Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti. Italo Svevo
da White fu molto affettuoso. Alfonso era tanto predisposto alla commozione che per commoversi fino alle lagrime non gli abbisognava che di una occasione qualunque, e sembrava che l’altro, di solito tanto freddo, si trovasse nell’identico stato. Raccontò ad Alfonso che non sapeva ancora precisamente a quale scalo del Levante egli verrebbe destinato, ma ad ogni modo molto molto lontano e in quel molto ripetuto la sua voce si spezzava dalla commozione.
Alfonso, che aveva dopo ufficio ancora mezz’ora di tempo prima dell’appuntamento, lo accompagnò a casa.
— E la signora...? — chiese accennando alla casa di White.
— Ella non mi accompagna perché... non lo vuole.
Per tagliar corto rispondeva subito anche ad altra domanda che Alfonso avrebbe potuto fargli e mutò subito discorso.
— Ah! in questa città sono stato molto più felice che a Parigi ed è doloroso doverla abbandonare per guadagnarsi la pagnotta. Oh! maledetto l’argento! — La parola francese dava meglio l’aspetto di sincerità all’imprecazione. — Se lei può attendermi ridiscendo subito e faremo un pezzo di strada insieme verso la stazione ove abita una famiglia dalla quale devo prendere congedo.
Ma Alfonso non poteva attendere perché aveva giusto il tempo di arrivare, come suo dovere, poco prima dell’ora stabilita.
I due amici si strinsero la mano e si guardarono per un istante senza parole negli occhi, White col suo volto regolare molto serio, gli occhiali quasi aderenti agli occhi. Poi si divisero ambidue con passo rapido e Alfonso sentì tutta l’importanza di tale separazione. Due esseri ch’erano stati avvicinati per caso, s’erano conosciuti e apprezzati e si dividevano per non rivedersi mai più. È sempre triste l’abbandono definitivo di una cosa o di una persona.
Si era sull’imbrunire. Alfonso sentiva una profonda tristezza. Ora appena comprendeva quanto in ogni caso egli perdesse dall’avventura della notte. White partiva ed egli se ne risentiva come se lo avesse abbandonato una persona che molto avesse importato nella sua vita. Si sentiva solo. Che cosa poteva ora essere la sua vita quando, ventiquattr’ore dopo raggiunto, riconosceva che lo scopo per cui era vissuto non dava la felicità?
Eppure ancora desiderava Annetta. Avvicinandosi l’ora in cui doveva rivederla, egli evocava la bella figura e esaminava con curiosità quale impressione gli producesse. Era di desiderio, ma un desiderio che non gli toglieva nessuna delle sue ripugnanze e gli parve una nuova ragione per apprezzare i propri sentimenti. Ora poteva vantarsi dell’odio al proprio misfatto perché pur desiderando, amando, egli diceva, Annetta, non provava meno ripugnanza per il modo con cui ne aveva conquistato l’affetto. E nella sua tristezza fu colto da una compassione commossa per Annetta riconoscendo che dagli avvenimenti di cui egli si doleva ella perdeva molto più che lui. Credette che questa commozione formasse la parte maggiore della sua ripugnanza.
Giunto vicino al piazzale si mise a correre temendo di arrivare in ritardo. Annetta non c’era ancora. Secondo quanto gli aveva scritto, ella doveva trovarsi dinanzi alla scuola, verso il Tribunale. Anche in quella sera, avendo paura degli sguardi indiscreti, non volle stare fermo e fece due volte con passo lento la piccola erta designata. Come si accingeva a risalire, venne chiamato.
— Signor Alfonso!
Era Francesca, non Annetta. Ella gli venne incontro, il volto leggermente arrossato e lo salutò con quella sua voce solita, inalterata che finiva col sembrare quella di una macchina.
— Avrei lassù, — e accennò verso villa Necker, — la carrozza nella quale si potrebbe parlare con piena calma ma preferisco camminare. Già, io sono perfettamente irriconoscibile.
Non lo era ad onta del fitto velo che le copriva il volto, e Alfonso pensò ch’egli avrebbe riconosciuto anche a grande distanza quel corpo gracile dai movimenti virili nel vestito nero, molle.
— E Annetta? — chiese rammentandosi finalmente di dimostrare disillusione.
