Il Mio Sangue Sulle Zanne. Virginie T.
vampiri che hanno la cattiva idea di contravvenire a questa legge vengono puniti con una seconda morte, una morte dalla quale non ci si risveglia. E sì. Colmo del potere supremo, sono immortale. Bah, che fumisteria! Sono solo parole vuote raccontate ai quei poveracci degli uomini per spaventarli. Come se avessero bisogno di altri motivi per temerci. Il mio popolo ha mancato così tanto di ritegno e discernimento che tutto intorno ci sono ormai solo dei villaggi fantasma, vuoti come la città ai miei piedi. Non c’è più un solo uomo vivo a meno di quindici chilometri di distanza e solo i pazzi in cerca di emozioni forti osano avventurarsi in questi boschi. Si parla molto dei mostri che vi si aggirano al calare della notte. Nessun uomo ne esce mai vivo e la loro scomparsa non fa che alimentare ancora di più le chiacchiere. Dalla mia stanza sento le urla di agonia di questi infelici e mi si stringe il cuore. Un cuore che non è del tutto morto, per una stranezza del caso che Zoran si rifiuta di spiegarmi. Non mi spiega mai niente comunque. Non sono altro che una donna, figlia di un uomo nato in un’epoca in cui il genere femminile serviva solo a procreare, cosa che io non posso fare. Ironia della sorte. Meglio così. Non imporrei mai a nessuno una vita come la mia, nemmeno al mio peggior nemico. Non servo a niente e non ho nessuna prospettiva per il futuro. Zoran si limita a nascondermi agli occhi di tutti e gli anni di solitudine mi pesano ogni istante di più. Sono semplicemente immobilizzata nel tempo, fuori dal mondo.
– Buongiorno, principessa. Dormito bene?
Anton. Il mio guardiano, il mio unico legame con il mondo esterno e, per forza di cose, mio amico. Avevo bisogno di un alleato e lui ha tacitamente accettato di esserlo. Ne ignoro la ragione. So che è più fedele a me che al nostro re e questo potrebbe causargli la morte definitiva. Malgrado tutto, resta là, al mio fianco, e soddisfa tutte le mie richieste, anche le più strane, senza farmi la minima domanda. La sua visita è la mia unica distrazione quotidiana.
– Come sempre, Anton. Ho dormito come una morta.
– Sst. Ne abbiamo già parlato, principessa. Cammini, parli, quindi sei viva. Non c’è nessun morto qui.
Anton è un vampiro, ma è restato un uomo buono, com’era probabilmente da vivo, e cerca in tutti i modi di farmi capire che sono più di quello che sembro a prima vista. Il mio amico non è cambiato da quando è stato trasformato, come tutti noi. Il suo fisico atletico lo rende una perfetta macchina per uccidere e il suo volto è sempre sorridente quando sta con me. Peccato che la sua carnagione pallida gli conferisca un’aria così… morta. So che lo fa per me e mi sento un po’ in colpa nell’imporgli questa condizione, ma non posso farci niente. Non sopporto l’idea di vederlo subito dopo che ha ucciso qualcuno, anche se indirettamente. Quindi non mangia mai prima di venire da me ed ecco perché ha questo aspetto bianco e cereo. Riprenderà colore quando avrà bevuto il sangue della sua prossima vittima alla quale preferisco non pensare.
– Hai fame, Tatjana?
Prima che riesca a rispondere, il mio stomaco brontola facendolo sorridere.
– Direi di sì.
– Muoio di fame.
Un vassoio appare come per magia davanti ai miei occhi, un bicchiere pieno di uno sciroppo rosso.
– Cosa abbiamo qui oggi, Anton? La caccia è stata fruttuosa?
– Non c’è male, sì. I lupi mannari si fanno discreti in questi ultimi tempi, quindi la foresta brulica di bestiole. Questa sera c’è del coniglio che sono andato a scovare nella sua tana.
Perfetto. Ne vado matta. Prendo il bicchiere e bevo avidamente il sangue della preda che mi permette di sopravvivere senza dover sterminare degli innocenti. Il sangue degli animali è meno ricco di quello degli uomini, ma non essere responsabile della morte di qualcuno è una soddisfazione che compensa ampiamente questo sacrificio. Del resto non mi serve essere piena di energie per andare avanti e indietro nella mia stanza, ancora e ancora, fino al sorgere del sole, segno che bisogna andare a dormire.
– Le tue guance riprendono un po’ di colore. Ne avevi bisogno. Eri quasi più pallida di me.
