Storia degli Esseni: Lezioni. Benamozegh Elia
lo stato che Geremia gli promette. Qual’è il modo, qual’è lo stato? Voi l’udiste. Che parole! che officio, che grandezza! Io ardisco dire che se l’idioma ebraico non lascia di essere ebraico, se un concorso innumerevole imponente di esempi non dice il falso, se le analogie più parlanti non c’inducono in errore, se v’è criterio in una lingua per discernere acconciamente il preciso significato di una frase, io oso dire che male non mi apposi nel traslatarlo quando parlai di offici, di ministerio, di sacerdozio, giacchè tutte queste tre cose, ma queste tre cose soltanto, accenna la locuzione in discorso. E se vaghezza vi prendesse di fare con me escursione pei campi della scrittura, oh quanti non avreste a raccorne luminosissimi esempi! Volete sacerdozio? E qui avete per la tribù di Levi, pel suo officio sacro sacerdotale la frase stessa, le stesse parole, siccome pei Recabiti leggete: Laamod lifnè adonai lesciaredò ec. O meglio vi talenta l’idea di intercessori? Ed allora ve l’offrirà Ezechiele quando dice: se pure Mosé e Samuele intercedessero appo me non più accetterei questo popolo, come appunto pei Recabiti leggete: im iaamod Moscè usmuel lefanai; ec.; o vi piace meglio un’altra volta udire del sacerdozio? E ve l’offriranno i Giudici quando parlando del pontefice, di Pinehas: E Pinehas, dicono, figlio di Elazar omed baiamim aem come per l’appunto dei Recabiti si legge omed lefanai. Volete profezia, volete udire come qualifica la scrittura l’officio del profeta? ve lo dirà Elia nel celebre suo giuro quando esce fuora inaspettato dicendo: Viva il Signore innanzi a cui ministrai; non vi sarà per questi anni nè rugiada nè pioggia che io nol voglia; in quella guisa che udiste per Recabiti.[43] E la profezia si è adempiuta alla lettera. Sacerdozio, profetismo, tutto fu riposto, fu concentrato nei successori e poi nei continuatori dei Recabiti, prima nei Hasidim, primo nome che assunsero dopo quello di Recabiti, quindi negli Esseni, parte eletta, parte dotta e santa e ieratica del Farisato, quindi negli eredi degli Esseni, nei professori delle loro dottrine, nella scuola speculativa ascetica superlativa dei Farisei, nei Ben Iohai, nel Rabbeno Aj Gaon, nel Nacmanide, nel Cordovero, nel Loria ed in quanti altri le orme calcarono di quei Santi, di quei Dottori.
Ma noi siam lungi ancora da questi modernissimi tempi; ed a quelli convienci restituire che a Geremia seguitarono. Geremia visse non poco dopo la distruzione del primo Tempio; però la riedificazione del Tempio non vide. Da Geremia alla prima apparizione degli Esseni sotto tal nome, poniamo che ci corra un dugent’anni, quali sono gli anelli che questi due estremi congiungono della catena? Quali gl’intermedi che possan dare alla storia che costruimmo, quella continuità che, diciamo il vero, non le mancò sino all’istante presente? Egli è doloroso ma pur necessario il confessarlo: è questa l’epoca che più povera resulta di documenti per la storia degli Esseni: è quasi una lacuna nel loro passato, tanto più deplorabile quanto i cenni che immediatamente avrebbero preceduto la loro apparizione nell’Essenato, avrieno mirabilmente giovato a cogliere il punto di passaggio dall’antica alla forma novella; e porto avrebbero ultima e solenne conferma a tutte le cose precedentemente discorse. Però è necessario fare tre specie di avvertenze che immensamente diminuiranno la vostra sorpresa; e se non colmeranno interamente il vuoto, almeno lo spiegheranno e tutto ciò gli torranno che può avere di ostile, di negativo alla tesi da noi sostenuta, alla genealogia degli Esseni. La prima è che mentre sino ad ora avevamo documenti contemporanei, adesso mancano assolutamente, nè la Bibbia nè la Tradizione contengono alcun volume che a quell’epoca appartenga, attalchè non so vedere veramente in qual guisa degli Esseni o dei loro predecessori si poteva fare menzione. Nulla dunque di più naturale, di più necessario della mancanza di questa menzione. La seconda avvertenza si è, che per quanto io abbia detto assolutamente che di questi tempi non esiste memoria, pure non si vuol intendere la mia sentenza in guisa che qualche lembo non si sollevi, che un barlume non ti apparisca dell’Essenato nell’epoca in discorso. Io chiamo un barlume il fatto di Daniel che per 23 lunghissimi anni stando a Rasci, di pane eletto non si ciba, non mangia carne, non beve vino, nè usa nessun unguento dal quale rifuggivano, come udiste, gli Esseni. E questo faceva Daniele per carità della patria infelice, e per chiedere fine alle sue desolazioni, in guisa che in questo senso soltanto può essere vera l’ipotesi del Salvador che le patrie desolazioni abbiano dato l’origine all’Essenato. Un barlume poi io credo che abbiamo nei Paralipomeni. I Paralipomeni sono opera di Esra posteriore a Daniele, ed è probabile sentenza quella in cui oggi conviensi, e di cui è qualche cenno nel Talmud, che dopo Esra i più antichi della magna congregazione recato abbiano a compimento il libro delle cronache. Or bene, in guisa si esprimono le cronache intorno ai Recabiti, che pare veramente come a quei tempi tuttavia sussistessero. Vuol far capir l’autore quali fossero le tre famiglie Tirhatim, Simahtim, Succatim che presero stanza presso Iahbez, e lo vuol far capire con allusione più moderna. Che dice per questo? Dice che sono identici ai Chinnim: ma i Chenim stessi possono essere ignorati, quindi necessità di riferirli a nome anche più moderno, a nome contemporaneo. E qual è questo nome? È quello di Recabiti. Abbaim mehamat abi bet Rehab.
