Isabella Orsini, duchessa di Bracciano. Francesco Domenico Guerrazzi
sapete che fa confusione; e si lascia indietro gli auditori.
Insomma messere Lionardo non fu buono cittadino, e nemmeno valoroso scrittore, e nonostante uomo di eccellente naturale, tenero degli amici, e del bene loro studiosissimo. Alcuni reputeranno impossibile che possa uno individuo essere uomo ottimo e cattivo cittadino; pure, se contrarietà è, noi la vediamo in natura, e potrei citare esempii moderni, se la discretezza lo consentisse.
Lionardo, entrato nella stanza, ebbe cura di assicurarsi prima se bene il paggio avesse chiuso la porta, tirò la portiera, poi si mosse alquanto sorridente verso Isabella, le stendendo in atto amico la [pg!77] destra. Ma Isabella gli andò incontro con impeto, ambe le mani gli pose sopra le spalle, ed appoggiò il capo al suo seno, esclamando:
— “O buono, o egregio mio Lionardo, voi almeno non vi siete dimenticato della vostra Isabella!”
Lionardo confuso per cotesto abbandono, e commosso profondamente, replicava:
— “Mia cara Isabella, signora duchessa, o come, e perchè avrei dovuto dimenticarvi io?”
Così rimasero alcun poco di tempo; e quindi postisi a sedere sopra al lettuccio, Isabella guardandolo in faccia continuò:
— “È tanto tempo che non ci siamo veduti! E’ mi parete un po’ male disposto. Lionardo, il soverchio studio vi nuoce....”
— “O Isabella,” disse Lionardo, “il mio male sta qui dentro,” e si percosse il cuore; “ed io prego continuamente Dio che mi chiami alla sua pace, e sembra che egli, com’è misericordiosissimo, già cominci ad ascoltarmi. Ma lasciamo di me, ch’io per me qui non venni, o duchessa. Ora vi scongiuro, ascoltatemi come fratello. Finchè io vi conobbi, se non felice, sicura, stetti lontano da voi. Avrei desiderato che voi vi manteneste felice...., perchè” e qui abbassò la voce “felicità vera consiste nello esercizio della virtù; — ma i miei sforzi tornarono inutili, e inutili gli avvertimenti di Cosimo vostro padre, il quale pure vi ammoniva sovente, dicendo: — Isabella, io in questo mondo non ho da vivere sempre....”32 [pg!78]
Isabella riprendendo la donnesca alterigia, lo interrompeva così:
— “Messere Lionardo, ch’è questo che voi dite? S’io male non mi appongo, voi mi recate oltraggio....”
— “Isabella, per certo io non veniva a questo. Credete ch’io goda parlandovi come faccio? Pensate ch’io abbia così male spesi i miei anni vivendo, da avventurare parole inconsiderate, o peggio? Perchè mi respingete? Perchè infingervi meco? Ma non importa: io non cerco i segreti del vostro cuore; se non mi credete degno di parteciparmeli, io consento ignorarli; ma udite quello che si crede di voi, udite il pericolo e provvediamo al riparo....”
— “Io non commisi errore: chi può incolparmi? Quale traccia....?”
E il Salviati le susurra nell’orecchio: — “La traccia è fuori della Porta a Prato....”
— “Ah!” gridò spaventata Isabella: e dopo alcuni momenti balzando in piedi in atto di partire, soggiunse: — “Almeno egli sia salvo....”
E Lionardo trattenendola per la vesta: — “Fermatevi, meglio provvederemo noi qui.”
E Isabella, scotendo il capo, e con ambedue le mani tirandosi indietro dalla fronte i capelli, come se, fatta audace per la disperazione, volesse che vi leggessero intera la propria vergogna, mormorava:
— “Ebbene, io sono colpevole....!”
— “Isabella voi correte pericolo di vita....” [pg!79]
— “Io, e da cui?... Forse tornava di Roma Giordano?”
— “No; ma e che cosa importa Giordano?”
— “E chi, se non egli, vorrebbe con giustizia attentarmi alla vita? Francesco forse? Punirebbe in altrui il suo peccato? Piero?... così sprofondato in ogni maniera di più sozzo vizio, che l’acqua di Arno non basterebbe a lavarlo?”
— “Giustizia!.... E voi, figliuola di Cosimo, cercate giustizia quaggiù? — Francesco odia in altrui quanto indulge a sè stesso: una fama incerta gli è pur giunta all’orecchio, che i suoi nemici, estrema gioia dei vili, dileggiano la sua casa pubblicando vituperii, che o non sono veri, o, se veri, la più parte procedono da lui; e poi nel cupo animo teme della sua Bianca, e intende spaventarla, ove mai pensasse ad altro affetto che non fosse il suo....”
