Storia degli Esseni: Lezioni. Benamozegh Elia
degli Esseni contezza. La storia ebraica, la scrittura, i profeti, ci risposero in guisa che non avremmo forse sperato in quistione che le vicende proprie nazionali degli avi nostri non toglie di mira. L’ultimo ad erudirci nell’ultima nostra conferenza, l’ultimo a mostrarci degli Esseni o meglio dei loro precursori il passaggio, si fu Isaia. Isaia vide più regi succedersi sul trono di Giuda, e l’ultimo che la voce udì del sommo ispirato, anzi, che ne riportò, come non è molto vi accennai, guarigione completa, si fu Ezechia. Ma come tetri e procellosi procedono i tempi dopo Ezechia! Dopo di esso Manasse, dopo di Manasse Amon e dopo Amon un re pio, un re che le tradizioni riprese del suo bisavo, il re Iosciau, Iosciau è sul trono, e alla restaurazione si adopra, si affatica del culto di Dio. Ma chi regna nella pubblica piazza, chi conciona le moltitudini, chi fulmina i vizi e la idolatria imperante, chi fa suonare alta, paurosa minaccia di guerra, chi predice servitù e quindi riscatto; in una parola, chi profetizza? Il profeta è Geremia e i suoi discorsi, i suoi scongiuri, i suoi anatemi, i suoi vaticini sono in quel libro raccolti che s’intitola da Geremia. Ma un capitolo in questo libro vi ha che dissi altamente interessare la origine degli Esseni, e questo è il capitolo 35. Là, gli antenati degli Esseni ti appariscono davvero costituiti regolarmente in società, con una regola particolare di vita, con memorie, con tradizioni, e quel che più monta, con voti, voti solenni, inviolabili, imprescendibili che egualmente avvincono ogni suo membro. Là tu vedi i Cheniti sinora da noi contemplati, meglio come nomade e separata tribù che qual religiosa società, tutte di società e religione assumere qualità e sembianze. E chi lo dice? Lo dice Geremia; anzi egli è Dio stesso che quasi in mostra offre i gran Recabiti ai contemporanei ed ai posteri. Va’, dice il Signore a Geremia, (udite che tutto in nostra favella trasferisco il capitolo rammentato perchè tutto da capo a fondo rigurgita di preziose indicazioni): Va’ alla casa dei Recabiti e parla ad essi, e menali alla casa del Signore in una delle stanze laterali, e porgi loro a bere del vino. E presi Jazania figlio di Geremia figlio di Abazinia e i suoi fratelli e tutti i suoi figli, e tutta la famiglia dei Recabiti e menali alla casa del Signore; nella stanza del figlio di Amon figlio di Igdeliau, l’uomo di Dio, ch’è presso le aule dei principi, ch’è sopra alla stanza di Maseiau, figlio di Sciallum il tesoriere. E posi innanzi ai figli della casa dei Recabiti ampolle piene di vino e tazze; e dissi loro: bevete del vino. E’ risposero: non beremo del vino, perciocchè Ionadab figlio di Rehab il padre nostro c’impose dicendo: non bevete vino voi ed i vostri figli in eterno. E case non fabbricate, nè grani seminate, nè vigne piantate, nè possedete alcun che, ma in tende abiterete tutti i vostri giorni affinchè viviate molti dì sulla faccia della terra ove siete pellegrini. Ed ascoltammo la voce di Ionadab figlio di Rehab padre nostro, in tutto quello che ci comandò, di non bere vino tutti i nostri giorni, noi, le nostre donne, i nostri figli e le nostre figlie; e di non fabbricare case, per abitarvi nè vigna, nè campo, nè sementa alcuna possedere. Voi udiste parlar di donne e di figlie, voi udiste ancora nelle passate lezioni di donne Nazaree. Troppo, direte pertanto, siam lungi dal celibato degli Esseni. Eppure le donne non furono al tutto escluse dal nostro istituto. Nol furono nello stato di matrimonio per moltissimi degli Esseni siccome ne ammonisce Giuseppe, i quali il matrimonio anzi praticavano e pregiavano assaissimo. Nol furono poi per gli stessi celibi contemplativi; i quali schiudevano di frequente le porte loro alle donne affiliate che chiamavano, come dice Filone, col nome di Terapeutidi (Pridaux 5. 92.) Ed abitammo, continuano i Recabiti, entro alle tende, ed ascoltammo e facemmo quello che comandò Ionadab nostro padre. E fu quando salì Nebuhadrezar re di Babel contro la terra, e dicemmo: andiamo, entriamo in Gerosolima per causa dell’esercito dei Casdei, e dell’esercito di Aram; ed abitammo in Gerusalemme. E questa risposta per l’appunto voleva il profeta. Egli si volge allora al popolo che udito aveva sino all’ultimo i Recabiti, e dall’esempio loro trae argomento ad acerbe rampogne. Vedessero, ei dice, i fedelissimi uomini come i comandamenti serbati avessero di un mortale, di Ionadab Ben Rehab; vergognassersi di avere eglino le volontà di Dio derelitte, le parole del padre immortale tenute a vile, ed altre simili querele che si omettono per brevità. Solo vi piaccia udire la conclusione; quando cioè Geremia, finito che ha di favellare al popolo, si rivolge di nuovo ai Recabiti e così dice: Ed alla casa dei Recabiti, disse