Lo assedio di Roma. Francesco Domenico Guerrazzi

Lo assedio di Roma - Francesco Domenico Guerrazzi


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«dallo abuso delle parole, egli ammonisce, di leggieri si trapassa allo abuso delle idee, ed anco alla pravità delle opere; così, dagli appellativi di gregge, di pastori e simili, attribuiti ai cattolici ed ai sacerdoti loro, ne scappò fuori la conseguenza che la Chiesa possedesse il diritto di ammazzare gli eretici, i quali, a mo' di lupi le insidiavano il gregge; di fatti, il gesuita Salmeron oltre questa, non porta altra ragione per mettere la mano nel sangue: lupos interficendi, idest corporalem vitam hæreticis auferendi. Narrasi che in Inghilterra alquanti congiurati si peritassero a minare, e buttare in aria il parlamento dov'essi annoveravano non pochi parenti ed amici; desiderosi pertanto di porsi in quiete la coscienza consultarono il padre gesuita Gametto sul quesito se fosse lecito senza commettere peccato sobbissare una torre dove tra cento nemici occorressero otto o dieci amici; e il gesuita che aveva subodorato la trama, rispose: sicurissimamente poterlo fare, e senza uno scrupolo al mondo; dopo ciò, non istettero più dubbi come quelli che per traslato erano usi chiamare il palazzo di Westiministere la torre dell'eresia.—Altro esempio calzante, è questo altro; nelle controversie lunghe e terribili tra il papato e le corone, circa le investiture, la Chiesa misusò fellonescamente delle parole adulterio, sacrilegio, ed altre cotali, fondandosi sopra il testo delle Scritture:—la Chiesa è sposa di Gesù Cristo.—e su l'altro: io ho detto a voi sacerdoti: voi siete dei, da ciò, per linea retta perpendicolare nella geometria della Chiesa, adulteri, violenti, pirati, e ladri, chiunque si attentasse toccare pure col dito quanto la Chiesa aveva detto: è mio; e a modo di corollario, quale gli avesse spenti di ferro o di veleno diventava santo o giù di lì.»

      Ragionando sempre alla medesima guisa, ognuno dei cento milioni di cattolici, come ha diritto di pregare nel tempio, possiede pari diritto sul tempio, su la terra che lo sopporta, e sul paese che serve a mantenere il tempio e i sacerdoti; e siccome ognuno non può nè deve portarsene via un frammento, può impedire e deve, che altri se ne impadronisca. Così Roma, nel concetto dei Preti diventò, quasi Tebe dalle cento porte, o piuttosto una casa aperta a tutti i venti; le chiavi essi impugnano, non mica per chiudere, bensì sempre per tenerne spalancato lo ingresso; e perchè accogliemmo il Prete e lo nudrimmo, eccoci fatti una cosa nullius; siamo preda del primo occupante: noi respinti dal dominio di casa nostra, mentre in casa nostra hanno potestà gente remotissime e selvaggie, le quali forse nè manco sanno Italia che sia, nè dove giaccia Roma.

      Anco a noi sia lecito cavare una conseguenza dalla dottrina, che il Papato professa, la quale è questa: poichè per diventare padroni in casa nostra bisogna che il dominio sacerdotale cessi, e poichè il prete intendo esserne il portinalo per aprirne l'uscio a quanti presumono entrarci—sgombri dalle nostre dimore. Noi non ravvisiamo il vicario di Dio che letifica i suoi figliuoli con la libertà in colui, che ci vorrebbe sottoposti a perpetuo ed universale servaggio. E se vuol fare il portinalo vada in paradiso a dare la muta a san Pietro, che a quest'ora deve essere stracco.

      Noi abbiamo bisogno di Roma però che colà si annidino tre voleri pari, e tre poteri dispari ad impedire con tutti i nervi, che la Italia si compia. Instituti barbari furono gli asili, i quali provocavano un dì più delitti, che non ne reprimessero lo pene un'anno; e tutta via sopportavansi; tanto è disagevole sradicare dalla società un'ordine di cose, il quale nei tempi ebbe pure argomento di vita, quantunque adesso siasi trasmutato in argomento di morte. Di fatti, nei tempi eroici e nei barbarici la espiazione del delitto importava molto all'offeso, ed alla famiglia di lui, al pubblico poco; oggi procede il contrario: e poichè i delitti si componevano allora con danari, di cui la voce più tardi si fa sentire nei petti mortali gagliarda sopra quella del sangue, premeva salvare il colpevole dai primi bollori dell'offeso, dove il grido del sangue supera quello dell'interesse. Anco sulla consegna dei rei, riparati in paesi stranieri, si pendeva incerti se la si dovesse ributtare, ovvero promovere; nè questo in tempi lontani, bensì pure ieri, nè da ingegni vulgari, al contrario eccellentissimi; a mo' di esempio dal Beccaria: e ciò perchè non reggevano da per tutto miti le leggi, nè sicuri ci si formavano i giudicati; ai tempi che corrono, se la libertà non fece troppi avanzi, e se la giustizia politica brancola sempre per acciuffare, per quanto poi spetta l'amministrazione della giustizia nei delitti comuni tra stato e stato, poco divario occorre; e quando fie abolita la pena di morte screzio, a mio credere, non ce ne sarà veruno.

