Racconti e novelle. Ghislanzoni Antonio

Racconti e novelle - Ghislanzoni Antonio


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      Sebbene a quell'epoca io fossi uno sventato di prima classe, pure quella lettera gettò nel mio cuore un insolito turbamento. Voi converrete, miei ottimi amici, che il caso era abbastanza singolare per dar a riflettere, e suscitare qualche allarme nel più matto dei matti.

      Ammirando la schiettezza di quella donna, io non poteva a meno di essere sorpreso della sua disinvoltura nel mutare di amanti. L'eccentricità di quel carattere mi allettava in sommo grado, ma io temeva in pari tempi ch'essa coprisse una leggerezza di cattivo genere.

      Malgrado queste considerazioni e in onta di un indefinibile presentimento di sciagura, all'indomani mi recai sul luogo del convegno.

      *

       * *

      Allo scoccare delle otto ore, la mia bella misteriosa spuntò dalla stradicciuola che dà sul bastione, e mosse ad incontrarmi con passo accelerato. Ella vestiva colla massima eleganza, e in luogo del velo, questa volta portava in testa un bizzarro cappellino di paglia.

      Nell'abbordarmi, mi porse il braccio senza esitazione, con adorabile abbandono. Il di lei volto era sorridente, e gli occhi si fissavano in me colla espressione della più cordiale benevolenza.

      *

       * *

      —Sì, il cuore mi diceva che sareste venuto... Come sono felice!.... usciamo dalla porta.... allontaniamoci dalla città..... gettiamoci all'aperta campagna... Andiamo a perderci in quel labirinto di stradicciuole deserte, dove esultano i liberi uccelli fra il sorriso delle acque e dei fiori....

      E così parlando, mi traeva seco pel braccio, e noi uscivamo dalla città come due amanti che si conoscano da mesi.

      *

       * *

      Non riferirò il lungo ed animato dialogo che ebbe luogo fra noi, sotto l'ombra di non so quanti faggi, al mormorio di non so quanti ruscelli. Vi dirò solo che al contatto di quella donna tutte le mie apprensioni svanirono. La nostra conversazione assomigliava ad un duetto istromentale che esprime dei concetti indefiniti. Ci parlavamo come due esseri che non hanno rapporti col mondo. Eseguivamo delle variazioni, a volta patetiche, a volta brillanti, sovra una sola melodia—la melodia dell'amore.

      Così passarono parecchie ore.—Al momento di rientrare in città, noi sostammo presso gli argini del ponte.

      —Quando ci rivedremo?—mi chiese ella, coll'accento dell'insaziato desiderio...

      —Quando vorrai—le risposi—quando senza comprometterti....

      —Ebbene: a che servono le dilazioni?... Poichè ti ho dato tutto il mio amore io debbo anche accordarti la mia piena fiducia. No! le convenienze, i pregiudizi del mondo non possono impormi—io abborro le ipocrisie. Io mi abbandono a te... ti affido il mio onore la mia riputazione... tutta me stessa. La mia casa ti è aperta—io ti aspetterò tutti i giorni.... a tutte le ore.... Fra noi da questo momento è tolta ogni barriera... io sfido tutte le dicerie... come sono disposta ad ogni sacrifizio. Se questa sera.... se domattina vorrai recarti alla mia casa, io ti correrò incontro a braccia aperte, e noi vedremo rinnovarsi nella intimità del mio piccolo appartamento le ore deliziose che abbiamo passate questa mane sotto la vôlta del cielo sereno....

      Tali presso a poco erano le sue parole: ma io non potrei descrivervi l'enfasi della voce e degli accenti. La sua esaltazione pareva toccasse il delirio.

      —Amalia, le dissi stringendo colla più viva commozione la sua mano nella mia; io ammiro il tuo entusiasmo e ti sono grato della fede che in me riponi, ma non posso incoraggiarti al sacrifizio de' tuoi doveri e della tua pace. Non accusarmi di freddezza se ti parlo il linguaggio della ragione. Fino ad ora noi abbiamo conversato come due esseri che appartengano ad un mondo ideale, dimenticando, nelle estasi del nostro amore, il triste realismo della vita. Noi stiamo per rientrare nella città, e per riprendere il posto che la società ci ha inesorabilmente assegnato. Prima di separarci è necessario che noi avvisiamo ai mezzi di rimuovere gli ostacoli che potrebbero opporsi alla nostra felicità. Io sono libero come gli augelli dell'aria—ma tu... Amalia!... Puoi tu dire altrettanto? Puoi tu obliare di avere un marito ed un figlio? Dovrò io, perchè ti amo, fomentare la tua esaltazione fino al punto di renderti ribelle alle convenienze che il tuo stato ti impone, e trascinarti per una via piena di affanni e di umiliazioni? Meno male se non si trattasse che di un marito, ma poichè un figlio ci sta di mezzo...

