Scettica a Salem. Фиона Грейс
una piuma. Nonostante quello che diceva sua madre, Frank non era esattamente un ciarlatano, almeno Mia non pensava che lo fosse. Era più un affabulatore, uno con la parlantina giusta, un incantatore. A volte faceva un ‘gioco’ dove fingeva di essere qualcun altro, presentandosi come un avvocato, un archeologo o un detective privato. Una volta aveva raccontato a un commesso di essere un legionario straniero. Un’altra volta si era presentato come una specie di hacker. Di solito guardava Mia e le faceva l’occhiolino. Lei rideva e stava al gioco, fino a che un giorno non si lasciò scappare qualcosa con sua madre, scatenando l’inferno.
Il giorno in cui Frank lasciò la città, porto via con sé tutti i suoi nomi. Parlando di quel giorno, sua madre ruotava gli occhi al cielo dicendo che lui era stato il motivo per cui lei aveva dovuto fare due lavori: per mantenerlo dentro ai suoi vestiti eleganti e dentro alla vita di sua figlia. Ma quello che Mia ricordava era un uomo affascinante e divertente con un sorriso sghembo che le arruffava i capelli, la portava sulla ruota panoramica e le faceva l’occhiolino facendole passare ogni paura. Prese in mano un sasso liscio, lo strofinò tra i palmi come Frank le aveva insegnato ed espresse un desiderio. Desidero fare ciò che amo. Poi lanciò la pietra per aria e la guardò cadere sulla spiaggia sottostante.
Sentiva la mancanza di suo padre. Ma chi era veramente Frank Bold? Mia non ne era ancora del tutto sicura. Nessuno sapeva dove si trovasse, né se fosse ancora vivo. Era un mistero che lei non era mai riuscita a risolvere.
Improvvisamente Tandy ringhiò.
“Non dovresti lasciare libero quel tuo cane,” disse una voce scontrosa. Mia si voltò e vide un uomo con i capelli grigi e corti e la pelle rovinata da vento e sole, che teneva in mano degli attrezzi da pesca e un secchio pieno di esche. Nonostante la temperatura piacevole, indossava un maglione di lana roso dalle tarme.
“Mi scusi,” disse Mia. “Non sapevo che qui ci fosse qualcuno.”
“Non sei di queste parti,” disse l’uomo, fissandola con espressione dura.
“No, sono appena arrivata in città,” gli rispose, cercando di essere cortese.
“Ti si sente addosso l’odore della grande città,” disse l’uomo. “Non si può costruire una nave nuova solo con il legno vecchio.” Attraversò la strada e scomparve in fondo al viale, diretto verso il porto.
Cosa vorrebbe dire? Mia lanciò un fischio a Tandy, che saltò in auto. Era arrivato il momento di andare a vedere la loro nuova casa. Seguì Google Maps e arrivò a un’elegante strada fiancheggiata da alberi accanto a un mercato pedonale. Seguì le indicazioni che Graham Stone le aveva dato, svoltando in un vicoletto lastricato e parcheggiò in uno dei quattro posti auto dietro all’edificio.
“Andiamo bello,” disse. Tandy saltò fuori contento e le trotterellò accanto. Mia bussò alla porta di metallo sul retro. Un uomo aprì, vestito con un completo pulito e ben stirato che sapeva di anni Settanta. Aveva il viso rugoso e segnato da linee di espressione.
“Posso aiutarti?” le chiese.
“Sono Mia,” gli disse.
“La ragazza di The Vortex? Ti pensavo più vecchia,” le disse con un sorriso. “Beh, vieni dentro. Mi chiamo Tom Hatter. Sono il padrone di casa.” Si chinò ad accarezzare la testa di Tandy. “Quella è la tua macchina? Lascia che mandi qualcuno a prendere le tue cose per portarle su. Will, ho un lavoro per te!”
“Sì, signor H?” Un ragazzino uscì da dietro alcuni scatoloni. Aveva gambe e braccia troppo lunghe per i vestiti che indossava, e un ricciolo di capelli gli era caduto davanti agli occhi. Tandy scodinzolò.
“Prendi i bagagli di questa signorina dalla sua macchina e portali al 2A.”
“Certo, signor H,” disse Will, scattando verso la porta, per poi correre subito indietro. Mia gli porse le chiavi e lui sorrise timidamente.