      Oggi, finalmente, acconsentendo a sensi civili sentiamo quanto sia indegno, che speri asilo nel tempio colui, il quale lacerò truculento i precetti del Dio che si adora là dentro; ovvero nella dimora dell'oratore, o negli stati del principe, cui ha da correre l'obbligo di operare in guisa che ogni parte di mondo vada immune da delitti. Solo dall'obbligo della consegna si escludono gli accusati e i condannati per colpe politiche; e questo io reputo ingenua confessione dei governi che nelle faccende di stato o non sanno, o non vogliono praticare giustizia. Or bene, ciò che la Corte di Roma nè anco ai tempi di Sisto V pativa, oggi patisce; nè soffre solo, bensì promuove, ostenta, e se ne vanta.

      Ma là dove si trattasse sottrarre un capo dalla scure, e il rifuggito agitassero la paura ed il rimorso, di ora in poi egli avesse a strascinare la vita penosa come palla incatenata ai suoi piedi, nè inteso ad espiare l'antico potesse commettere nuovo delitto, forse vi sarebbe tale, che non approvando mai, pure compatisse alla pietà del sacerdote del mitissimo fra quanti Dii furono al mondo, e sono. Ora, ditemi, uomini italiani, egli è così che si mostra il sacerdote romano? Quando mai il preteso vicario di Cristo si mostrò avaro di sangue, comecchè innocentissimo? Costui mette lo sentenze di morte ai piedi di Cristo! Ma che mai gli hanno a dire i piedi di Gesù quando gli manca un raggio della bontà del suo cuore?[1] Quando ei fuggiva da Roma con la pisside di Pio VI in seno, e al fianco la donna Spaur, nata Giraud, egli non cessò mai (racconta la donna Spaur) supplicare il divino Redentore per la salute dei suoi persecutori, i quali più tardi mandava spietatamente a morte[2].

      [1] Pio IX pose la sentenza di morte del Locatelli ai piedi del

       Crocifisso, e poichè dai piedi di lui non gli venne ispirazione

       alcuna, lo mandò al supplizio.

      [2] Pendant toute la route il ne cessa d'adresser au Redempteur des

       prières pour l'amour de ses persécuteurs, et de reciter le

       breviaire et d'autres oraisons avec le père Liebel.—

      Merita altresì essere notato il caso della pisside affatto

       ignoto o poco manifesto. Il Vescovo di Valenza mandò a Pio IX

       la seguente lettera, la quale gli fu consegnata solo il 21

       Novembre 1818.

      «Santissimo Padre

      «Nelle sue pellegrinazioni, massime a Valenza dove morì, il grande Pontefice Pio VI portava la santissima eucarestia sospesa al petto proprio, o su quello dei prelati che lo accompagnavano, ed egli desumeva da questo augusto sacramento luce per la sua condotta, forza nei suoi patimenti, consolazione nei suoi dolori, pure attendendo il viatico pel suo passaggio alla eternità.

      «Io possiedo in modo certo ed autentico la pissidina, o vasetto, che serviva a questo così santo, pietoso, e memorabile uso, e mi attento farne dono a Vostra Santità. Erede voi del nome, della sede, delle virtù, dei coraggio, e quasi delle tribolazioni del grande Pio voi forse terrete in qualche pregio questa modesta ma pure importante reliquia, la quale, io spero, non dovrà più essere adoperata in pari uso, e nondimanco chi conosce gli arcani della Provvidenza e chi, le prove a cui Dio serva la vostra Santità?—Io prego per voi con amore, e con fede.—

      «Lascio la pisside dentro il borsellino che la conteneva appunto com'era quando se ne serviva Pio VI portandola attaccata al collo.—

      «Io conservo grata memoria e riconoscenza profonda della bontà vostra verso me nell'ultimo mio viaggio a Roma; degnatevi, santo Padre, aggiungervi la vostra benedizione apostolica che aspetto prostrato ai vostri piedi.»

      «Valenza 15 Ottobre 1848

      «Pietro Vescovo di Valenza.

      Relation du voyage de Pie IX a Gaète par M. la Comtesse Spaur, nèe Giraud. Paris. Antyot 1852. p. 9 et 27.

      E poi ben'altra è la ragione dello asilo che adesso fre Roma ai masnadieri della terra. Non si tratta già salvarli alla pena, al contrario, spingonsi ad uccidere


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