Lo assedio di Roma. Francesco Domenico Guerrazzi

Lo assedio di Roma - Francesco Domenico Guerrazzi


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prepotenza ec.

      Ha scritto Martino Lutero in qualche parte come considerando la ragione umana gli facesse lo effetto di un'uomo briaco a cavallo; non so in qual maniera ci possa incastrare, ma quante volte penso alla pretensione della Francia; di essere salutata cervello del mondo cotesto ricordo mi ronza per la mente zufolando a mo' della zanzara. Dello interesse i Francesi hanno lo istinto, non il discorso, non per virtù di concetto bensì di nervi spiegano e ritirano gli ugnoli: per l'interesse ustolano, ma quale veramente sia, la vera strada di conseguirlo non sanno, e ciò perchè un pensiero torna loro molesto quanto una mosca sul naso; pensa se due! Piuttosto poi di tenere tre pensieri fitti nel capo li baratterebbero con la corona di spine di Gesù. Chiunque in mezzo a loro si ricorderà, che il quattro viene dopo il tre, e dopo il quattro il cinque, e chiunque non rifinirà gridare a squarciagola strozzandoli, come il carnefice del principe Carlo figliuolo di Filippo: «la stia zitto, signore, che quello che io fo, lo fo proprio per suo bene» arriverà a dominarli sempre, Infatti dopo che lo imperatore Napoleone pubblicò urbi et orbi, che impero significava pace, la Francia non sostenne mai guerre sì varie, nè più difficili a vincersi, nè meno facili a prevedersene la fine. A Caterina dei Medici, al cardinale Mazzarino, e a Napoleone Bonaparte, che mai possono opporre i Francesi? Il solo Richelieu, e questo perchè egli e gli altri ponevano il proprio concetto sul capezzale la sera quando si addormentavano per ripigliarlo appena desti la mattina. Per gli uomini francesi torna mostruoso tenere un pensiero in testa più di un'ora quanto alla femmina francese condursi due volte al festino col medesimo abbigliamento; che se contrastando tu osservi da Caterina, dal Mazzarino, e da Napoleone creature per eccellenza uniche non può cavarsene regola generale io ti allegherò la turba dei còrsi Saliceti, Pozzo di Borgo, Sebastiani, Abbatucci, ed altri moltissimi per ingegno certo non superiori ai Francesi, ma che pure costanti nei propositi, e fermi nei concetti arrivarono a dominarli, e li dominano.—

      Se la fortuna maligna ci fece il cervello senza gambe, o perchè non ci approfittiamo del giudizio dei nostri vecchi? Ora senza tante storie tenetevi come un breviario nelle mani da recitare quattro volte il giorno quanto lasciò scritto di loro Niccolo Macchiavello, o piuttosto imparatelo a mente, che la è cosa corta, ed insegnatelo invece della Santa Croce ai vostri figliuoli:

      «Stimano tanto l'utile e il danno presente che poco rammentano le ingiurie e i benefizi passati, e poco cura si pigliano del bene, e del male futuri.»

      «Taccagni piuttostochè prudenti; poco loro cale di quanto su loro si parli o scriva: cupidi più del danaro, che del sangue; generosi solo nelle udienze.»

      «Chi vuole condurre a bene una cosa nella Corte di Francia gli bisognano danari assai, diligenza grande, e buona fortuna.»

      «Richiesti di un benefizio pensano prima che utile ne possono cavare per loro, che se devano servirti.»

      «Quando non ti possano far bene te lo promettono; quando te ne possano fare, lo fanno con difficoltà o non mai.»

      «Umilissimi nella cattiva fortuna, nella buona insolenti.»

      «Ordiscono male col senno, ma tessono bene con la forza.»

      «Chi vince accorda sempre con loro, chi perde mai, epperò prima di cominciare una impresa bada se ti possa riuscire, e se la ti può riuscire non ti trattenga il pensiero d'impermalirli. Con tutti, massime con loro il traditore è il vinto.»

      «Vari sono e leggeri; nemici del parlare romano e della fama nostra

      E non è tutto; pure può bastare; che se taluno screditasse l'autorità del Macchiavello come uomo appassionato o maligno tu credi, che il Macchiavello poteva sentire forse il caldo e il freddo, l'amore, e l'odio in cose di stato no; così vero questo, che gli scrittori francesi o vogli antichi o vogli moderni più gravi accuse articolarono a proprio danno, e le puoi leggere nella storia di Francia del Michelet. Tito Livio attesta i Galli avere in costume rompere la fede per vezzo; nulla contavano le promesse: vanto loro gabbare; e' sembra che i nipoti non abbiano tralignato.—

