Dal vero. Matilde Serao

Dal vero - Matilde  Serao


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famiglia in altra camera, si avanzò. Sofia si era alzata subito, turbata.

      —Buona sera, signorina.

      —Buona sera…..

      Erano entrambi impacciati. «Dio! quanto è antipatica questa Sofia!» pensava Roberto.

      Infine la fanciulla si rimise, riprese l'impero sulla sua fisionomia, che ridiventò composta e severa; sedettero a poca distanza.

      —La signora madre sta bene?

      —Abbastanza bene, grazie.

      —E….. Lulù?

      —Anche lei benissimo.

      Qui un silenzio. Roberto provava una strana sensazione, come una gioia che lo riempisse di amarezza.

      —Lulù è occupata?—chiese egli.

      Sofia represse un lieve movimento d'impazienza:

      —È al ballo, con la mamma, in casa Dellino—rispose poi rapidamente, quasi volesse prevenire altre domande.

      Dunque Sofia era sola! E se non voleva essere il più scortese degli uomini, avrebbe dovuto trattenersi con lei! Roberto a questa idea ebbe l'irresistibile volontà di fuggire. Pure non si mosse.

      —Io sono venuto perchè al mio circolo non siamo stati in numero legale—disse dopo, come se volesse scusare la sua presenza.

      —Lulù non vi attendeva… Mi dispiace…

      —Oh! non importa!—interruppe Roberto.

      La interruzione era troppo rapida, quindi poco lusinghiera per l'assente.

      —E voi—riprese egli—non siete andata?

      —No… sapete che non amo molto il ballo.

      —Preferite la lettura?

      —Sì, di molto.

      —Non temete che vi faccia male?

      —Ho buoni occhi—rispose Sofia, alzandoli in viso al suo interlocutore.

      —E belli—disse fra sè Roberto—ma senza espressione.—E ad alta voce:—Volevo dire…

      —Male morale forse? Non lo credo: dai libri che leggo mi venne sempre una grande pace.

      —Avete bisogno di pace?

      —Tutti ne abbiamo bisogno.

      La voce di Sofia era grave, sonora, eppure Roberto se ne compiaceva come se la sentisse per la prima volta. Pareva si trovasse di fronte ad una donna sin allora sconosciuta, e che costei gli si rivelasse da ogni parola, da ogni atto. Perchè Sofia aveva perduto la sua freddezza, si lasciava andare a guardarlo, a sorridergli, a parlargli come ad un amico. Che ci era stato prima fra loro? Che vi nasceva adesso?

      —Quando un libro mi piace—riprese Roberto—mi viene un desiderio forte di conoscerne l'autore, di sapere se è buono, se anche egli ha amato, se anche egli ha sofferto…

      —Forse provereste qualche delusione. Gli autori descrivono sempre l'amore degli altri, mai il proprio.

      —Per rispetto forse?

      —Per gelosia, credo. Vi sono casi in cui l'amore è l'unico tesoro nascosto di un'anima.

      Ma la voce di Sofia non si alterò, dicendo queste parole. Rifulgeva dal suo volto tanta onestà; era così semplice, così pura, così convinta in quel suo accento che Roberto non provò alcuna sorpresa, sentendola discorrere così sicuramente dell'amore. Di nulla più egli si meravigliava, tutto gli sembrava naturale, preveduto;—anche quella serata, passata da solo con quella fanciulla singolare, gli sembrava che fosse stata stabilita ed a lungo attesa. Quando si lasciarono, si guardarono bene in viso, quasi volessero riconoscersi. Sofia porse la mano, Roberto la prese e s'inchinò, una portiera ricadde pesantemente. Erano divisi.

      Cessato il fascino della presenza e della conversazione di Sofia, Roberto si sentì l'animo in disordine, il cervello scombussolato. Era allegro, malinconico, avrebbe voluto morire ed era pieno di vita: non sapeva più che pensare di Lulù, di Sofia, di sè stesso e dell'avvenire.

