Rafaella. Silvio Pellico
Provato un fico! vi dico io. Il Marchese è uomo; e quantunque savio come suo padre potrebb'essere ingannato.
— Sì! ingannato! Eh! che non si può errare, quando non si tratta di niente più in là dell'avo di un cristiano. È vero che il crociato generò qui nella vecchiaia il povero Berardo, e che il crociato era pur nato di padre vecchio; è vero che questi era fuggito nell'infanzia e che lo avevano creduto affogato nel Chiusone o nel Pollice, e che niuno ponea più mente a quella schiatta di servi. Ma quando il diavolo disseppellisce carte, che per disgrazia, serbano memorie in forza delle quali una famiglia onesta dee precipitare nella sventura, e quando l'infallibilità di quelle carte è accertata dai dottori, chi può dubitare del giudizio che ne viene pronunciato?
— Chi può dubitarne? Io! io che so quai brutti giuochi facciano talora, non so s'abbia a dire le apparenze, o il diavolo! I registri delle famiglie de' servi non si possono inventare, lo riconosco; e la pergamena dissotterrata sarà bella e buona per mostrare quali antenati abbia avuti il servo che s'affogò, o fuggì. Ma niuna pergamena palesa se quel servo sia piuttosto fuggito che affogato. Si acquistasse pure certezza della sua fuga, quasi un secolo dopo, allorchè i vermi avrebbero potuto mangiarlo venti volte; come volete che si dimostrino i viaggi da lui fatti, e si sappia che un tale, il quale anco è cenere da gran tempo, era suo figlio?
Sebbene questi e simili discorsi mostrassero la libertà del popolo nel discorrere del suo principe; non v'era però germe d'odio contro di lui, nè la minima diffidenza della sua equità: giacchè il marchesato (all'eccezione di Cuneo) riposava fedelmente nell'abitudine dell'obbedienza. Per quanto i mercati fossero romorosi e vi s'agitassero diversi contrarii pareri, niuna ombra ne prendeva il governante, niun notevole scandalo ne sorgeva nei governati. Pochi birri moveano su e giù per la piazza, non solleciti di far badare alla loro presenza, se non quando avvenissero gare di bastoni e di coltelli o si gridasse: al ladro!
Infatti, mentre fervea la multiplice conversazione accennata, ecco un suono di tromba sotto il portico doppio, e tutti volgersi rispettosi a quella parte. Un banditore facea sventolare la bandiera marchionale per intimare silenzio; e già niuno più zittiva. Tornò a sonare la tromba prolungamente, e tutti giubilarono, perocchè quel segno annunziava la discesa del Sire dal castello e qualche provvedimento che egli venisse a dare al cospetto del popolo.
Il portico doppio era un palazzo presentante due ordini d'arcate l'una sull'altra. Giunti dal castello il Marchese, la Marchesa, il loro figlio e numerosa comitiva, salirono sull'arcata superiore, e s'assisero nei proprii seggi, a vista di tutto il popolo. Qual fu la generale maraviglia quando, dopo aver fissato gli occhi sui personaggi seduti, si potè discernere, in un folto gruppo d'uomini e donne del seguito che stavano in piedi l'infelice Berardo, la moglie ed i figli.
— Come lassù? che vuolsi far di loro? Guardatelo là quel valentuomo! non umile più di prima, perchè era già tanto! non vergognoso, perchè e qual colpa ha egli commessa? non corrucciato, perchè chi mai amò al pari di lui il prossimo, compresi i nemici? E la buona Giovanna! E quell'angelica creatura di Rafaella? Ed Eriberto?
Queste ed altre esclamazioni, levatesi a un tratto da tanti petti, suonarono per l'aria, con quella specie di vibrazione che, agli orecchi degli uomini esperti di tali scene, indica animi commossi da affetti penosi, ma benevoli. Perocchè i bisbigli della moltitudine, sebbene composti di sillabe indistinte, hanno come la voce d'una persona individua, diversi caratteri, secondo la diversa passione che li suscita. Berardo capì; e levò gli occhi al Cielo. Le due donne capirono parimente, e nulla espressero all'altrui guardo, ma sotto i loro veli una segreta lagrima accompagnò l'atto di grazie che offrivano a Dio.
Il banditore ripigliò la tromba, e fe' di nuovo il cenno del silenzio. Allora Guglielmo di Manta, notaio del palazzo, s'accostò alla ringhiera con ampia carta in mano e lesse in quel grossissimo latino, che allora tutti intendevano, quanto segue:
«Nell'anno dell'incarnazione del Signore mille cento sessanta, terzo delle calende di Giugno, indizione eccetera. Io Manfredo, figlio del fu Marchese Bonifacio di buona memoria, dissi, presente ai presenti; Berardo della Quercia essendo stato generato da Iseppo, il quale fu generato da Antonio il quale era servo de' signori di Mozzatorre, come consta dal documento prodotto, ecc. ed esaminato, ecc. ecc. e dalla confessione di Berardo medesimo......
