ANTIAMERICA. T. K. Falco
quali fossero i suoi diritti mentre le schiacciava la colonna vertebrale. Dopo aver ricevuto indicazioni da Coda di Cavallo, lui ed un uomo dai capelli grigi l’avevano spinta sul sedile posteriore di un’auto federale e l’avevano accompagnata al loro ufficio in centro a Miami.
Le era stata confiscata la borsetta contenente il denaro ed i suoi documenti. Il suo nome, foto, impronte digitali e DNA si trovavano ora nel loro database. Alanna era ufficialmente nella rete federale, ed era l’ultima cosa di cui aveva bisogno—poiché sarebbero sicuramente accadute cose anche peggiori. Storse il naso al proprio riflesso allo specchio sul muro grigio e batté il piede a terra con fare agitato sul pavimento di mattonelle nere. Se i Federali la stavano spiando voleva far loro capire che era stufa di aspettare.
Gli Agenti che l’avevano arrestata facevano parte dell’Unità Federale Crimini Informatici, ed era la prima volta che Alanna ne sentiva parlare. C’erano così tante unità contro i crimini informatici, così tante squadre e task force, aveva perso il conto. Era chiaro che le truffe d’ingegneria sociale che aveva perpetrato le stavano presentato il conto. Gli avvertimenti di Brayden si erano rivelati fondati. Pregava che i Federali non avrebbero acciuffato anche lui.
Quindici minuti più tardi la raggiunse un uomo alto di mezza età. Abbronzato, dai capelli neri e dall’abito scuro. Lasciò cadere sul tavolo di legno una cartella ed un block-notes giallo unitamente ad una penna. Lo sguardo dell’uomo fu presto su di lei quando si accomodò su una sedia di metallo di fronte ad Alanna. “Signorina Blake. Mi chiamo Ethan Palmer. Sono un Agente speciale dei Servizi Segreti”.
La ragazza rimase inerte, lasciando le braccia lungo i lati della sedia. I Servizi Segreti ed i Federali. Un’esagerazione per una semplice effrazione. Si chiese quali delle sue truffe fosse comparsa sul loro radar. O da quanto a lungo la stessero osservando. Che prove avessero. Non aveva nessuna intenzione di rivelare qualcosa in merito alle sue truffe o all’effrazione.
L’uomo poggiò la mano sulla cartelletta. “Il tuo fascicolo dice che sei stata dichiarata scomparsa in North Carolina poco dopo il tuo sedicesimo compleanno. Da quel momento non è stata registrata nessuna attività. Ti va di dirci che cos’hai fatto in questi ultimi anni?”
Alanna distolse lo sguardo. Ogni centimetro del muro era ricoperto dal medesimo strato di pittura grigia scialba e deprimente. L’uomo raccolse la penna con un ghigno in viso. “Entrambi i tuoi genitori sono stati dichiarati deceduti. C’è qualcuno che vorresti che contattassimo? Un amico o un membro della famiglia?”
“No”.
“Mi spiace. Dev’essere dura—una ragazza così giovane che vive da sola”.
L’ultima cosa di cui aveva bisogno era che questo tizio la compatisse. “Ha mai avuto a che fare con ragazze della mia età?”
“In realtà mia figlia maggiore ha un paio d’anni in meno di te”.
Gli angoli della bocca di lui s’incurvarono in un sorriso, mentre Alanna si sforzò consapevolmente di non reciprocare alcun segno di emozione. Il silenzio venne interrotto quando Coda di Cavallo irruppe nella stanza indossando una giacca blu sulla maglia bianca a maniche lunghe. In bocca aveva una gomma da masticare ed avanzò oltre il tavolo, raggiungendo la parte posteriore della stanza.
L’uomo indicò nella direzione della donna mantenendo comunque il contatto visivo con Alanna. “Se non sbaglio hai già incontrato l’Agente Speciale dei Crimini Informatici Sheila McBride”.
Rivolse poi una breve occhiata all’Agente, gesto che lei ignorò. “Scusa se abbiamo iniziato senza di te”.
La donna si appoggiò al muro ed affondò entrambe le mani nelle tasche della sua giacca. Aveva tutte le caratteristiche di una maniaca del controllo. Alanna l’aveva capito dal modo in cui questa Agente McBride aveva abbaiato ordini al momento del suo arresto. Le era inoltre molto familiare lo sguardo penetrante che le aveva rivolto l’Agente, lo stesso che le stava rivolgendo in quel momento. Per tutta la vita le persone l’avevano considerata una delinquente. A ciò lei rispondeva sempre con un ampio sorriso laconico.
