La Sua Omega Proibita. Kristen Strassel

La Sua Omega Proibita - Kristen Strassel


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di vino e me lo portai alle labbra, assaporandone il ricco sapore prima di attraversare la stanza e sedermi sul costoso divano scelto appositamente per me dal mio scudiero beta. Era abbastanza comodo, ma non mi dava il conforto di cui avevo bisogno.

      Il regno che mio padre e gli altri avevano costruito era sotto costante minaccia. E la sua sicurezza poggiava esclusivamente sulle mie spalle, adesso. Io ero il Re Alfa.

      Altri volevano quel titolo, e spesso mi davano battaglia per ottenerlo.

      Se fossi stato meno uomo, glielo avrei dato e mi sarei messo a ridere mentre mi allontanavo, conoscendo il tipo di pressione che avrebbero dovuto affrontare.

      Ma io non ero un uomo qualunque.

      Ero il maschio più feroce del branco. Anche se dovevo dimostrarlo costantemente.

      È così che si mantiene il trono. Le parole di mio padre erano sempre nella mia testa.

      Sorseggiando il vino, pensai agli omega che vivevano fuori dalla città e al significato del rapporto di Dagger. Gli omega sono più forti anche mentre si indeboliscono.

      Un tempo, gli omega vivevano in città con noi, come parte fiorente del branco. Erano presi come amanti, trattati come amici. Anche scelti come regine. Mia madre era stata un’omega prima di mettermi al mondo e diventare l’amore di mio padre. Mi chiedevo cosa avrebbe pensato dell’intenzione di lui di farli morire tutti nelle terre selvagge. Mio padre avrebbe comunque bandito quelli del suo genere se lei fosse stata lì a consigliarlo?

      La mia mente si allontanò dai pensieri su mia madre mentre immaginavo com’era la vita in città a quei tempi. Quando eravamo tutti un solo popolo, invece che reali e omega. Luxoria e le Badlands.

      Immaginai come sarebbe stato avere un’omega sotto di me. Reagire al suo calore, a quel particolare profumo che le femmine beta non avevano mai avuto. In modo che i nostri ormoni si scontrassero e sfrigolassero come voleva la nostra biologia.

      Quell’idea era sconcia e proibita.

      Decisamente poco regale.

      Assolutamente pericolosa.

      Ma fece supplicare il mio uccello per una stretta della mia mano.

      E io gliela diedi, mentre i miei pensieri vagavano lontano.

      Accoppiarmi con un’omega… Quanto sarebbe stato diverso dal sesso con le beta che ero solito fare, dove non c’era l’istintiva richiesta di riprodursi? Dove non c’era alcun bisogno, a parte quello di mitigare la voglia di scopare? Nessuna connessione, nessun desiderio ardente.

      Nessun profumo a rendermi pazzo.

      Nessun bisogno di darle piacere ancora e ancora, ora dopo ora, notte dopo notte, fino a quando lei non fosse stata incinta del mio bambino.

      Fanculo.

      Inspirai con forza, realizzando che stringevo il mio uccello gonfio come avrebbe fatto una femmina al culmine dell’orgasmo. Spinsi nel pugno, alla furiosa ricerca della liberazione. E questa volta, nella mia mente, un’omega si contorceva sotto di me.

      Un’omega mi implorava di avere di più, mi implorava di andare più forte.

      Un’omega gemeva il mio nome.

      E quando venni, riversandomi il seme sulla mano, fu ruggendo mia! che reclamai quell’omega immaginaria.

      Quando mi fui svuotato, senza fiato e fiacco per il piacere, la realizzazione di ciò che avevo appena fatto mi colpì come un martello sul petto.

      Avevo fantasticato di accoppiarmi con un’omega.

      Una degli ultimi tra gli ultimi. I traditori banditi del nostro genere. Quelli che alla fine avevano fatto impazzire mio padre.

      Il motivo per cui combattevamo le nostre guerre con gli umani.

      Nella mia testa c’era una sporca omega del cazzo.

      Ed era stato il miglior orgasmo che avessi avuto da un tempo dannatamente immemorabile. Forse da sempre.

      Nessuno avrebbe mai dovuto saperlo.

      Nessuno avrebbe mai dovuto scoprire la mia fame proibita.

      Era una questione di vita o di morte.