— “Lionardo, voi favellate fiere parole, le quali come non posso impugnare, così non posso accogliere interamente. Insomma, e’ paiono timori più o meno verosimili; ma da pensare una cosa a volerla, e da volerla a farla, corre sempre un gran tratto....”
— “Sì certo, i parenti vostri sono usi di commettere le feroci voglie alla ragione: ma io farei tristo ufficio sparlando presso voi delle persone di cui la fama vi è cara. — Isabella, credetelo sopra l’anima mia, voi correte pericolo di vita....”
— “Lionardo, voi così savio capirete troppo bene come in casi tanto importanti male può l’uomo [pg!80] convincersi dell’altrui convinzione; voi avete fatto molto, avete fatto anche troppo, onde mi neghiate onestamente il meno....”
— “È vero; e poi io venni qua disposto a mettere in avventura la vita: non vi raccomando discrettezza per me, ve la chiedo per voi, e per tale, che so che amate più di voi....”
— “Sta bene, parlate.”
— “Ieri mi recai di buon mattino da Francesco, il quale mi aveva mandato a chiamare, ond’io lo informassi intorno alla correzione del Boccaccio, che ho impreso dietro gli ordini di lui: egli era sceso nella officina chimica; io nonostante mi feci annunziare da uno staffiere, il quale di lì a poco tornò dicendomi, che andassi pure costà, che il serenissimo padrone, come persona di casa, mi riceveva senza cerimonie nella officina. Io rinvenni Francesco tutto affaccendato intorno ad un fornello, considerando certa sostanza chiusa dentro un’ampolla di vetro. Appena mi vide, così mi parlò: — «Buon giorno e buono anno, cugino Lionardo; io sto dietro ad una esperienza che non mi riesce condurre a termine; or ora leggerò il vostro lavoro del Decamerone, che avrete emendato da pari vostro, lasciando stare le bellezze, e togliendo quanto offende i buoni costumi e la religione. Peccato, che cotesto grande uomo non avesse costumi buoni! Ma non vi è pericolo, Lionardo, ch’ei sia andato perduto? N’è vero, cugino, che messere Giovanni prima [pg!81] di morire si pentisse, e lasciasse il mondo in odore di santità?» — Alla quale domanda risposi, che il Beato Giovanni Colombini nella vita del Beato Pietro dei Petroni ci assicura, come il Beato Pietro, poco prima che si partisse a vita migliore, mandasse Giovacchino Ciani a riprendere il Boccaccio dei suoi scritti e dei suoi costumi meno che onesti, e nel tempo stesso a svelargli certi segreti così riposti nel proprio animo, che il Boccaccio teneva per fermo nessuno, tranne lui, potesse saperli. Della quale cosa percosso, messere Giovanni pianse amaramente i trascorsi passati, e rendendosi a Dio ne fece mirabile penitenza.33 — «Gran mercè, riprese Francesco; voi mi avete dato una consolazione desideratissima, accertandomi che il nostro messere Giovanni adesso stia in luogo di salute. Or via, siatemi cortese di aspettarmi per un po’ di tempo, tanto ch’io mi sbrighi da questa faccenda: andate costà in libreria, vi troverete in buon dato libri, e parecchi nuovissimi.» — Entrai nella libreria, fingendo leggere il primo libro che mi capitò tra mano, ma seguitava con occhio obliquo il lavorío di Francesco. Costui non finiva mai di soffiare nei carboni, guardare attraverso l’ampolla, e poi volgersi a un vasetto sopra la tavola; e quindi presa un pocolino di polvere tra le dita, considerandola attentamente diceva: «Bisogna dire che i nostri vecchi ne sapessero più di noi, che ce ne abbiano date ad intendere a serque: il colore ci è; l’apparenza l’ho [pg!82] trovata; ma il sapore.... il sapore...., e l’arsenico sembra fuori di dubbio che ci entrasse: eppure nelle note al mio Poggio, e nella Cronaca Trivigiana leggo che il Conte di Virtù.... — in fè di Dio, gli era proprio tagliato a suo dosso questo titolo! — avvelenasse con tossico che pareva in tutto e per tutto sale, lo zio Bernabò, facendoglielo porre così naturale sopra i fagiuoli.... ma non mi riesce a trovarlo; io darei mille ducati....!» — In questa, ecco uno staffiere entrare nella officina, ed annunziare il bargello. Io non so per quale