Un bel sogno. Achille Giovanni Cagna
mano che le otto ore si avvicinavano, ella diveniva sempre più inquieta, finalmente il pendolo segnò lʼora desiderata, e quasi contemporaneamente risuonò il campanello di casa Ramati.
Era desso! il cuore non lʼaveva ingannata; era Ermanno che entrando incontrò lo sguardo smarrito della fanciulla, che tradì colla sua confusione il suo secreto. In quella sera la madre di Laura ritirossi di buonʼora perchè alquanto indisposta; sullʼavvocato Ramati era assolutamente vano il far calcolo; erano tempi di agitazioni politiche!
I giovani adunque rimasero soli e padroni del campo. Ermanno suonò, e naturalmente Laura appoggiò le mani alle sue spalle; non era più una novità, e poteva farlo liberamente. La stagione non correva troppo propizia per restar rinchiusi in una sala, ed Alfredo propose una passeggiata nel suo ampio giardino—Si accettò con gioia—Di notte i giardini sono più deliziosi che non di giorno; al chiaro delle stelle si può benissimo comporre un mazzolino di fiori, ed Ermanno dopo pochi passi, aveva fatta la sua messe sopra un rosaio il più vago che si fosse mai visto—Un bottoncino di fiori accuratamente intrecciati, passò rapidamente dal seno di Laura nelle mani di Ermanno Vengano ora a dirci che di notte non si vede! La comitiva si fermò sopra un poggio che si ergeva nel mezzo del giardino, e tutti si adagiarono senza tante reticenze sullʼerba morbida e fresca.
—Ermanno! saltò su a dire Alfredo, mia cugina canta molto bene, tu sei poeta discretamente felice, e musico per eccellenza; non potresti comporre una Romanza?
—Bella idea, sclamò Laura battendo le mani, quando sarò a Milano, mi verrà di gran conforto nella noia della solitudine il cantare qualche cosa che mi ricordi questa casa.... Non già che io abbisogni di unʼeccitamento per ricordarmi di Brescia, questa bella città mi lascia troppe impressioni perchè io la possa dimenticare! e si dicendo senza accorgetene strinse la mano dʼErmanno, il quale rispose:
—Mi proverò signorina, ma non si lusinghi di troppo.
—Evviva la modestia, sclamò Letizia, figurati Laurina che anche a me diceva lʼistessa cosa, eppoi mi ha fatto una delle più belle Barcarole che si sieno mai sentite. Il male si è che da qualche tempo ho cambiata la voce, e non arrivo più a cantarla.
—È dunque inteso, interruppe Alfredo; ora tocca a Laura di scegliere il soggetto.
Laura si mostrò alquanto imbarazzata. A quella semplice proposta le si presentarono dʼun tratto tante idee, che mal sapeva dove scegliere. Non era assolutamente il soggetto che le mancava, ma sibbene il coraggio di palesarlo.
—Hai trovato? Chiese Letizia.
—Davvero non saprei, mi vengono in mente tante cose....
—Ti aiuterò io, disse Alfredo, ma prima è necessario sapere qual genere di canto preferisci.
—Malinconico, rispose Laura.
—Una lacrima!...
—No.
—Un sospiro?
—Nemmeno.
—Una preghiera!
—No, rispose ancora la fanciulla, e volgendosi ad Ermanno. Animo, gli disse, ci aiuti; fuori una delle sue belle idee, ed aggiunse con un lieve accento di rimprovero: parmi poi che ella non dovrebbe essere affatto estraneo alla scelta di questa canzone!...
Letizia non comprese. Alfredo pensava al soggetto, ma Ermanno conobbe il vero senso di quelle parole; lo conobbe tanto bene che rispose subito:
—Un addio?
—Bene, bene risposero le ragazze.
—A chi? chiese Alfredo.
Questa volta toccò ad Ermanno lʼimbarazzo, ma Laura, come se avesse compresa la titubanza, e per dargli coraggio sclamò con accento malizioso:
—Fuori dunque, non esiti, a lei non possono venire che buone idee.
—Addio alla patria! gridò Alfredo come se avesse colto bene.
—No, no.
Ermanno si fece coraggio, e mormorò:
—Un addio allʼamico....
—Lontano, aggiunse Laura, con estrema finezza.
—Dunque, Un addio allʼamico lontano, ribattè Alfredo. Bene, ma non troppo, quellʼamico....
—Eh! via, osservò Letizia, non capisci che lʼamico è un amante!
—È unʼamante?... Allora non parlo più.
Il volto di Laura era talmente acceso che fu vera fortuna per lei se le tenebre della sera le fecero velo.
Dopo poco tempo, si fece ritorno nella sala di musica.
Laura volle provarsi a cantare, ma invano, la voce rispondeva al sentimento che la agitava; nella sua piccola fantasia la povera giovinetta credette di aver commesso alcunchè di straordinario.—Alfredo tentò egli pure una cavatina, ma la troncò a metà, allegando unʼimpedimento di voce causato forse dallʼaria della sera.
Ermanno pure era alquanto pensoso; pareva assorto in qualche grave riflessione, e sfiorava sbadatamente la tastiera del pianoforte, senza punto curarsi di ciò che ne usciva. Ad un tratto una vocina delicata che lo fece fremere, interruppe le sue meditazioni.
Era Laura che durante quel martellare sul piano, erasi rimasta dietro a lui, non azzardando di sturbarlo; era dessa che scuotendolo dal suo letargo lo invitava a suonare—Ermanno alzò gli sguardi al soffitto come fanno i pianisti per richiamarsi alla mente qualche pezzo, indi nel riabbassarli, incontrò quelli di Laura che gli si era posta accanto; era un sorriso seducente, che egli contemplò a lungo senza che perciò la giovinetta sʼimbarazzasse.
Ermanno suonò, ed alle prime note dʼintroduzione venne interrotto da Alfredo che gridava:
Attente figliuole, attente a questa sublime musica, è di Talberg....
Ermanno risalì al principio del Notturno che riuscì dʼun magico effetto. Letizia batteva le mani, e Laura invasa dal senso malinconico che la dominava, mormora al giovane:
—Quanto è caro...questo notturno.
Batteva la mezza dopo le dieci quando Ermanno si levò dal pianoforte per andarsene.
—Così presto? chiesero le fanciulle.
—Me ne duole signorine, ma mia madre non istà troppo bene, e non è prudenza lasciarla sola per tanto tempo.
—Allora vada pure signor Ermanno, sarebbe dal canto nostro esigere un poʼ troppo.
—Letizia dice bene sclamò Laura prendendo la mano ad Ermanno, e trattenendolo aggiunse. A rivederci quando?
Ermanno si mostra imbarazzato.
—Domani perbacco, disse Alfredo, non è vero?
—Purchè mia madre stia bene....
—Oh sempre inteso, anzi ascolta, ho un progetto per domani; suonare tutta la sera è troppa fatica con questo caldo; andremo a fare un giro in carrozza, vi pare madamigelle?
—Va benissimo.
—A domani dunque.
—A domani.—Ermanno uscì salutato per lʼultima volta da Laura che gli aveva mormorato: Lʼaspetto!
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