La figlia dei draghi. Морган Райс

La figlia dei draghi - Морган Райс


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ti accoltellassero. E Nerra… cosa deve aver provato quando è dovuta andarsene?”

      Non ci fu nessuna risposta, ovviamente, neanche un accenno di risposta dai tratti flosci di suo padre. In un certo senso, quello era persino più irritante.

      “Quando mia madre è morta, sei stato così veloce a trovarti una nuova moglie,” affermò Vars. “I tuoi figli avevano bisogno di te, io avevo bisogno di te, ma tu hai sposato Aethe e hai messo al mondo le tue adorate figlie.”

      Si ritrovò a pensare a tutte le volte in cui suo padre lo aveva trascurato per ricoprire di attenzioni Nerra, Lenore e persino Erin.

      “Hai dato così tanta importanza a Lenore e al suo stupido matrimonio, non è vero? Hai riposto così tante speranze in lei. Sai perché adesso sei qui inerme? Sai perché è stata rapita in primo luogo?” Vars si fermò, chinandosi verso suo padre, abbastanza vicino da poter sussurrare. “L’hanno presa perché ho portato i miei uomini nella direzione sbagliata. Non volevo sprecare il mio tempo a farle da guardia del corpo, quando io ero quello più prossimo al trono. Non volevo restare lì seduto mentre la principessa perfetta si aggirava per il regno, ricevendo elogi e adulazioni. L’ho lasciata sola e gli uomini di Ravin l’hanno catturata, e Rodry è morto per salvarla.”

      Vars si stirò, sentendo una profonda soddisfazione per essere finalmente riuscito a dire a suo padre tutto ciò che aveva dovuto trattenere tanto tempo.

      “Mi hai sempre e solo umiliato,” continuò Vars. “Ma guardami adesso. Sono quello che ha sempre fatto cosa voleva, che ha passato il suo tempo nella Casa dei Sospiri e nelle locande, invece che nella tua amata Casa delle Armi. Eppure ci sono io al comando adesso, e ho intenzione di trarne il massimo vantaggio.”

      Udì un colpo alla porta della stanza a quel punto. Un domestico entrò, scortando un ragazzino, biondo e dal viso paffuto. Indossava una camicia, una tunica e delle brache blu e dorate, com’erano i colori del regno. Sembrava nervoso di essere in presenza di Vars, mentre faceva un inchino indeciso. In quel momento, si accorse che una delle sue mani era piccola e storta, forse per un qualche incidente di molto tempo prima. Non gli importava.

      “Sei Merin?” domandò Vars.

      “Sì, vostra altezza,” rispose il ragazzino con una flebile voce spaventata.

      “Sai come mai sei qui?” chiese Vars.

      Il ragazzino scosse la testa, chiaramente adesso troppo spaventato per parlare.

      “Devi vegliare su mio padre. Gli porterai i pasti, lo laverai e starai qui a vedere se si sveglia.” Non chiese al giovane se poteva o non poteva fare tutto; non era un suo problema. “Hai capito?”

      “S-sì, vostra…”

      “Bene,” lo interruppe Vars. Non aveva alcun interesse in ciò che un ragazzino di quel genere aveva da dire, ma solo nell’accertarsi che l’umiliazione di suo padre fosse completa. Che vivesse o morisse, non gli interessava. Se suo padre fosse sopravvissuto, Vars avrebbe avuto la piccola vendetta di avergli fatto tutto ciò; se invece fosse morto, avrebbe saputo di aver reso un poco peggiori gli ultimi giorni di quel vecchio stolto.

      Rivolse l’attenzione all’altro domestico laggiù, un uomo che spostava nervosamente il peso da una gamba all’altra. “Che cosa ci fai qui?” domandò. “Pensavo di aver detto a tutti voi di dedicarvi ai vostri normali doveri.”

      “Sì, vostra altezza,” replicò l’uomo. “Sono venuto perché… perché la vostra presenza è richiesta.”

      “Richiesta?” chiese Vars e allungò una mano, afferrando l’uomo dalla camicia. Era abbastanza facile farlo, sapendo che il domestico non avrebbe mai osato reagire. Sarebbe stato tradimento, dopotutto. “Sono il reggente del re. Le persone non devono richiedermi niente.”

      “Perdonatemi, vostra altezza,” ribatté l’uomo. “Questa… questa è la parola che hanno usato quando mi hanno mandato a prendervi.”