L’Agente dei Servizi Segreti le agitò la mano davanti al viso per attirare la sua attenzione. “Hai intenzione di dirci che cosa stavi facendo in quel condominio? O perché sei scappata dagli Agenti Federali che ti hanno avvicinata?”
Quando l’uomo unì le dita delle mani, Alanna appoggiò le spalle sullo schienale della sedia.
“Ti spiace dirci come ci sei arrivata? Abbiamo localizzato la tua auto, si trova al tuo appartamento”.
Alanna contrasse la mascella. Se non sapevano di Brayden di sicuro lei non gliel’avrebbe detto. L’Agente McBride avanzò verso il tavolo. Era sicuramente ancora indolenzita dallo scontro all’esterno dell’appartamento di Javier. L’ostilità era reciproca. Alanna provava poco trasporto per chi l’ostacolava. Specialmente le tipe con un caratteraccio. Lo attribuiva agli anni trascorsi accumulando la rabbia causata da una figura materna disfunzionale. A sufficienza per una vita intera.
L’Agente McBride si avvicinò con fare minaccioso. “Indovina che cosa hanno scoperto sul tuo computer in seguito alla perquisizione del tuo appartamento”.
I dati in merito ai suoi attacchi di phishing—la sua truffa più proficua. Aveva mandato partite di email che sembravano provenire da Instagram, Facebook ed ogni altra fonte fidata. Alcuni soggetti ignari le aprivano, cliccavano il link contenuto nel messaggio ed inserivano le proprie informazioni personali su finte pagine web create da lei.
Abbassò il mento prima di rispondere. “Minecraft?”
L’Agente McBride strinse lo sguardo dagli occhi azzurri. “Dati personalmente identificabili. Furto d’identità. Resistenza all’arresto. Effrazione. Stai per rendere molto felice un prosecutore federale molto fortunato”.
Il battito del cuore di Alanna accelerò. La maggior parte delle informazioni sul suo computer erano criptate su un server privato. Ad eccezione delle email che aveva mandato quella mattina. Avrebbe potuto fare più attenzione, ma non pensava avrebbe subito un’imboscata nel primo pomeriggio. Se non stavano bluffando era fregata. Ma non si sarebbe tradita dimostrando il panico che provava. La strategia dell’Agente McBride era giocare con la sua mente. Alanna si era trovata diverse volte nella posizione in cui si trovava in quel momento, quindi la cosa non la turbava più.
Spostò l’attenzione sull’Agente Palmer. Doveva avere poco più di quarant’anni. Iniziavano a vedersi le rughe sul suo viso. “Voglio un avvocato”.
“Ne hai uno da chiamare? Se così non fosse dovrai aspettare per ore prima che il tribunale te ne assegni uno”.
Alanna si accigliò all’accenno di intimidazione mostrata dall’uomo. “Aspetterò. Non otterrete niente da me fino a quel momento”.
L’uomo interruppe l’Agente McBride prima che quest’ultima potesse commentare. “D’accordo. Non parlare. Puoi almeno ascoltare ciò che abbiamo da dire?”
“Faccia pure”.
L’Agente aprì la cartella e poi le sbatté un foglio di carta sotto al naso. “Hai mai sentito parlare di questo gruppo?”
Alanna riconobbe subito la schermata. In alto si trovava una bandiera anarchica rossa e nera con una stella al centro. Sotto vi era un’immagine in bianco e nero di Che Guevara—quella che si vedeva sulle magliette. Javier non era stato molto entusiasta quando aveva visto la faccia dell’uomo nel momento in cui Brayden aveva sfoggiato il sito web hackerato. La sua famiglia era scappata da Cuba, quindi non era un grande sostenitore di Che.
Sotto all’immagine era stata inserita una citazione: “È il momento di gettare il giogo, di forzare la rinegoziazione dei debiti stranieri oppressivi e di costringere gli imperialisti ad abbandonare le loro basi di aggressione”.
Portò il capo verso la spalla sinistra. “Sì. So di AntiAmerica. Appaiono al telegiornale ogni dannato giorno”.
Non che stesse tenendo volontariamente il conto.