“Aspetta che ti faccio fare un giro del posto,” disse Tom, passando attraverso una porta a vento. Entrarono in un negozio pieno di curiosità: poster vintage, Magic 8 Ball, portachiavi e tazze. Sulla vetrina davanti erano dipinte delle lettere che dicevano “L’Emporio di Hatter”.
“Ha un po’ di tutto qui,” disse Mia, ammirando il caos controllato del negozio.
Tom si avvicinò a una mappa appesa alla parete.
“Salem è stata fondata nel 1662. Siamo una piccola cittadina portuale,” disse con la sua voce da presentatore. “Solo cinquanta chilometri quadrati – e per lo più di acqua – e appena una ventina di terra. Siamo anche la città più infestata degli Stati Uniti. C’è l’ospedale di Salem, la prigione di Salem, la casa di Joshua Ward, la collina del patibolo, la casa della strega… cavolo, addirittura questo posto è stregato.”
“Questo edificio? Da chi pensa che sia infestato?” chiese Mia divertita.
“Beh, il capitano Joseph White è stato assassinato proprio in fondo a questa strada. Si dice che i cospiratori, Richard Crowninshield e i fratelli Knapp, siano passati precisamente per questo posto dopo aver finalizzato i loro piani alle Comuni di Salem. Poi Crowninshield lo ha preso a randellate uccidendolo nel sonno. A volte li puoi ancora sentire.”
“Li puoi sentire cosa?”
“I sussurri,” disse Tom, guardandosi sospettoso alle spalle.
“Signor H? Ho messo le valigie fuori dalla porta,” disse Will, chinandosi ad accarezzare Tandy. “Pensi che potrei portarlo a fare una passeggiata ogni tanto?”
“Certamente,” disse Mia. “Puoi anche farmi vedere i dintorni.”
“Ti accompagno al tuo alloggio,” disse Tom. “Will? Tieni d’occhio il negozio.” L’uomo condusse Mia fuori dalla porta d’accesso del negozio, che si affacciava su una piazza aperta, con un bar e una manciata di negozi, molti dei quali sembravano essere di natura occulta.
“Hai il tuo ingresso riservato,” le disse, aprendo la porta con una chiave e salendo su per la scala. Mia e Tandy lo seguirono. In cima alla scala c’erano delle porte numerate. Ruotò la chiave nella serratura dell’appartamento 2A e aprì la porta, rivelando un appartamento piccolo ma grazioso. Mia riconobbe il salotto, la camera da letto e il cucinino che aveva visto nelle foto. Facendo il giro del posto, si accorse di una finestra inclinata.
“Che strana,” disse, indicando la bizzarra architettura.
“Oh, quella è la finestra della strega,” le disse l’uomo. “È inclinata in quel modo così che le streghe non possano volarci attraverso ed entrare.”
Mia lo guardò incuriosita e poi andò in cucina. Il fornello era ovviamente antico e piuttosto confuso. Aveva una grande superficie piatta in mezzo a due fuochi, e quattro porticine sul davanti invece di una sola. Avrebbe dovuto capirlo più tardi.
Qualcuno aveva accuratamente messo uno zerbino a forma di cane sul pavimento con una ciotola piena di acqua e un mazzo di fiori freschi sul tavolino con un bigliettino che sporgeva da sotto.
“È stato il socio di Graham, Ollie Cooper, ha preparare tutto. Ha dato istruzioni che leggessi quel biglietto non appena fossi entrata,” disse Tom sorridendo.
“È meraviglioso, Tom. Devo dire che sono sorpresa che Graham mi abbia offerto un alloggio gratuito. È davvero generoso.”
“Beh,” disse Tom chinandosi verso di lei per parlarle sottovoce. “In realtà Graham è mio figlio. Immagino che Hatter non fosse particolarmente adeguato a lui.”
“Oh!” disse Mia. “Capisco.”
“L’edificio appartiene alla famiglia da generazioni. Gli lascio usare queste stanze per i suoi progetti,” spiegò Tom. “Mi mantengo giovane se sono circondato da giovanotti. Ora ti lascio.” Le fece l’occhiolino e le porse un mazzo di chiavi. Il portachiavi diceva L’emporio di Hatter e mostrava l’immagine di una strega a cavallo di una scopa. “Meglio se tieni chiusa la finestra della strega. Non si sa mai.”
Mia rise e prese le chiavi.
“Ancora una cosa,” disse. “La maniglia della porta a volte si incastra. Devi sollevarla e ruotarla