Ella s’era messa a camminare con passo piccolo ma rapido verso villa Necker sull’erta ove a lui già una volta era mancato il fiato. Lo precedeva di due passi per far credere ai passanti che non si trovava in sua compagnia. Soltanto dopo il Tribunale lo attese e rispose alla sua dimanda. Annetta non poteva venire e lo pregava di scusarla; precisamente all’ora destinata per l’appuntamento, il padre per una disgraziata combinazione aveva avuto il capriccio di trattenerla con sé. Gli porse un bigliettino di Annetta, due parole scritte in fretta all’ultimo momento.
— Lo leggerà dopo, — disse con impazienza allorché egli accennò di volerlo aprire subito. — Non so che cosa pensi di me, — ella disse senza rossori e senza esitazioni, — ma la parte d’intermediaria mi è stata imposta; è il meglio che ora, per il bene di Annetta, mi resti a fare. Si deve giungere al più presto al risultato voluto.
Questo risultato voluto doveva essere il matrimonio; era l’unico sottinteso e quello per nessuna ragione necessario.
— Annetta dice... — continuò Francesca e già da quest’esordio si comprendeva che alle comunicazioni ch’era stata incaricata di fare avrebbe fatto seguire le proprie considerazioni e i propri consigli. Era evidente che Francesca aveva riflettuto a tutto quanto voleva dirgli e se dopo dimostrò sorprese e dubbî ciò avvenne perché il contegno di Alfonso fu troppo differente da quanto ella avesse potuto prevedere.
Annetta semplicemente gli faceva ripetere quanto già gli aveva scritto. Non voleva ch’egli avesse a subire degli affronti, voleva che si allontanasse per qualche tempo dalla città acciocché ritornando trovasse tutto regolato. Di nuovo soltanto c’era la comunicazione, ch’ella aveva avuto l’opportunità di parlare con Cellani e che sarebbe stato costui che gli avrebbe dato il chiesto permesso.
Francesca s’interruppe accorgendosi del mutismo di Alfonso ch’ella interpretò con la sua consueta rapidità:
— A lei questo piano dispiace? — e con soddisfazione calma aggiunse: — Oh! io lo prevedevo!
— No! non mi dispiace! — fece Alfonso esitante. Quello che maggiormente lo impensieriva era la paura che Francesca potesse comprendere ch’egli non dedicava alla questione l’interesse che avrebbe dovuto. Con voce che volle sembrasse addolorata aggiunse: — E sarà duro per la signorina Annetta di fare i passi di cui ella qui mi parla?
— Perché?
— Oh bella! può avere a udire qualche brutta parola!
S’era adirato, perché nulla è più irritante che non venir subito compreso quando si finge.
— Ad Annetta non può importare nulla di una parola dura ricevendola per una questione che ha per essa un’enorme importanza, quantunque a lei signor Alfonso pare non sembri così!
La sua voce si prestava molto bene all’ironia. Egli sentiva ch’ella era molto lontana dal sospettare quanto con quel rimprovero si apponesse al vero, ma l’ironia l’offendeva istesso.
— Lei può facilmente immaginare quanta importanza abbia per me questa faccenda, ma però a me non piace di lasciare la signorina Annetta qui sola a combattere anche per mio conto!
Ella lo guardò attentamente:
— Ella dunque non vuole partire?
— Io non voglio nulla, ma, mi sarà permesso, lo spero, di esprimere un mio piacere o un mio dispiacere?
Ella parve disillusa.
— Così...? Senta, voglio essere franca. Io non vedo la ragione per cui ella dovrebbe allontanarsi. Annetta è padrona in casa e alla prima parola ch’essa dirà, se sarà detta come si deve, nessuno avrà più nulla da opporre. Non vi sono dunque a temere degli affronti per Annetta o per lei. — Poi, vedendolo esitante e sorpreso: — Io non so come conquistarmi in sì breve tempo la sua fiducia, ma ne ho di bisogno. Ella sta per commettere una sciocchezza ed io voglio impedirgliela. Dunque mi ascolti, segua un mio consiglio, non parta. — Gli disse che a lui voleva bene, che si rammentava sempre con uguale commozione del villaggio, dell’anno trascorsovi e della madre sua ch’ella aveva amata,