      Sofia era molto felice, molto felice! Per questo piangeva a singhiozzi, col capo perduto nei guanciali.

      IV.

      Erano passati tre mesi, il matrimonio di Lulù tirava in lungo. Alle volte la madre, che non ci vedeva chiaro in questi ritardi, chiamava in disparte la figliuola e gliene domandava.

      —Voglio aspettare—rispondeva sempre Lulù—ho bisogno di conoscer meglio Roberto.

      Infatti la fanciulla era diventata un po' osservatrice. Andava attorno come al solito; come al solito cantava, rideva, scherzava, ma interrompeva spesso queste piacevoli occupazioni per indagare il contegno della sorella, o per ascoltare ogni parola di Roberto. La si vedeva spesso con le labbra strette, le sopracciglia protese, in aria di grande attenzione: ora Lulù si guardava molto d'attorno.

      Ed attorno avvenivano strani fatti. Roberto non più sereno ed ilare come il consueto, sibbene pensoso, pallido e turbato. Parlava breve e distratto: molte cose cui prima si interessava, sembrava gli fossero venute indifferenti: a volte, con grande sforzo giungeva a dominarsi ed a ritornare quel di prima, ma per poco. Abitudine di dissimulare non ne aveva mai avuta e ci riusciva male: la passione, l'interno cruccio gli si rivelavano dagli occhi.

      Era venuta fuori un'altra Sofia: cioè una Sofia inquieta e nervosa, che a volte abbracciava con effusione la sorella, a volte rimaneva ore senza vederla, anzi fuggendola. Fugaci rossori le passavano sul viso, rossori di febbre; negli occhi le si accendeva una fiamma; la voce ora profonda e commossa, ora stridula e secca: le labbra spesso tremanti; le mani agitate da un continuo brivido. La notte non dormiva: Lulù si alzava a piedi nudi, andava ad origliare presso la porta, e sentiva che Sofia si agitava e piangeva. Richiesta, Sofia rispondeva non aver nulla, esser sempre la medesima.

      Quando Roberto e Sofia si trovavano insieme—ed avveniva quasi ogni giorno—allora si chiariva di più il loro cambiamento. Parole rade, risposte o troppo pronte, o troppo vaghe, sguardi singolari; per sere intiere non si parlavano, ma l'uno studiava i moti dell'altro. Non sedevano mai daccanto, ma Roberto trovava sempre modo di prendere il lavoro ed il libro che aveva toccato Sofia; talvolta costei non compariva e Roberto, sempre più irrequieto, fissava la porta chiusa, rispondendo distrattamente a quanto gli si diceva; talvolta cinque minuti dopo la comparsa di Sofia, egli prendeva il suo cappello e partiva. La fanciulla impallidiva, un cerchio nero le si formava sotto gli occhi; si decise a non farsi veder più. Si chiuse ogni sera per otto giorni nella sua stanza, fremente d'impazienza, soffocando i suoi lamenti….

      Una sera Lulù entrò nella camera:

      —Vuoi farmi un favore?—le disse.

      —Che desideri?

      —Ho bisogno di scrivere un bigliettino. Roberto è solo, fuori il terrazzo. Va a fargli compagnia tu.

      —Ma io…

      —Vuoi continuare a star serrata? Tanto ti costa il contentarmi?

      —Verrai presto almeno?

      —Il tempo per metter giù quattro righe.

      Sofia si avviò verso la terrazza cercando di avvalorare il suo cuore per quei pochi minuti. Si fermò sulla soglia. Roberto passeggiava; le si accostò.

      —Lulù mi manda—ella disse a bassa voce.

      —Veniste forzata?

      —Forzata… no.

      Essa tremava tutta; Roberto le era vicino, col viso travolto dalla passione.

      —Che vi ho fatto, Sofia?

      —Nulla, nulla mi avete fatto. Non mi guardate così—supplicò essa smarrita.

      —Lo sai, dunque, Sofia, che ti voglio tanto, tanto


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