      Prendervi era quasi brutta quanto richiesta. Vars prese in considerazione di sferrare un pugno a quell’uomo, ma si trattenne solo perché quello poteva fargli dimenticare il suo posto, e Vars non aveva alcuna voglia di essere colpito in reazione, qualsiasi potesse essere poi la sua vendetta.

      “Chi ti ha mandato e perché?” domandò Vars. “Chi pensa di poter dare ordini nel mio castello?”

      “I nobili, vostra altezza,” rispose il domestico. “Hanno richiesto…” Sembrava che stesse richiamando le parole che gli era stato detto di riportare. “…richiesto una conferenza per discutere l’invasione dal Regno del Sud e per decidere collettivamente come rispondere. I nobili sono qui e anche i cavalieri. La conferenza sta avendo luogo nella Grande Sala, proprio mentre parliamo.”

      Vars spinse via quell’uomo, mentre la rabbia improvvisamente gli ardeva dentro. Come osavano? Come osavano fare una cosa del genere e cercare di sminuirlo quando lui era al comando del regno?

      Poteva comprendere ciò che stavano facendo, anche senza che gli venisse detto. I suoi nobili lo stavano testando, lo stavano trattando come se non fosse un vero re, come se non fosse un governatore potente come suo padre. Stavano cercando di renderlo qualcuno che potevano comandare e controllare, un domestico più che un governatore. Pensavano di potergli dire dove doveva essere e quando, di decidere le cose fra loro, riducendolo a nient’altro che un corpo incoronato, seduto su un trono.

      Beh, presto avrebbero compreso come stavano le cose; Vars avrebbe mostrato loro esattamente quanto si sbagliavano.

      CAPITOLO TERZO

      Per tanto tempo nella sua vita, Lenore era stata perfetta, mansueta e obbediente. Era stata il paradigma di una principessa, mentre attorno a lei, le sue sorelle avevano fatto più o meno ciò che desideravano. Nerra si era precipitata spesse volte nella foresta, mentre Erin aveva giocato a fare la guerriera; al contrario, Lenore aveva finito per fare tutto ciò che ci si aspetterebbe da una principessa.

      Adesso, però, stava facendo ciò che voleva.

      “Siete sicura che dovremmo andare in città, mia signora?” chiese Orianne, mentre camminavano verso l’ingresso del castello. “Potrebbe non essere sicuro andare da sole.”

      Un brivido le scivolò giù lungo la colonna, alla memoria del suo rapimento, ma scosse la testa.

      “Potrebbero esserci delle minacce fuori dalla città,” disse, “ma Royalsport è sicura. Inoltre, porteremo una guardia.” Ne scelse una. “Tu, tu ci scorterai fino in città, d’accordo?”

      “Agli ordini, vostra altezza,” rispose l’uomo, incamminandosi insieme a loro.

      “Ma perché in città?” domandò Orianne. “Non ci sareste mai andata prima.”

      Quello era vero. Della sua famiglia, Lenore era stata quella che spendeva il minor tempo possibile fuori dal mondo ordinato della corte reale. Adesso, però, adesso poteva farcela. Non poteva sopportare invece di restare lì ad ascoltare altre persone congratularsi con lei per le nozze, mentre suo padre giaceva moribondo e sua madre era poco più che un’ombra addolorata. Non poteva sopportare di restare lì con Finnal, per quanto lui le intimasse di non allontanarsi.

      C’era anche un’altra ragione: pensava di aver visto Devin dirigersi in città di tanto in tanto e sperava che potesse essere lì. Il pensiero di parlare con lui tornò a sollevarle il cuore, quando nient’altro sarebbe riuscito a farlo. Il solo pensiero di lui e della sua gentilezza la fece sorridere in un modo che pensava il suo neomarito non avrebbe mai potuto fare.

      “Andremo laggiù e faremo sapere alle persone che, anche nel lutto, noi ci siamo per loro,” disse Lenore.

      Partì con Orianne e la guardia sulla sua scia, superando le sentinelle al cancello e poi proseguendo giù, verso il corpo della città. Lenore scansionò le Case, alte e maestose su entrambi i lati, inalò l’aroma intenso dell’aria della città, la sensazione dei ciottoli sotto i suoi piedi. Avrebbe potuto viaggiare su una carrozza, ma l’avrebbe isolata dalla città attorno a lei. Inoltre, l’ultima volta che l’aveva fatto era stato per il suo raccolto nuziale, e Lenore stava cercando


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