Gli sorrido, ringraziandolo con un cenno della testa. Ha ragione, il mio stomaco si contorceva dalla sete.
– Zoran chiede di te.
Inclino la testa di lato e il mio sorriso svanisce. Il re mi chiama di rado al suo cospetto. Sono il suo segreto e mi custodisce gelosamente al riparo dalla vista di tutti. Poiché rifiuta di mostrami al mio popolo, il castello deve essere evacuato ogni volta che esco, e questo suscita immancabilmente l’interesse di qualche curioso.
– Sai perché?
– Non ne ho idea, ma vuole che ti accompagni. La convocazione riguarda entrambi. Il castello è in ebullizione da qualche giorno. Qualcosa si prepara, ma nessuno sa cosa. Zoran dà ordini a tutti senza spiegazioni e soprattutto senza una logica apparente, e ha cacciato dalle sue terre tutti i vampiri più deboli.
– Non capisco.
– Neanch’io, principessa. Tutto quello che so è che Zoran è già abbastanza teso. È più prudente obbedire e andare da lui subito se non vogliamo contrariarlo ancora di più. Preparati. Io verifico che la via sia libera.
Annuisco e dopo che se ne è andato continuo per un bel po’ a fissare il punto della stanza in cui si trovava. Ho una strana impressione. Il presentimento che tutta la mia vita stia per essere sconvolta e che avrò un ruolo chiave negli eventi futuri. Ecco un’altra delle mie piccole particolarità.
Mi scrollo per uscire da questo torpore e corro a cambiarmi. Mio padre fa fatica a vivere nella nostra epoca. A dire il vero non ci prova nemmeno. È rimasto bloccato a sei secoli fa, al tempo della sua morte, e non sopporta di vedermi in jeans, maglietta e scarpe da ginnastica come gli uomini odierni. Di certo questo stile stride con quello del Medioevo che l’ha visto nascere. Io, però, ne vado pazza. Sono riuscita a adattarmi e a evolvere grazie alle riviste che il mio amico mi porta regolarmente dalla città. Anton dice spesso che questo secolo corrisponde meglio alla mia personalità. Non ha torto. Sembra che ai nostri giorni, gli uomini si occupino di ecologia, riciclaggio e benessere. Io sono un po’ così. Tranne per l’alimentazione vegetariana, ma per me si tratta di una questione di sopravvivenza. Si direbbe quasi che io fossi due secoli in anticipo e che loro mi abbiano finalmente raggiunto. O che io abbia vegetato più di quanto credessi. Comunque, mi sbrigo a infilare un vestito che sta là buttato per terra e che è più adatto a una persona del mio rango. In altre parole: la principessa del re più potente che questa terra abbia mai conosciuto, il re vampiro Zoran. Peccato che nessuno sia al corrente della mia esistenza. Questo titolo avrebbe più senso se fossi tra la gente. Nel mio caso non è altro che un’etichetta pomposa e senza senso.
– Sei pronta?
L’irruzione in tromba di Anton mi fa trasalire e metto il rossetto sulla guancia invece che sulle labbra.
– Scusa. È solo che Zoran non è più teso, ma nervoso. Dobbiamo andare adesso.
Riesco appena a correggere l’errore e a farmi la bocca scarlatta. Questo rosso sangue fa sembrare la mia pelle ancora più bianca, ma a Zoran piace vedermelo addosso.
I corridoi deserti creano un’atmosfera sinistra. Non si sente nemmeno un mormorio, come se il castello fosse stato svuotato di tutti i suoi abitanti.
Raggiungiamo i quartieri del re, riconoscibili tra tutti per la decorazione fastosa e soprattutto per i poveri esseri umani incatenati al muro. A questa vista mi si rivolta lo stomaco. Uomini e donne sono tenuti prigionieri senza nessuna speranza di fuggire, destinati a essere dati in pasto al re e ai suoi sudditi prima di venir divorati da qualcosa di ben peggiore. Questi disgraziati non sono considerati altro che cibo e non vengono rispettati più delle bestie. Il contrasto tra queste prede lerce e indifese e gli arazzi ricamati d’oro che ornano i muri è aberrante e grottesco. Distolgo lo sguardo prima di vomitare il pranzo e mi inclino profondamente davanti a mio padre che troneggia in mezzo alla stanza. L’etichetta, ancora e ancora. L’inchino è la regola in questo reame, per me come per gli altri vampiri.
– Tatjana. Ti sei fatta attendere.
Tengo