      CAPITOLO DUE

ZELENE

      La donna anziana dietro il tavolo non sembrava per nulla quella che era prima della Divisione. Quando ero una bambina, trascorrevo ore e ore nel suo negozio, annoiata a morte mentre mia madre e mia sorella realizzavano vestiti. Non mi era permesso toccare nessuno dei bellissimi tessuti, dai colori così vibranti da attirare ognuno dei miei sensi.

      Non mi era ancora permesso toccarli.

      Guardai attentamente la donna. Omega come me, aveva perso il suo negozio ma non si era arresa. Quelle bellissime stoffe giacevano aperte su un tavolo. La polvere del deserto a malapena attenuava il loro splendore. Lei ormai era poco più di uno scheletro che camminava, con pelle ingrigita tirata su lineamenti scarni, e occhi come buchi neri che riflettevano la sua anima. O, per meglio dire, il punto in cui avrebbe dovuto essere la sua anima. Gli omega avevano perso molte cose nella Divisione. Ma io non avrei perso quella. Avrei combattuto con le unghie e con i denti per mantenere integra la mia anima. Non importava quanto mi sarebbe costato.

      Spostai lo sguardo verso la pezza brillante di stoffa su cui avevo messo gli occhi, e fu come se lei avesse percepito il mio movimento.

      “Non è per te,” sbottò. Anche nelle Badlands c’era una gerarchia. La sopravvivenza richiedeva rispetto. Quelli che se l’erano guadagnato fuori dalla città avevano poca pazienza per quelli di noi che lavoravano per i reali. “A meno che tu non stia facendo acquisti per i regnanti.”

      Ero morta di fame per comprare quella stoffa. La mia bugia non mi avrebbe fatto sentire più a disagio. “È quello che sto facendo. La mia Signora ha bisogno di un vestito per il ballo.”

      Non era del tutto una bugia. Solo non le avevo detto che la signora ero io. Ci avevo messo un po’ ad abituarmi. Nelle Badlands, non si pensava alle femmine in quei termini. Ma io lo sognavo, proprio come sognavo di trasformare quel tessuto in un bellissimo vestito degno di un ballo a corte. Tutte le dolci comodità e i giorni tranquilli che derivavano dall’avere un titolo del genere. Non avevo bisogno di essere una Regina o una principessa. Una signora sarebbe stata sufficiente.

      L’anziana donna voleva il denaro più di quanto le importasse della fondatezza della mia storia. Raccolse il brillante tessuto rosa scuro, fissandolo con molto più rispetto di quello che aveva riservato a me. “Ce n’è giusto quanto basta per fare un vestito. Il prezzo è di sei monete d’oro.”

      Ingoiando la mia sorpresa per quella cifra, che era vicina a quella che guadagnavo in un anno, raggiunsi il borsellino che avevo assicurato all’interno della gonna. Le Badlands dovevano ancora introdurre qualcosa che assomigliasse a una vera legalità. Il male non veniva punito. Avrei potuto strapparle la pezza di stoffa dalle mani e scappare. E non ci sarebbe stato nulla che lei avrebbe potuto fare per fermarmi. Proprio come non c’era nulla che potesse impedirle di smascherare il mio bluff e ricattarmi per questo bellissimo tessuto.

      Rapidamente, contai le monete nella mia borsa. Non ne avevo abbastanza.

      “Ho solo monete d’argento. L’equivalente di quattro monete d’oro.” Erano tutto ciò che avevo.

      Lei scosse la testa, stringendo la stoffa al petto. “Un reale ti avrebbe mandata qui con l’oro.”

      “Mi ha dato l’argento.” Il che era in parte vero. Mi veniva pagata una moneta d’argento a settimana. L’equivalente di pochi spiccioli nella città reale. “Negherai a un’appartenente alla corte ciò che chiede?”

      “Torna con l’oro,” rispose lei.

      “Mi ha dato l’argento,” le ripetei io. Mi aspettavo una trattativa, ma quando non arrivò, me ne andai, delusa. Avrei trovato un altro vestito da indossare al prossimo ballo al castello. Il fatto che un’omega come me potesse essere uccisa per aver messo piede al suddetto ballo era del tutto irrilevante. Ci sarei andata.

      “Ragazza.” All’inizio non fui sicura


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