AbrakadabraL Storia dell'avvenire. Ghislanzoni Antonio
la Pasqua di riconciliazione. Non è vero, signor curato revendissimo?»
CAPITOLO IV.
Non possumus!
La inattesa perorazione del sindaco produsse un effetto galvanico sul curato, il quale nella sua canonica riservatezza, avrebbe voluto astenersi da quella vivace polemica. Tacere, dopo una interpellanza così diretta, era lo stesso che approvare o dichiararsi convinto. E quale scandalo per le tribune dei villani! quale sconfitta per il principio!
Tutti gli occhi erano fissi in lui. Il signore col suo sguardo severo pareva esigere una spiegazione.
Il curato si levò in piedi, e volgendosi all'uditorio con un gesto da dominus vobiscum, replicò a tutta voce due parole latine, il motto inesorabile, nel quale si riassume tutto il programma religioso e politico della setta clericale:
«Non possumus!
«Non possiamo! non possiamo! proseguì a tutta voce l'onorevole interpellato, traducendo il suo testo per adattarsi alla intelligenza delle tribune idiote.
«Il papa e i prelati della sacra venerabile curia romana, i grandi dottori della Chiesa vi manderebbero a spasso con questo semplice motto, che è il corollario di un coscienzioso e meditato sistema. Ma io non sono prelato, nè dottore della chiesa; io sono un povero curato, l'ultimo fra gli ultimi nella gerarchia ecclesiastica; e voi potreste supporre che io ripeta da papagallo il testo consacrato dalla Curia senza aver studiata la questione.
«Voi vi ingannereste, o signori. Io sono pienamente convinto del mio non possumus, più che voi non lo siate delle vostre utopie liberali, umanitarie. Io le ho studiate le vostre utopie, le ho discusse—ho fatto di più—mi sono provato ad applicarle mentalmente alla vita pratica, e sono riuscito a concludere che tutte le vostre riforme, le vostre innovazioni, ciò che voi chiamate civiltà, libertà, progresso, non sono che larve ingannevoli, assunte dallo spirito malefico per insinuarsi nel mondo a moltiplicarvi la miseria e la corruzione.
«Ah! voi predicate la scienza universale; volete che tutti apprendano a leggere, a scrivere, a ragionare, a filosofare! E siete voi che spacciate queste felici teorie!… voi proprietario di seicento pertiche di terreno, e padrone di un vasto opifizio dove lavorano ogni giorno da oltre sessanta operai!
«Avete mai riflettuto cosa avverrà dei vostri campi e dei vostri meccanismi il giorno in cui la educazione universale avrà cessato di essere una brillante utopia per tradursi in una realtà deplorabile?
«Quando voi, beatamente sdraiato nel vostro birroccio, lo zigaro in bocca, la punta del naso fiammante di vino, percorrete la strada che attraversa i vostri poderi, i contadini che non san leggere, si levano rispettosamente il cappello, col sorriso e col cuore vi danno il buon giorno, e ansanti, sudanti, raddoppiano la lena della vanga.
«Essi dicono: il padrone è ricco, e noi siamo poveretti—egli è il nostro benefattore—egli ci mantiene, ci dà la polenta—lavoriamo per lui!—è nostro dovere! senza di lui come potremmo vivere?
«Così gli idioti contadini, che non sanno leggere, nè ragionare. Vedete qual logica balorda! Come si illudono grossolanamente i poveretti sulla legittimità dei vostri diritti di proprietario, e sulla necessità del loro servaggio! Sono ignoranti, sono zotici i vostri paesani!!!
«Via, signor sindaco!… bisogna soccorrere all'idiotismo di questi infelici. Affrettiamoci ad educarli! Poniamo loro in mano l'abbecedario, poi la grammatica, poi l'istradamento al comporre, la prosodia, se volete—qualche libro di amena letteratura—e da ultimo, abboniamoli ai giornali politici!
«Tutto sta che i maestri ci si mettano di zelo; e in meno di cinque o sei anni, i vostri contadini, signor sindaco, ne sapranno quanto voi, o per lo meno quanto il vostro segretario.
«Ecco là un'assemblea di scienziati, un areopago di filosofi… Via! battete le mani, signor sindaco presidente! Il grande miracolo è compiuto! I vostri villani erano bruti ed ora sono diventati uomini—erano schiavi, ed hanno infranto le catene—nuotavano nelle tenebre, ed oggi aspirano alla luce. Tanto ciò è vero che essi hanno gettata la vanga e la gerla, e non vogliono più saperne di fecondare coi loro sudori la gleba del tiranno.