Geremia, così parlò il Signore degli eserciti Dio d’Israele. Poichè ascoltato avete il comando di Ionadab vostro padre ed osservaste i suoi precetti, ecco così dice il Signore degli eserciti Dio d’Israele: non mancherà uomo a Ionadab Ben Rehab che ministri innanzi a me per tutti i tempi. Qui termina il capitolo 35 e qui finisce ancora tutto quello che intorno ai Recabiti ci offre il libro di Geremia. Io volli testualmente riprodurre l’intero capitolo, sì perchè pare a me nella nostra indagine rilevantissimo; sì perchè possiate adesso con più vantaggio seguirmi mentre andrò a parte a parte sponendovene i singolari documenti, e le preziose notizie sprigionando che in seno racchiude. E quante e di qual peso notizie! Lo è persino il nome che recano, il nome di Recabiti il quale attesta, se non m’inganno, come la loro esistenza sociale rimonti ad epoca ben più antica di Ionadab che fu sol discendente di quel Recab da cui s’intitolarono i Recabiti, che diede probabilmente una forma che molto si avvicinava a quella che assunser di poi, e che finalmente, siccome chiaro apparisce dal 1º delle Cronache, visse in epoca che non ardisco determinare, ma che pure di molto precesse e Ionadab e i Recabiti di Geremia. Voi l’udiste: per comandamento di Dio alle loro stanze questo si conduce, e intimato loro la commissione che ricevuto aveva, tutti dal primo all’ultimo li conduce a offrire di sè grandioso spettacolo negli atrii di Dio. Che bel momento fu questo! che scena! che solennità imponente! in cui fu visto il tenero, il patetico Geremia, messosi alla testa della nobilissima schiera, apporre come a dire il divino suggello alla loro istituzione; ed essi offerire a modello di fedeltà, di obbedienza, di costanza al popolo riunito: costanza vera, perpetuazione quasi incredibile in mezzo ad una società più vasta qual era l’Ebraica, che da ogni parte li circondava. Poichè, sappiatelo una volta, i Recabiti di Geremia sono i discendenti di quei Cheniti che vedeste ai tempi di Devora, i pronipoti di quei medesimi che ai tempi dei primi giudici lasciarono i palmizi di Gerico; e per dir tutto in una parola, sono la vera e legittima figliolanza di Jetro, il grande, il vetusto proselita. Ma quanto diversi però dai loro proavi! e quanto più ai figli loro, agli Esseni, somiglianti che non ai padri! Qui vedete l’astinenza dal vino che data da Jonadab; il quale secondo la legge del Nazirato che vi feci conoscere, ne trasmise, come pare, di mano in mano gli obblighi nella sua discendenza; siccome dato era veramente a ogni padre di così praticare; siccome fece Anna per lo infante Samuele; siccome i genitori, auspice l’angiolo, fecer pel famoso Sansone; e siccome infine, ne convengono autori gravissimi, tra gli altri il Pastoret il quale a dirittura asseriva: i Nazirei senza dubbio diedero l’idea dei Recabiti. Ma qui oltre al Nazirato altre cose vedete e di non manco rilievo. Qui la vita solitaria e campestre che menavano costantemente i Recabiti, anzichè le cause da loro stessi accennate, le invasioni nemiche non fossero venute a strapparli alla loro solitudine per riparare ai tempi di Geremia entro le mura di Gerusalemme; qui il voto di povertà, o per dir meglio il voto di nulla possedere in proprio, ma tutto avere in comune fra loro, che chiaro in quella frase breve ma esplicita, velò hiè lahem ti apparisce; qui l’impronta di virtù, di santità, che loro appone il profeta per bocca di Dio, e la sanzione che loro reca in premio dal Cielo, del loro istituto, di loro vita, tali frasi usando sul conto loro che altro senso tollerar non potrebbero, siccome avvertiva il De Jurieu, se non quello di apertissima commendazione; qui un carattere che fu particolare agli Esseni e per cui furono ad una voce celebrati da Giuseppe, da Filone e da quanti degli Esseni presero a trattare, io vo’ dire la riverenza ai maggiori, il culto che professavano verso i loro antenati, del quale veggiamo il primo esempio e forse il primo tipo in quella venerazione onde son laudati, per Ionadab, figlio di Rehab, pei suoi dettati, per le sue leggi; e quando partitamente discorreremo delle qualità delle virtù degli Esseni noi vedremo Giuseppe e Filone tenere un linguaggio che per poco differisce da quello di Geremia, l’uno e l’altro levando a cielo, come diceva, il loro rispetto ai maggiori: e qui infine la promessa di Dio. E qual promessa! La quale sarebbe andata fallita, se poco stante dai tempi in discorso quella società allora così illustre non avesse di sè lasciato vestigio alcuno, se riprodotta non si fosse sotto il nome di Hasidim, se quindi l’altro non avesse assunto di Esseni e Terapeuti, e se infine la scuola, la società degli Esseni non si fosse perpetuata in tutti i secoli, e se al presente non durasse tuttavia, se la esistenza augurata da Geremia non si verificasse