— Dalla confessione di Berardo medesimo! mormorò il popolo, con istupore e pietà.
Il notaio, udendo quel romore agitò in aria la carta; il banditore ripetè il cenno, e la piazza tornò ad ammutolire.
Ma troppo molesto sarebbe al lettore l'udire tutto intero il capolavoro di Guglielmo di Manta. Que' che l'udirono dalla sua bocca erano più pazienti di noi; e nondimeno lo interruppero tratto tratto con sbadigli, per isfogare così l'ingenito bisogno di varietà che è nell'uomo. In quel documento diceasi dunque che Berardo e tutta la sua famiglia, essendo servi del Sire Villigiso di Mozzatorre, questi era stato richiesto dal Marchese di venderglieli, e che l'accordo era seguito, mediante la cessione che Manfredo facea a Villigiso d'alcuni campi e di parecchi diritti colla giunta della somma di trecento genuine.
Manfredo inoltre dichiarava che l'acquistato servo Berardo gli s'era in molte occasioni mostrato zelante della sua gloria e pieno di sapienza; e che perciò esso Manfredo non volea, coll'opprimere sì degno uomo, meritarsi la dannazione eterna. Quindi proseguiva: «Io vostro signore, o Berardo, o Giovanna moglie sua, ed Eriberto e Rafaella figli loro, e tutta la futura discendenza di Berardo, mosso da benevolenza e da debito, statuisco essere voi liberos et absolutos iuxta legem ab omni vinculo servitutis; e statuisco esservi conceduto, in grazia della vostra libertà, ogni acquisto vostro, tanto per quel che avete, quanto per quel che potrete avere, ecc., e che sicut cives romani abbiate le porte aperte, ecc., et licentiam eundi et abitandi ea parte mundi qua volueritis. Infine, o mio Berardo e voi famiglia di questo giusto, ad recordationem huius libertatis et amoris mei, concedimus vobis tres petias terrae iuris nostri...... Vi concediamo tre pezzi di terra di nostro diritto, confinante coi campi che già possedete lungo il Po, ecc. Prima petia habet sex iornatas optimas ad celoyram[2]. La prima pezza contiene sei giornate ottime per l'aratro, e va dal fiume fino all'antico Olmo detto di Carlomagno, seguendo ivi il ruscello, ecc. la seconda contiene sei giornate di bosco, ecc., e la terza due di vigna.»
Non occorre narrare che alle parole: Statuisco esser voi liberi, il popolo fece tanto schiamazzo, che bisognò ricorrere alla tromba ed alla bandiera. Ma l'efficacia della tromba e della bandiera mal poteano reprimere i Viva Manfredo! Viva il nostro buon signore! Convenne al notaio rassegnarsi, e leggere quindi innanzi a brani ed a saltelli, ne' piccioli intervalli, in cui il popolo avea la compiacenza di ascoltare.
Finita la lettura, il Marchese discese dal seggio per firmare l'istromento, Berardo poi, con tutta la sua famiglia, essendosi avanzato per onorarlo, quegli non permise la genuflessione e li condusse verso la Marchesa, la quale alzatasi abbracciò amorevolmente le due donne.
Sottoscrisse pure, nascondendo i suoi fremiti, Villigiso, e firmaronsi come testimonii i seguenti fratelli di Manfredo: Guglielmo di Busca, Anselmo di Ceva, Bonifacio di Cortemiglia, Enrico di Savona, Oddone Boverio di Loreto. Ultimo firmossi il notaio Willelmus de Manta.
I viva allora non ebbero più freno. Dalle botteghe, da' poggiuoli, dalle finestre, tutti coloro che aveano qualche tromba, o flauto, o piffero, o piva, o liuto, o tamburo, o campanella, si diedero spietatamente a suonare. Per alcuni minuti fu una musica infernale; finchè tutto quell'orribile caos si mutò, a poco a poco, in un certo ordine non ingrato; perocchè ogni sonatore s'accordò al generale prorompere della volgarissima canzone, con cui soleasi dalla moltitudine far plauso ai suoi signori.
Laus et honor Manfrido de Vasto,
Filio quondam
Bonifacii;
Che vuol leve sul popolo il basto.
Onde portans
Domnum carum
Trotti e ragghi di gioia e d'amor.
Quoniam, quando il bastone ed il basto
Cruciant pellem,
Cruciant ossa,
L'infelice