Fiore di leggende. Anonymous
prese a parlare. Disse:—Signor, se Cristo mi perdona, non so in che parte me ne deggia andare per ritrovar quella gentil persona. Mai barba né capelli vo' tagliare, né su tovaglia non mangerò adorna, se non racquisto la speranza mia; né tornerá qui la persona mia.—
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E, detto questo, elli s'accombiatava. Di presente partí da Camellotto, ed in lontane parte cavalcava; dove andare, non sa lo baron dotto; a molti di Morgana addomandava, dov'ella stava a niuno era noto; e chi in qua, e chi in lá dicia: niuno sapeva qual'era la via.
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Un giorno, cavalcando alla boscaglia, messer Galvan fu arrivato a una fonte, lá dove un cavaliero armato a maglia stava appoggiato, la mano alla fronte; quale a Galvano domandò bersaglia: combatter vuol con lui e darli onte. Messer Galvan lo addimandò del nome. —Breus mi chiamo. Or hai saputo il come.
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Io vo cercando Tristan, Lancilotto, messer Galvano e 'l buon Astor di Mare, Palamidès, Galasso tanto dotto, Troiano e Lionel vorria trovare; messer Ivano e Artú di Camellotto, e Lionbordo ancor per tale affare; e tutti li altri cavalieri erranti, ché impiccar li vorria tutti quanti.
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Per forza o inganno li vorria tradire.—
Messer Galvan li disse:—I' ti disfido!—
Al primo colpo lo fece giú ire,
questo Breusse, nato di mal nido.
E poi li disse:—Ora t'abbi a pentire;
del mal volere i' per ora t'affido.—
E in quel luogo abbattuto lo lasciava;
poi 'l buon Galvano al suo cammino andava.
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Sei mesi e piú elli ebbe cavalcato, e di cercare non fa restagione; e ad un castello lui fúne arrivato; giú da cavallo dismontò il barone. Su per la scala lui fúne montato, e in quello luogo non vedea persone. La tavola imbandita di vivanda v'era, e di tutto che ragion comanda.
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Galvano a quella tavola s'ha posto: quattro donzelle venner di presente, e avanti a lui apparir molto tosto, e sí 'l servir molto onoratamente. Cento donzelle stavano in un chiostro; piangevan tutte molto duramente. Messer Galvan cominciò a dimandare perché facevan sí gran lamentare.
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Onde le donne disson la cagione; non si potean tener di lagrimare: —Per la Pulzella Gaia ch'è in prigione, e noi non la potemo giá aiutare. Uno malvagio cavalier fellone della sua gioi' l'have a manifestare. Quei si noma Galvan, lo desliale; che l'alto Dio lo metta sempre in male!—
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Messer Galvan li disse:—O damigella, per quella cortesia fatto m'avete, sapessi ov'è la sua persona bella, e chi è quei che in prigion la vi tiene, per vostro amore, o gentil donna snella, io andria in qual parte mi direte.— Rispose la donzella:—Or te ne andrai per tal cammino, e sí la troverai.—
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Allor messer Galvan montò a destriero, e infin a mezzogiorno ha cavalcato; ad una ròcca c'ha intorno un verziero, e dove è una fontana, fu arrivato. Una dama cavalca pel sentiero, cento donzelle li andavano a lato. Messer Galvano, quando l'ha veduta, la dama e le donzelle sí saluta.
