’ufficio per occuparsene. Jack lo aveva promesso al padre e anche se erano passati dieci anni, l'impegno preso era sempre vivo nel suo cuore.

      Fece un gran respiro e cominciò a salire le scale che portavano al piano di sopra.

      Ogni gradino su cui poggiava i piedi cigolava e quel semplice rumore, a cui il ragazzo era abituato, gli rimbombava nella testa.

      Era sempre più spaventato.

      Salì anche l’ultimo gradino e quel paio di minuti sembrarono un’eternità.

      Jack accennò un passo, ma si bloccò prima di farlo. Vicino alla porta della sua camera c’era un foulard rosa. Non era di sua madre, almeno credeva. Decise di raccoglierlo.

      S’inchinò, lo prese e lo esaminò.

      Puzzava d’alcool, non un liquore, piuttosto quello usato per le pulizie.

      A Jack non interessava il foulard, anche se era quasi convinto che non ci fosse quando se ne era andato. Si rispose che magari, preso dalla fretta di non perdere il bus, non lo aveva visto.

      Decise di ispezionare la sua camera, entrò e il disordine che aveva lasciato era lo stesso.

      Il pigiama era proprio arrotolato come l’aveva lasciato lui. Anche i calzini sporchi erano sul comodino sotto la lampada e il piccolo armadio di legno a due ante era aperto e in confusione come da una vita. La sedia d’ufficio con le quattro rotelle che usava per sedersi alla scrivania era ancora ricoperta dei vestiti che il giorno prima la madre gli aveva stirato e ordinato di mettere a posto. Tutto era esattamente al suo uguale.

      «Che strano… Devo smettere di guardare certi film…» si disse sedendosi sul suo letto sfatto. Chiuse gli occhi, doveva scacciare dalla mente tutti quei pensieri.

      La casa era vuota, non c’era motivo di preoccuparsi.

      Si sdraiò completamente e appoggiò la testa sul suo morbido ed enorme cuscino.

      Non si era ancora accorto che qualcuno lo fissava.

      Mise le mani dietro la testa guardando il soffitto. Nell’angolo lontano, una grossa ragnatela gli ricordò di non averla ancora tolta. “Il ragno porta guadagno!” gli diceva sempre suo nonno quando, da piccolo, correva da lui piangendo per i diversi insetti presenti nella casetta vicino al lago. Grazie all’anziano, il ragazzo aveva combattuto quella terribile fobia che, per un ragazzino di campagna, non era certo il massimo.

      Si era dimenticato di avere ancora in mano il foulard rosa. Lo fece scivolare sul cuscino senza accorgersene.

      Mancava quasi un’ora all’arrivo di sua madre e lui doveva trovare ancora il modo di spiegarle il motivo per il quale aveva fatto tardi a scuola saltando così la gita che la donna aveva pagato anticipatamente.

      Dopo pochi secondi però i suoi pensieri cambiarono e la figura di Stella apparve come un raggio di luce nella sua immaginazione.

      Ormai era in uno stato di dormiveglia, l’unica cosa che lo teneva sveglio era il pensiero della ragazza della seconda B.

      S’immaginava insieme a lei, abbracciati sotto un albero in fiore, soli. Le carezze, i sorrisi, gli sguardi. Infine un bacio.

      Era una sensazione bellissima, le sue labbra accarezzavano quelle di Stella, le sue mani poggiate sui suoi fianchi sinuosi.

      Il suo respiro addosso.

      Non era del tutto addormentato, sapeva bene che stava solo volando con la fantasia, ma anche se non lo stava vivendo come un vero e proprio sogno, a lui bastava.

      Appoggiò la guancia sul cuscino girandosi su un lato e l’odore dell’alcool gli diede la nausea. Fra la sua pelle e la federa c’era il foulard e storcendo il naso, decise di levarlo. Non ci riuscì. Il suo corpo, paralizzato.

      Un secondo dopo, stava dormendo.

      2

      C’era di nuovo Stella. Gli sorrideva e lo salutava.

      La ragazza era in un campo di grano e lo chiamava. Una brezza leggera gli accarezzava il viso e il cielo rossastro del tramonto faceva da sfondo.

      Lui però stava fermo, quasi immobile.

      Era felice di sentirla.

      Stella era lontana, il giovane la intravedeva a malapena, abbagliato dagli ultimi riflessi del sole.

      La ragazza continuava a chiamarlo sempre più intensamente, aveva una voce soave, tranquilla.

      “Jack… Jack… Jack…”. Le parole si perdevano nell’aria che lo sfiorava, accompagnate da piccole e innocenti risate. I capelli si muovevano al ritmo del vento e le mani sfioravo lunghe spighe di grano duro. Era una splendida giornata, decorata dalla presenza della giovane che lo chiamava.

      Un forte fischio e poi subito il silenzio.

      Il sole scomparve improvvisamente dietro a un grosso banco di nubi apparse dal nulla. Una forte e improvvisa pioggia cominciò a cadere.

      Le spighe di grano si piegarono come burro sotto quell'immane furia.

      Jack, non riuscì più a vedere Stella.

      L’acqua gli copriva la visuale.

      Provò a raggiungere il punto in cui l’aveva vista per l’ultima volta, ma non ci riuscì.

      No, non poteva lasciare che alla ragazza che amava succedesse qualcosa di male, doveva andarla a cercare.

      Doveva.

      Urlò il nome dell’amata a squarcia gola e all’improvviso, le gambe si mossero.

      Non era più immobile, poteva correre, correre da lei.

      Si


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