Isabella Orsini, duchessa di Bracciano. Francesco Domenico Guerrazzi
arrivò ieri da Portoferraio....”
— “Come!” interruppe Isabella, “il cavaliere Bernardo venne a Firenze senza che noi ne abbiamo notizia?”
— “Il cavaliere Antinori a questa ora è sepolto. Dio faccia misericordia all’anima sua!”
— “Gran Madre del Signore! ch’è quello ch’io sento! Lionardo, ne siete voi sicuro?”
— “Lasciate che io termini. — Il bargello continuava: — «Lo conducemmo subito dal cavaliere Serguidi, che gli fece una bravata terribile per [pg!83] l’onta recata al suo principe, ammonendolo che si costituisse in colpa, e si commettesse alla clemenza vostra. Ma il cavaliere negava a spada tratta, finchè il Serguidi con voce minacciosa cavò una lettera dicendo: — «Or via, negherete voi questa?» — Il cavaliere, visto appena quel foglio, diventò come un panno lavato; tutto sbaldanzito alzava le mani supplichevole, senza potere articolare parola. — «Andate via;» conchiuse il Serguidi, «voi non meritate perdono.» — Il cavaliere si partiva che pareva ebbro, sì gli tremavano le gambe sotto, e tirava di lungo per andarsene a casa come se non fosse fatto suo: io gli tenni dietro con la famiglia, volendomi un po’ prendere spasso di costui.» — «Delle tue,» — interruppe Francesco; «porgimi quel soffietto; va innanzi, ch’io ti ascolto: non mi tacere nulla, chè ci prendo propriamente gusto.» — E il bargello: — «Ei camminava d’inspirazione, perchè si avviava verso il Palagio. Quando fu alla porta dei lioni, io me gli scopersi, e gli dissi: — Messere, togliete in pace ch’io vi serva da maggiordomo: il serenissimo nostro padrone vi ha preparato un quartiere da pari vostro qua dentro.... — Il cavaliere mi guardò come trasognato, e si lasciò condurre a modo di agnello: stamane poi prima di giorno sono entrato in prigione col cappellano, e se la dormiva ch’era uno incanto....» — «Dormiva?» interrogò Francesco alzando la faccia, che pareva imbrattata di sangue, di sopra agli ardenti carboni. — «Dormiva.» — «Egli [pg!84] non doveva dormire!» — «Eppure dormiva.» — «Voi gli avete lasciato passare l’ultima notte in pace. Così si può dire che non abbia sofferto nulla! E non posso tornare da capo.... n’è vero?» — Il bargello faceva col capo cenno affermativo. — «Io l’ho scosso, ed egli si è svegliato alzandosi a sedere sopra il letto; e ha domandato: — Che ci è egli? — Svegliatevi un momento, gli ho risposto; poi dormirete a bello agio: eccovi un prete; voi non avete più di una ora a morire.» — «Ed egli?....» cercava di nuovo Francesco. — E il bargello: «Egli ha risposto: sia fatta la volontà di Dio.» — «Come, propriamente così?» — «Così per l’appunto.» — «Ma che non hanno paura di morire?» — «E’ pare che ce li abbiate avvezzati.» — «No, in questo modo è troppo poca cosa la morte: provvederemo. Séguita.» — «Si è confessato per filo e per segno, e poi mi ha chiesto in grazia di scrivere: gli ho dato carta, penna e calamaio; ma tremava così forte, che non poteva formare lettera. Vedete, Serenissimo.» — E mostrava una carta. Francesco, deposto il soffietto, l’ha tolta in mano, e la esaminando parlava: — «Mira un po’ i bei grotteschi! non vi leggo nulla.» — «Ve lo diceva che non potè scrivere parola. Allora io ho creduto bene osservare: Messere cavaliere, poichè mi accorgo che voi non potete fornire il fatto vostro, consentite ch’io faccia il mio; e messegli prima le manette, gli ho passato la corda al collo, e l’ho fatto strangolare in buona [pg!85] regola....» — «Va bene: e il capitano Francesco?» — «Oh! Il capitano ha preso vento; si è cacciato la calcosa tra i viandanti, ed in Firenze non si trova....» — Qui non è da dirsi in quale matta frenesia abbia rotto Francesco: mandava spuma dalla bocca, sangue dagli occhi: — «Va, corrigli dietro!» urlava; «spedite cavallari apposta, scoppiate cavalli.... ai confini.... ai confini.» — E il bargello non sapeva che cosa farsi. Intanto l’ampolla di vetro, non so per qual causa, si è spezzata: le schegge in parte hanno colpito la faccia del bargello internandosi nella carne; quel tristo cacciava fuori dolorosissime strida. Allora Francesco ad un tratto è tornato cupo e silenzioso; se non che volgendosi al bargello, gli ha detto freddamente: — «Affrettate a curarvi, perchè il vetro è avvelenato.» — Il bargello fuggiva a precipizio mugolando: — «Povera moglie! poveri miei figliuoli!....» — Se in quel punto mi avessero tratto sangue, non me ne sarebbe uscita una goccia: mi sentivo come inchiodato là dov’era; già mi tenevo spacciato raccomandando la mia anima a Dio. Per ventura Francesco si è lasciato andare giù sopra una sedia, abbassando la testa come uomo che si sprofonda dentro un pensiero; ed io distintamente più volte, e ve lo giuro sopra la vita di mia madre, ho sentito mormorargli fra i denti: — «Ora provvederemo alle femmine, e presto; — ma Giordano è in Roma, — e senza il consentimento suo non mi parrebbe ben fatto; — potrei [pg!86] arbitrare, — ma no; — pensi egli a renderne conto.... — a cui? A Dio, a Dio.... O questo Dio ne pretende pure tanti dei conti!....» — Avendo intanto ripreso animo, mi sono appressato pianamente alla porta del cortile, e sono uscito a ripararmi sotto il cielo; imperciocchè io temeva, da un punto all’altro, che sprofondasse la volta del luogo maladetto....!”
