Le Tentazioni Di Una Principessa Americana. Dawn Brower

Le Tentazioni Di Una Principessa Americana - Dawn Brower


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il respiro. Era stupendo. Se voleva essere onesta con se stessa, doveva ammettere che era l’uomo più bello sul quale avesse avuto il piacere di posare lo sguardo. Se non fosse stato maleducato, avrebbe potuto considerare la possibilità di flirtare con lui.

      Lui contrasse lievemente le labbra. “Suppongo che abbia ragione”.

      “Non c’è niente da supporre. Non siamo mai stati presentati”.

      “Non sono in disaccordo con lei”, rispose lui in tono scherzoso. “Comunque, conosco la sua famiglia. L’ho già persino incontrata, anche se non ci hanno mai presentati”.

      Ciò la colse di sorpresa. “Non le credo”.

      Lui ridacchiò a bassa voce e si girò lievemente, in modo che lei potesse vedere suo fratello e sua madre che si dirigevano verso di loro. “E’ quella la sua famiglia?” Alzò un sopracciglio. “Conosco William. Ho confidenza con Andrew e Alexander. Sono dei miei cari amici. Sono andato a Eton e poi a Oxford con loro”.

      Certamente lo aveva fatto…Che chances c’erano? “Visto che mi ha messo in posizione di svantaggio, perché non si presenta?”.

      “Lord Julian Kendall”, disse e si inchinò. “Ora, riguardo quella donna…”.

      “Non vi riguarda”, Brianne lo interruppe. Non aveva bisogno di prediche. Soprattutto non aveva intenzione di farsi coinvolgere da persone del genere di Alice Paul.

      “Ma sa chi è?”.

      “Certo che lo so”, rispose lei. “Ma non ho bisogno di darle spiegazioni. Lei non è mio fratello o mio padre. Ci conosciamo appena. Adesso, se vuole scusarmi, devo raggiungere la mia famiglia”.

      Non lo lasciò pronunciare un’altra parola. Brianne passò oltre e si diresse verso sua madre e suo fratello. Finalmente l’avevano vista e William andò nella sua direzione. Brianne gli fece un cenno e gli indicò di restare al suo posto. Sarebbe stato più semplice, se non si fossero mossi entrambi. Non voleva separarsi di nuovo da loro. Due conversazioni inaspettate non erano state piacevoli per lei e ne aveva avuto abbastanza della Penn Station. In effetti, stava iniziando a trovarla spiacevole. Fino a quel momento, non le aveva portato niente di buono.

      Capitolo 2

      Julian Kendall passeggiò fino all’Hotel Irving, situato al numero 26 di Gramercy Park South. Era un hotel esclusivo sull’Isola di Manhattan. Niente di New York o dell’America lo affascinava.

      Alla fine Julian raggiunse l’hotel e vi entrò. Un impiegato lo accolse immediatamente. “Buongiorno, signore”, affermò l’uomo dai capelli castano scuro, grigi sui lati vicino all’orecchio. “Come posso aiutarla?”

      “Mi chiamo Lord Julian Kendall. Avete ricevuto un telegramma con la mia prenotazione?”

      L’uomo si chinò a controllare il contenuto di una cartella, poi annuì. “Il suo telegramma diceva che sarebbe rimasto qui per una periodo di tempo indefinito.”

      “E’ vero”, rispose Julian. “Spero di fare di New York la mia casa lontana da casa.”

      Gli rivolse uno dei suoi sorrisi più affascinanti. “Quello che ho visto fino ad ora, mi fa pensare che resterò qui abbastanza a lungo.” Non stava mentendo. Imbattersi in Brianne Collins era stato veramente fortuito.

      L’impiegato si girò ed aprì uno sportello, poi prese un mazzo di chiavi da un gancio. Le fece penzolare davanti a Julian. “Quella incurvata è per la sua stanza, e quella con una G incisa è per il cancello di Gramercy Park. Si senta libero di approfittare del parco, ma è esclusivo. Solo quelli che hanno la chiave possono usarlo. Per favore, non faccia entrare nessuna marmaglia nel parco. Ci sono delle signore che lo usano regolarmente e vogliamo proteggere la loro sicurezza.”

      Che novità…Nessuno dei parchi di Londra era chiuso da cancelli come questo. Stavano cercando di tenere gli individui spiacevoli lontani dal parco e riservarlo solo alle classi elevate. Che chances c’erano che qualcuno della zona più povera si avventurasse in quella parte di Manhattan? Sembrava che la classe più ricca affollasse quell’area. Non aveva visto nessun altro, neppure un membro della classe operaia…C’era qualche norma che regolava le loro uscite in pubblico, o qualcosa di simile?