      Voi vedete quanto grande il debito dei Francesi nel conto che loro aperse la Italia, e delle poste antiche di Carlomagno si tace per compensarle con le antichissime, nostre di Giulio Cesare. Veruno di voi ignora la copia del sangue generoso che ci costò il primo impero: e che importavano a noi le guerre ispaniche, e che le boreali? Con le nostre mani dovemmo fabbricare le nostre catene, però la vittoria, la quale agli altri è madre gioconda di libertà, a noi ribadiva il servaggio. La Francia crescente noi empiva di lutto, tramontante c'involse nella sua ruina; dopochè la Italia venne tratta nell'orbe della Francia mai più fu visto così infelice satellite. Quando Napoleone si struggeva all'Elba quasi ferro morso dalla lima, noi altri Italiani commiserando alla grandezza sventurata dell'uomo gli dicemmo: «vieni tra noi, qui troverai meglio dell'aquila rapace; cuori che palpitano anco dentro i sepolcri; menti che la fortuna impietra nella fede; che se per tua sventura e nostra ti talenta un'aquila per la caccia dei popoli, eccoti la romana; meglio di cotesta tua francese conosce le vie della vittoria.» Ed egli sdegnò; insetto imperiale antepose bruciare alla candela di Francia, che rinnovarsi il sangue co' raggi del sole italiano. La stirpe napoleonide ci doveva un compenso, e i laudatori codardi della potenza felice baccando come Menadi briache lui inneggiavano padre, e redentore, per poco non supplicavano Dio a cedergli il trono, per metterci lui, allorchè venne a combattere l'Austria in Italia: quali i suoi concetti nel moversi come nel fermarsi dicemmo; e se sia vero il fatto lo dimostra, imperciocchè se veramente, come le parole sonavano, volle la Italia unita per qual consiglio mentre si vantava aiuto in Lombardia diventa ostacolo a Napoli e in Roma? Tuttavolta ebbe Nizza, e Savoia; la chiave d'Italia, e le tombe dei padri dei monarchi d'Italia; materia ed anima, religione e interessi, vivi e morti crudelmente offesi;—e scredenza confessata da noi della unità italiana, e ragione stabilita a impedirla in futuro; posti i fondamenti della guercia unità di un Piemonte ingrassato[1]. E come se tanto non bastasse, ecco i nostri rettori, e chi consente con essi crescere di furore: la libertà, e la indipendenza sembra, che addosso a loro esercitino la virtù di due camice di Nesso; muove a sdegno la viltà di Esaù venditore della sua primogenitura per un piatto di lenticchie, ma quali e quante passioni agiti dentro noi la vista di questi Coribanti insaniti di servitù noi non possiamo significare. Mi pare avere intronate le orecchie dall'orribile profferta dei figliuoli del conte Ugolino:

       «. . . . . . Tu le vestisti «Queste misere membra e tu le spoglia.»

      [1] Espressioni di G. Ferrari nel primo discorso contro il Trattato di Commercio!

      Guai! anco a cui tra loro non doma perfino una aurora boreale d'intelletto italiano! Guai! anco a cui tra loro mostra che il sangue gli batte il cuore meno gelido, meno monotono della goccia che casca giù dalla volta della grotta, che in procinto di essere messo al bando della Chiesa moderata per ottenere perdono bisogna, che si presenti con la corda al collo, co' piedi, col capo, coll'anima nella neve.—Signore, liberaci da questi lupercali di vergogna e d'infamia!

      Pertanto fu ragione, se l'amico nostro non si reputava soddisfatto, e chiese così la Sardegna per finocchio dopo il pasto; ma essendosi gli arruffapopoli inalberati sul serio, i castrapopoli non gliene poterono fare dono. La Sardegna avrebbe somministrato stabile fondamento di preponderanza alla Francia nel mediterraneo, e poichè per questo lato non le riuscì spuntarla, ecco che torna per via obliqua all'assalto, e mediante il trattato di navigazione a se accerta facoltà di crescere, noi assicura a perpetua rachitide. La trista setta, che ha tolto per compito di nabissare la Italia opponeva lo stato della navigazione nostra floridissimo nonostante la concorrenza francese, e male argomentava, però che lo appunto si miri a fare in modo che cotesto stato non già floridissimo, ma comportabile cessi; nè da per tutta la Italia accadde ad una maniera, bensì nella Liguria dove la inopia di terra spinge alle industrie marittime. Fu domandato s'instituisse una inchiesta di gente perita affinchè in faccenda dove ne va posta sì grossa si procedesse con piena conoscenza di causa, e secondo il solito dispettosamente la respinsero, e sì che dovevano conoscere a prova quanto male avesse approdato al paese cotesto loro arrogante perfidiare.—Come riuscì profittevole l'aumento del 10 per cento per le ferrovie? Nè valsero a dissuaderli le persuasioni di uomini espertissimi, ed a loro devoti; come neppure la sconcia contradizione in che cascavano, avendo nella stessa sessione proposta la legge pel menomato porto delle lettere: qui si contava


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