Beatrice Cenci: Storia del secolo XVI. Francesco Domenico Guerrazzi
muto dolore della mia famiglia:—io non posso sopportare la vista di tanta miseria. Sposa mia, vuoi attribuirmi a colpa la soverchia tenerezza?
—Dite, Giacomo, la vostra lontananza profitta meglio ai figliuoli? Quando non vi veggono, piangono essi meno? La vostra assenza gli alimenta, li cuopre, li consola? Perchè lasciar me, povera donna, desolata, senza consiglio e senza soccorso? Non ci siamo congiunti per sollevarci scambievolmente? Perchè dunque voi fate portare la croce a me sola?
—Luisa hai ragione; ma non troverà perdono presso di te la mia tenerezza, e, se vuoi ancora, la mia pusillanimità?
—Uomo finto, e crudele… la tua tenerezza!… la tua pusillanimità!
E dove consumi la pensione di tuo padre?
—Ch'è questa furia? Non ti diss'io le mille volte, ch'ei me l'ha cessata, ed ora mi getta tre scudi, ora quattro come la elemosina al mendico importuno?
—Sì, eh!… la pensione ti ha tolta? Ti getta la elemosina di tre scudi o quattro! E le tue cortigiane, di', con che le mantieni? E i tuoi bastardi con che cosa gli nudrisci?
—Luisa tu deliri…
—Oh! di me nulla m'importa, vedi, perchè io tornerò a casa dei miei parenti; e quantunque abbiano provato la fortuna contraria, pure so che mi accoglieranno di cuore; e poi a me non duole guadagnarmi, lavorando, da sostentare la vita. Non ti rimprovero la mia bellezza sfiorata, la mia gioventù logora teco:—certo esco da casa tua troppo diversa da quello che io vi entrai… ma che importa? Siamo fiori, noi altre donne, troncati per gusto passeggiero; odorati, e gittati via. Io non ti auguro male, me ne guardi Dio!; che lo augurerei al padre dei miei figli…
—Luisa mia… deh! che nuova passione ella è questa? Ma parlami pacata… ascoltami…
Inutile;—tanto era possibile impedire con le mani che il Tevere straripasse quando è pieno, che reprimere cotesta fiumana di passione…
—Va in braccio di altra donna… va… tanto non troverai creatura che ti ami quanto ti ho amato io… Ma queste sono parole di donna, e tu non le hai a badare… attendi, ti scongiuro, a quelle altre, che sono di madre: Ti prenda pietà di questi sciagurati fanciulli… guardali in volto… guardami in volto,… e il cuore ti dirà che sono tuoi figli… sangue del tuo sangue… amali almeno quanto i figli che avrai avuto da altra donna: non li condannare a morire di fame. Il bimbo Angiolino, finchè ho potuto ho nudrito col mio latte… adesso, vedi, incomincia a mancarmi… O Vergine del pianto benedetta! Anche il latte mi si è inaridito nel seno… misericordia di una misera madre…
Giacomo girava gli occhi stralunati dintorno, e con quel suo profondo sbigottimento, anzichè dissipare, confermava i sospetti della moglie. Alla fine, come avvilito esclamò:
—Ah! chi mi avvelena il cuore della mia donna? chi divide la carne dalla mia carne? Quello che unì il volere di Dio discioglie la malignità di Francesco Cènci. Francesco Cènci, io ti sento qui dentro! Il tuo alito m'investe sottile, irreparabile, e mortale come il contagio… Luisa di', chi fu colui che mi calunniò al tuo cuore?—
—Calunnie! Quanti sono i colpevoli che si battono il petto dicendo: peccavi? E la collana comprata alla tua druda è calunnia? Calunnia ancora il guarnello di broccato d'argento al tuo bastardo? La casa rifabbricata al marito compiacente è ella calunnia?
—Se la passione non mi stringesse il cuore, in verità di Dio le tue parole mi farebbero ridere.—Basta via, Luisa; sono menzogne coteste…
—Menzogne, dici? Or via, leggi.