Però queste cose andavamo tra noi meditando pria che ci si partisse dinanzi nell’atto stesso di dettare la presente lezione, una breve ma significante indicazione rabbinica, poi un frammento preziosissimo di un autore il cui nome non suonerà io spero sconosciuto ai vostri orecchi. Qual’è in primo luogo l’indicazione? Ella è quella contenuta nella sezione 98 del Berescit Rabba, opera anteriore al Talmud, e dove chiaro apparisce che tra i primi Tanaiti eranvi alcuni che, come si credeva generalmente, discendevano da Jonadab Ben Rehab.—Dunque io dico: i Recabiti non cessarono di esistere anco in tempi posteriori agli Esseni, e nulla pertanto si oppone che questi da quelli sieno derivati. Ma v’è di più: voi ricordate come io avessi luogo parlandovi dei Samaritani di rammentarvi Beniamino di Tudela, i suoi viaggi, il gran conto che si fa generalmente dai dotti delle sue relazioni. Or bene, egli è un passo nel Pellegrinaggi di Beniamino dove prende a narrare di ciò che vide, di ciò che osservò nel Iemen, nell’Arabia Felice. Lo credereste? Egli parla dei Recabiti, egli li vide, egli ne osservò, ed egli ne narra altresì i costumi. Le sue parole sono troppo preziose perchè io non ve le citi. Di là movemmo ei dice verso la Terra del Iemen a settentrione, e dopo un viaggio di 21 giorno pei deserti, pervenuto essendo in quella regione, vi trovai i Giudei che si chiamano Recabiti e in Ieman hanno imperio. Aron il Nasi vi risiede ed è grande città. Narra poi Beniamino i loro commerci, le loro scorrerie, e quindi aggiunge: E danno poi la decima di tutto quanto posseggono ai Dottori della legge che stanno del continuo nei pubblici studi, ai poveri d’Israele ed ai loro Farisei che fanno lutto per Sionne e Gerusalemme, che non mangiano carne, non beono vino, e vestono logori abiti; ed abitano in spelonche, e tutti i giorni digiunano, tranne i Sabati e le Feste. Ecco le parole e l’attestato di Beniamino. Quando viveva il famoso spagnuolo? Certo nel mille o a quel torno; che è quanto dire in tempi infinitamente posteriori a Geremia ed alla società degli Esseni; in tempi che provano come lungi dall’essersi precedentemente estinta la famiglia e l’istituto dei Recabiti, perdurasse invece non solo dopo il profeta che li descrisse, non solo in epoca immediatamente anteriore e contemporanea ai nostri Esseni, ma per secoli eziandio parecchi dopo di essi; cioè prova in una parola come la filiazione da noi voluta degli Esseni dai Recabiti riceva quella conferma che noi credevamo invano desiderare, ma che pure la Provvidenza ci porse, quando meno l’attendevamo.[44]
La terza ed ultima avvertenza è quest’una. È lo stato in cui lasciammo i Recabiti ai tempi di Geremia, stato se altri fu mai rigoglioso, florido, vivacissimo; stato che a tutt’altro accenna che a deperimento e rovina; stato che ove pure ad una declinazione accennasse, questa declinazione si sarebbe naturalmente protratta tant’oltre da ricongiungere l’estinguentesi Recabismo col nuovo, col nascente Essenato. E queste sono le tre avvertenze che vi promisi.
Giunto a questo punto, e quasi meco stesso meravigliato del gran compito che ho fornito, che altro mi resta a fare per condurre a fine l’impresa? Null’altro a parer mio che citar le autorità che militano a favor mio, che per diretto o per indiretto fanno risalire l’Essenato agli antichi Cheniti, ai discendenti di Jetro. Primo tra le autorità io annovera Plinio; Plinio nella Storia Naturale in quelle parole ove agli Esseni attribuisce un’esistenza di secoli, Plinio che in tal guisa alla origine apre le porte da me sostenuta sinora. Io pongo poi per secondo il Serrario il quale, è giusto il convenirne, diede il primo il segno di questo sistema e forse con buoni argomenti il convalidava comecchè condannato io fossi a rifare il lavoro, non potendo dell’opere