      *

       * *

      A questo punto della mia patetica allocuzione, una chiassosa risata mi ruppe gli accenti sul labbro.

      —Mio marito!... Mio figlio!—esclamò la giovane donna, abbandonandosi senza ritegno alla ilarità che la invadeva.—Ma dunque tu credi... tu puoi supporre?... Oh vedi un poco i bei pazzi che noi siamo!... Abbiamo passate due ore a parlarci d'amore, a fabbricarci colla immaginazione un avvenire di gaudio e di felicità, e non abbiamo pensato a liberarci dalle chimere. Via! sta di buon animo, Eugenio mio—il marito, il tremendo marito non esiste. Il marmocchio che rappresentava una parte sì patetica nelle mie lettere, appartiene, per diritto naturale e legittimo, ad un'Amalia che tu non conosci, all'amante del tuo amico Della-Valle. È tempo davvero che noi discendiamo nella vita reale per dissipare ogni equivoco. Noi eravamo in quattro a giuocare la partita. Tu eri il segretario, il consigliere intimo di un Arturo imbecille; io d'altra parte scriveva delle lettere d'amore per conto di una signora Amalia, ammogliata con prole, ma poco ferma nella grammatica e nella ortografia. Tu ti invaghisti di conoscere l'amante del tuo amico. Io, nel leggere le tue risposte appassionate, sentii il bisogno di vederne l'autore. Il caso non poteva meglio favorirci. Domenica scorsa, per una indisposizione subitamente sopravvenuta, la signora Amalia doveva mancare al convegno...... Io colsi l'occasione di volo... Spinta dalla passione, venni sul luogo dell'abboccamento... Mi accostai ad Arturo... Fingendomi messaggiera della amica indisposta, gli diressi la parola... Quale disinganno!... Alle poche e tronche frasi proferite da colui, io mi accorsi d'aver a fare col più volgare degli idioti. Ma tu eri là... tu corresti sui miei passi... tu mi arrestasti... mi stendesti la mano, e alle prime parole da te proferite io conobbi l'autore delle lettere che tanto mi avevano impressionata. Quanto gaudio in quella rivelazione! Io tornai alla mia casa coll'anima inebbriata. Ogni scrupolo, ogni rimorso svanì dal mio cuore. Ti scrissi, ti svelai candidamente la mia passione... ti pregai di usar meco l'uguale franchezza; ed oggi, dopo le espansioni che avvennero fra noi, io mi sento pienamente sicura del tuo amore e beata di affermarti che niuna barriera, niun ostacolo si interpone ai nostri voti. Lascia dunque ch'io mi appoggi al tuo braccio. Noi possiamo entrare in città e attraversare la folla così allacciati, senza incontrare uno sguardo geloso o suscitare un mormorio di riprovazione. Procediamo per la nostra via colla fronte alta e serena; io ti condurrò alla mia casa, dove un'ottima zia ci accoglierà entrambi come figliuoli. Più tardi ti presenterò a' miei fratelli, ai parenti....

      —Basta!... basta!... con comodo... uno alla volta!... troppa felicità!...—interruppi io, accelerando il passo colla mia donna sul braccio. A queste frasi concitate e convulse tenne dietro un mostruoso silenzio. Da quel momento io mi sentii accalappiato. Io comprendeva che quel mio adultero amore non poteva avere altra soluzione fuorchè... il matrimonio. Infatti, noi attraversammo la città come due consorti legittimi; io mi lasciai condurre alla casa della giovane donna, strinsi conoscenza colla zia, dichiarai ad essa le mie buone intenzioni... e di là a quattro mesi divenni il consorte legittimo della signora Amalia Ferrarini maestra di prima classe alle scuole di Bassano Porrone!

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