E trattasi un foglio dal seno, glielo gettò sopra la tavola. Giacomo lo spiegò, e lo lesse. Era una lettera anonima scritta di pessimo carattere in istile plebeo, con la quale si dava contezza a Luisa della infedeltà di suo marito con la moglie del falegname di Ripetta, e del gran profondere di moneta ch'ei faceva con cotesta femmina, acciecato nello amore di lei: la informava ancora averle il signor Cènci rifabbricato la casa, e provveduto il marito di danaro pei suoi interessi; non taceva dei gioielli preziosi e delle vesti sfoggiate donate alla donna; e di più ancora, e questa era stata la trafitta maggiore per l'anima della povera madre, da questo illecito commercio essere nato un figliuolo bellissimo, a cui Giacomo voleva il più gran bene del mondo. Sul dono del guarnello di broccato d'argento trattenevasi con maligna compiacenza.—
Giacomo rese con atto languido e lento il foglio alla consorte, e scuotendo mestamente la testa disse:
—E come mai Luisa, consorte mia, con quel buon giudizio che ti trovi, hai potuto prestar fede a così infame e stupido scritto?
—Perchè è vero—rispose la donna petulante con singhiozzo convulso.
—Luisa, e vorrai tu credere piuttosto al calunniatore a cui manca perfino il coraggio di manifestare il suo nome,—che può avere, ed ha certo mille fini ingiustissimi operando così proditoriamente; come alienarmi il tuo cuore, turbarmi la pace domestica, rapirmi l'unico bene che mi resta, l'amor tuo,—e non a me…..che ti amo come la pupilla degli occhi miei, che ti onoro come madre dei miei figli… e che questo ti affermo, e ti giuro su l'anima mia?
—Io credo più al foglio che a te, perchè il foglio dice la verità, e tu sei un bugiardo.
—Luisa, in miglior punto io vi ricordo lo insegnamento che presumeste testè darmi: avvertite che i vostri figliuoli non già possono ascoltarvi, bensì vi ascoltano, e che io sono il loro padre.
—Io te lo dico a posta in loro presenza affinchè imparino a conoscerti per tempo.
—Silenzio!—Donna—silenzio! Quanto andate fantasticando è falso; io ve lo giuro su la fede di gentiluomo onorato, e basta.
—Davvero, voi siete un gentiluomo senza macchia; vi avanza ad essere senza paura per rassomigliare al Cavaliere Bajardo! E quando a me e alla mia famiglia voi deste ad intendere come il consenso di vostro padre concorresse alle nostre nozze, non giuraste del pari su la fede di gentiluomo onorato?
Giacomo arrossì fino alla radice dei capelli, poi ridivenne pallido; all'ultimo disse con parole di amarezza:
—Veramente, colei per amore della quale commisi un fallo… non dovrebbe così severa rimproverarmelo;… allora la passione per voi mi tolse il senno…
—E adesso, che cosa vi toglie essa?—Insisteva sempre e più sempre la donna, improvvida a frenare l'animo acceso.—Giacomo inasprito duramente ordinava:
—Tacete…
—E se io non volessi tacere?…
—Troverei modo a chiudervi la bocca—io—.
—Tu troverai… oh! tu hai già trovato questo… Quando poniamo i nostri capi sul medesimo guanciale, chi sa quante volte hai pensato di farvi scomparire il mio!…
—Luisa!—
—Ora la serpe ha cacciato fuori il suo veleno. Uomo crudele! Non ti basta la vittima? Tu vuoi ch'essa taccia; non mandi un sospiro, che turbi la voluttà che senti della sua morte. Abbi almeno la cortesia degli antichi sagrificatori… incorona la tua vittima di fiori, e cuoprila di porpora…
—Ma taci una volta, per amore del tuo Dio…
—No… non voglio tacere io… no; io voglio parlare… voglio accusarti della tua empietà agli uomini e a Dio—traditore —mentitore… marrano.
Lo sdegno fece ribollire la passione nel petto di Giacomo già inacerbito dalla sventura così, che, come acqua per soverchio calore ribocca impetuosa dagli orli del vaso, egli proruppe cieco e tremendo. Cacciò la mano convulsa sotto il farsetto; ma, come piacque alla fortuna, aveva perduto il pugnale: aggirandosi per la stanza frenetico gli capitò uno di quei stocchi lunghissimi, taglienti da quattro lati, che si chiamavano verduchi[10], e impugnatolo si gittò cieco di furore contro la moglie.
Luisa presi in fretta i figli, si pose intorno i maggiori; il pargolo si recò al collo, e, caduta in ginocchio dinanzi al marito che le veniva incontro, senza battere