Isabella a quel truce racconto si era rimasta come impietrita; e il misero Leonardo, nascondendosi il volto tra le mani, in suono quasi di pianto diceva:
— “O Signore! Ed io ho potuto usare la favella, il nobile dono che voi avete compartito alla creatura, per laudare costoro! Che cosa penseranno i posteri di me? Possano andare disperse le opere mie! Possano dimenticarle presto i nepoti! — E tu. Dio, che vedi se sia dolore il mio di augurare la morte ai figli della mia mente, intorno ai quali la salute ho spesa e lo ingegno, tu sai ancora se questo voto si parta proprio dal cuore.”
Veramente io penso che grandissima dovesse in quel momento l’amarezza contristare la povera anima di Lionardo Salviati!
Ma indi a poco richiamando lo spirito ai casi presenti, il Salviati voltosi alla Isabella favellò:
— “Orsù via, Isabella, coraggio....”
— “Non è viltà la mia.... è raccapriccio, è ribrezzo. — Infelice Eleonora! così giovine, così lieta, tanto affezionata ai piaceri e alla vita! Bisogna salvarla.... bisogna avvisarla.” [pg!87]
— “Duchessa, ricordatevi non essere vostro il segreto; intorno a salvarla ci adopreremo.... poi.”
— “Sì, unico amico mio, mio padre, mio tutto; io mi rimetto, anima e corpo, nelle vostre braccia....”
— “Bene! il tempo stringe. Voi dovete scrivere una lettera a madama Caterina di Francia: ella è donna di cuore alto; educata nei mali, deve avere appreso a soccorrere i miseri; e nata Medici, aborrirà che la sua casa s’infami con tragedie domestiche. Il sangue ancora può darsi che qualche cosa faccia: sicchè ognuna di queste considerazioni per sè, o tutte insieme riunite, mi sembra pure che abbiano ad essere attissime per muovere il reale animo suo a concedervi asilo, e provvedervi mezzi di fuga. Io assumo il carico di farle pervenire la lettera fino a Parigi: stasera parte un mio congiunto dei Corbinelli, accorto giovane e discretissimo, per Lione, e la consegnerà al luogotenente della città, o se non gli parrà mezzo affatto sicuro, per amore mio si condurrà sino a Parigi. Tosto che torni la risposta, non sarà arduo trasportarvi a Livorno, e colà imbarcarvi per a Genova, o meglio per a Marsiglia: quivi giunta, si può dire che siate in salvo....”
— “Ma, e la Eleonora...?”
— “Allora faremo in modo avvisarla, e potrà venire con esso voi, o andare in Ispagna dal duca di Alva, meglio dal suo fratello vicerè a Napoli. — Or via dunque, scrivete la lettera, chè il tempo vola....” [pg!88]
E Isabella si pose a scrivere; ma comecchè ella possedesse maravigliosa facilità a comporre, adesso le mancavano le parole, cancellava, tornava a cancellare, faceva da capo; gli affetti che molti e profondi le turbavano la mente, di leggieri possono immaginarsi. Alla fine la lettera fu scritta, e:
— “Lionardo,” prese a dire, “sentite un po’ se così va bene. Io non ho mai durato tanta difficoltà nel mondo, quanta nello scrivere questa lettera. Dimenticate che siete lo Infarinato, vi prego....”
— “Porgete.” — «Onorandissima come Madre. Persona che vi è congiunta per sangue, la sola superstite delle figlie di Cosimo dei Medici, vi scongiura che le salviate la vita. Se io sia innocente o no della colpa che intendono vendicare nel mio sangue,