«E sapete cosa è la gleba, signor sindaco?—è il vostro campo. Sapete chi è il tiranno?—Il tiranno siete voi. Consolatevi! questa scoperta è dovuta al vostro sistema di educazione universale. Il risultato poteva esser più pronto e più soddisfacente?
«Ma io ho forse abordato con soverchia leggerezza una quistione molto seria, che racchiude il germe di sanguinosi avvenimenti. Il nostro non possumus data da secoli, e mette capo a quel libro divino, a cui non vorrete negare qualche autorità—parlo del vangelo. I pericoli e i danni della scienza universale sono prevenuti in quel codice santo, dove la povertà dello spirito e l'umiltà del cuore stabiliscono la base di una morale feconda di beatitudine.
«Attenendoci ai consigli della sapienza divina, noi abbiamo tremato di ogni nuova istituzione che tendesse a traviare l'umanità pel cammino dell'orgoglio e del disordine.
«Fummo avversi alla stampa, presaghi delle sue abbominazioni infrenabili; perseguitammo Galileo; ponemmo ostacolo per quanto era da noi alle temerarie pellegrinazioni di Colombo—abbiamo negato il vapore, contrastato il telegrafo, imprecato a tutti gli abusi della ragione, alla filosofia, all'esame critico, ai sacrileghi attentati della chimica e del magnetismo, due scienze di terribile avvenire!…
«Se il genio del male fu più potente di noi—se la stampa e il vapore, i più fieri nemici dell'umanità, si scatenarono sulla faccia dell'universo—noi non cesseremo, per quanto i nostri mezzi ce lo permettono, di opporre un freno allo spirito ed alla materia ribelle. Se non ci è dato impedire, noi ritarderemo. Verrà giorno in cui, meditando il nostro non possumus, quegli stessi che oggi ci accusano quali nemici della umanità, ci proclameranno ispirati da Dio.
«Poco dianzi, parlandovi dei contadini e degli effetti immediati che dovranno prodursi in questa categoria sociale dal benefizio dell'istruzione, io vi faceva presentire la terribile minaccia: «badate! l'uomo che sa leggere e ragionare non può adattarsi a trascinare l'aratro.» In questa verità stanno i germi della più micidiale, della più orribile rivoluzione che mai abbia insanguinata la superficie della terra.
«Come riuscirete a sedarla? quale sarà il mezzo della tregua? il componimento finale?—Via! confessatelo, signori progressisti umanitarii—su questo punto della questione voi non siete più avanzati di noi.
«Basta! a suo tempo ci penseremo—non è vero? tale è la vostra filosofia; ed io mi congratulo di vedervi sorvolare con tanta leggerezza agli scrupoli dell'avvenire. Ma vi è nel presente qualche cosa di più grave, di più contradditorio, a cui forse non avete ancora badato. I vostri progressi non sono solamente una minaccia che gravita sui vostri contemporanei. Tutte le scoperte che soccorrono ad un bisogno, ad un comodo, o ad un diletto della vita umana—ogni nuovo passo dello spirito inventivo, che, a vostro dire, segna una nuova fase di civilizzazione, moltiplica necessariamente sulla terra il numero degli schiavi, e inchioda più aspramente alla catena quei milioni di paria che voi pretendereste redimere.
«Voi scuotete il capo, signor farmacista! Ciò vi sembra un paradosso… Vi spiegherò il pensiero cogli esempi… Compiacetevi di abbandonare le astrazioni, e di scendere con me sul terreno della vita reale, a cui, se non mi inganno, voi altri liberali vi dimenticate troppo spesso di appartenere.
«Il primo uomo che, camminando per una foresta di vergini piante, corse dietro ad un candido fiocco staccatosi da un ramo, e strofinandolo leggermente fra le dita, concepì il pensiero di ridurlo a filo per tramarne dei tessuti—il primo uomo che si propose coltivare il cotone per farne dei drappi; quell'uomo, nell'ingenua compiacenza di recare un immenso vantaggio alla umanità, segnò la condanna di milioni e milioni di negri—fu l'innocente iniziatore di una mostruosa barbarie, che anche oggigiorno fa inorridire la terra.