      “Grazie”, disse Julian il più educatamente possibile. Era cresciuto tra i privilegi, ma non lo aveva mai sbattuto in faccia a nessuno prima di allora, o forse non se ne era mai accorto. “Può indirizzarmi verso la mia camera?”

      “Salite le scale e girate a destra. La stanza è in fondo al corridoio dell’ala sinistra.”

      “I miei bauli saranno consegnati dalla Penn Station. Per favore, fateli portare nella mia stanza quando arrivano.” Aveva assunto qualcuno che si occupasse del suo bagaglio quando era arrivato. Tutto quello che aveva portato con sé lungo il cammino verso l’hotel, era una piccola valigia. Afferrò le chiavi con una mano e la borsa con l’altra, poi andò nella direzione indicata dall’impiegato. Non ci mise molto ad arrivare alla camera. Infilò la chiave nella serratura e la girò. Quando la serratura scattò, aprì la porta ed entrò.

      Era una stanza lussuosa. Una coppia di sedie e un tavolino si trovavano vicino alla finestra. Di fronte ad un piccolo divano dalla parte opposta della stanza c’era il caminetto ed un tavolo era stato collocato al suo fianco. In una stanza separata e più piccola, un morbido letto con un copriletto marrone scuro e dei ricami dorati occupava lo spazio. C’era un altro tavolino vicino al letto. La luce entrava nella stanza dalle portefinestre che conducevano al balcone.

      Non era grande come le sue stanze a Londra, ma sarebbe andata bene. L’hotel svolgeva un ottimo lavoro, rivolgendosi ai gusti più raffinati dei ricchi e nobili. Lui avrebbe dovuto sentirsi al proprio posto e in qualche modo ciò gli lasciava l’amaro in bocca. Julian posò la borsa sul letto e si avvicinò al lavandino collocato dalla parte opposta della stanza. Era già stata versata l’acqua nella brocca. Ne versò un po’ nel catino e si spruzzò il viso, poi lo asciugò con un asciugamano vicino. Si sentì rinfrescato, avendo lavato via una parte della sporcizia del viaggio. Forse sarebbe andato a vedere questo Gramercy Park…

      Si mise le chiavi in tasca ed uscì dalla stanza, improvvisamente agitato. Avrebbe potuto fare una passeggiata nella zona e forse trovare un club per gentiluomini. Gli avrebbe fatto piacere bere un drink o anche numerosi. Nel frattempo, il sonno sarebbe stato sfuggente. Julien uscì dall’hotel fischiettando, mentre scendeva in strada. Il parco era molto vicino, ma non voleva veramente esplorarlo in quel momento.

      “Julian”, gridò un uomo.

      Si bloccò lungo il cammino. Nessuno avrebbe dovuto sapere che era arrivato, o persino che si trovava a New York. Lentamente, si voltò verso il suono e fu subito pervaso dal sollievo. Certamente William Collins sarebbe venuto a cercarlo. Lo aveva visto parlare con Brianne alla Penn Station. Si stampò un sorriso felice sul volto e salutò l’altro uomo. “Sta qui vicino?” Non sapeva cos’altro dirgli.

      William scosse la testa su e giù. “Sì, mio padre ha comprato una casa di città proprio dietro l’angolo. E’ il posto più adatto a Manhattan al momento. Gli piaceva l’idea di un parco chiuso dove mia madre e Brianna potessero passeggiare.”

      Quello sarebbe stato un piacevole vantaggio collaterale di Gramercy Park. Se sua sorella o sua madre erano lì, si sarebbe sentito meglio, sapendo che sarebbero state al sicuro in un parco esclusivo. “Io sto all’Hotel Irving”, Julian fece un cenno verso il luogo che aveva appena lasciato. “Per quanto tempo restate in città? Non è un periodo impegnativo alla piantagione?” Non sapeva quasi nulla di quale lavoro fosse necessario a Lilimar. Sembrava semplicemente una domanda possibile da fare.

      “Preferirei non essere affatto qui”, rispose William. Gli lanciò un’occhiata di sbieco testardamente. “Ma qualcuno doveva accompagnare mia madre e mia sorella. Mio padre sarà qui tra un paio di settimane e allora ritornerò a casa. C’è sempre qualcosa da fare a Lilimar.” Piegò la testa da un lato. “Cosa la porta qui? Stanco dell’Inghilterra?”


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