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E quella dama, ch'era molto irata, rispose a lui:—Deh, mal pos' tu stare! per la Pulzella, ch'è stata ingannata, a' cavalier vo' mal, a non fallare; onde per voi ella è imprigionata. Mai cavalier non voglio salutare, per amor di Galvan, lo misliale, che l'alto Dio li dia prigion mortale.—
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Disse messer Galvan:—Che colpa aggio io, se altri cavalier villania fanno?— Rispose:—Ciascun è malvagio e rio; per lo suo amore, quanti ne troviamo, io giuro lialmente all'alto Iddio che a tutti i cavalier farò gran danno. Per lo gran fallo di quel miscredente ciascun di loro i' mangeria col dente.—
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Messer Galvan rispose:—Che diraggio a quello cavalier, s'io lo trovasse? Alcuno male io non li mostreraggio: vorria che la su' amanza racquistasse. I' l'ho amato e amo ancor di buon coraggio; gran villania saria se non l'aitasse. Per poterli acquistare la su' amanza combatterria con tutta mia possanza.—
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E quella donna disse:—O traditore, dunqu'è messer Galvan tuo conoscente? In questo giorno per lo suo amore io ti farò dar morte di presente. E cento cavalier di gran valore tosto li farò armare immantinente.— E questa dama sí ha comandato che tosto sia messer Galvan pigliato.
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Que' cavalier non fêr dimoragione; al buon Galvano egli funno dintorno, e sí li dissono:—Andate in prigione; se no, che voi morrete in questo giorno.— Messer Galvano a Dio s'accomandòne, e poi si mosse il cavaliero adorno. La lancia in mano e lo scudo imbracciava; di cento cavalieri e' non curava.
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Tre cavalier di schiera si partía, messer Galvano trassono a ferire; primo, secondo, terzo lo fería; con mortal pena lui li fe' morire. A chi un colpo di buon cuor ei dia non bisognava medico al guarire. Messer Galvan molti n'have abbattuti; li altri fuggían, gridando:—Dio ci aiuti!—
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Messer Galvano, uomo di gran vaglia, drieto seguía, e giá non ha paura. Li cavalier fugginno alla boscaglia; alla sua spada non vale armadura; a chi un colpo di buon cuor e' baglia, veracemente di morte il secura. Avanti sera, allo calar del sole, tutti li cavalier messe a furore.
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E quella donna, ch'era tanto bella, avanti di messer Galvan fu gita; e dolcemente lei sí li favella: —O cavalier, Dio ti dia buona vita! tu se' lo piú prod'uom che monti in sella; ed al suo albergo lei sí lo convita. Messer Galvano ben tenne lo invito, e al castel colla donna lui fu ito.
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In una zambra sí 'l menava ratto,
e prestamente lo fe' disarmare.
E in piú parte ch'elli è innaverato
dolcemente lo fece medicare.
E poi li disse:—O cavalier pregiato,
dimmi 'l tuo nome, e non me lo celare.—
Messer Galvan rispose:—Volentieri.
Sono appellato il Pover Cavalieri.—
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E quella dama disse in quella fiata: —Se tu se' pover, non aver dottanza; ed io son una dama ricca e agiata: darotti questa ròcca per certanza, e ogni altra cosa che ben ti sia grata; ed ho moneta assai, che me n'avanza. Ma priego, cavalier, che di tuo' voglia, avanti i' mora, di me prenda gioglia.—
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Disse messer Galvan:—Ora mi udite. Di voi gioglia mai non prenderia, ch'io peggiorrei le mie crude ferite. Ma una cosa ben prometteria in buona lianza, se voi consentite; e questo giuro per santa Maria. Se la Pulzella m'arete insegnare, per cara donna i' v'averò a pigliare.—
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Ella rispose:—I' te la insegneraggio. Ell'è in una cittade molto forte; e giorno e notte, per ogni rivaggio, fortemente si guardan quelle porte. E quella donna dal chiaro visaggio ben credo sia con pene di morte. Ed è in una prigione forte oscura, e sta in acqua fino alla cintura.
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Dentro a quella cittá si è un castello, ch'è di marmore, bello e rilucente, con duo mila finestre di cristallo, li muri di diamante veramente; de' quai non può levar picchio o martello: per arte è fabbricato certamente. Quella cittade ha nome Pela Orso: tu non potresti darli alcun soccorso.—
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Messer Galvan rispose:—I' voglio andare. Se posso atare la dama lucente, certo grande servigio avrò a fare al buon Galvano, ch'è tanto valente. E a voi, madonna, avrò a ritornare