Dal vero. Matilde Serao

Dal vero - Matilde  Serao


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tale (declinazione del vostro nomignolo) è un cretino nato e pasciuto—quadro plastico degli ascoltanti che vi conoscono. Un altro giorno ricevete una lettera poco rispettosa dal fratello di una cantante in cui si dice che se non volete smetterla di dir male della germana correranno le batoste: voi che siete innocente di critiche musicali, v'informate ed arrivate a sapere che un corrispondente incognito di un giornale teatrale ignoto, si compiace firmare col vostro medesimo nome di guerra. Ma questo equivoco non sarà il solo, nè il più innocente.

      La gente comincerà a chiamarvi sempre col nome falso—le lettere verranno a quell'indirizzo, la vostra individualità di cittadino e di elettore tenderà a scomparire; vi avverrà che, presentato col nome di vostro babbo, vedrete dei visi indifferenti ed aggiungendovi lo pseudonimo, subito grandi riverenze e profondi inchini. Voi stesso, dimenticherete il vostro casato e se ne ricorderà solo l'esattore della ricchezza mobile! Ancora: vi è una parte del pubblico che crede lo pseudonimo essere il rifugio dei burloni, della gente che scrive alla giornata, ed è incapace di serio lavoro; andate un po' a farvi eleggere, se avete stampato senza la vostra firma!

      Gli è per questo che una parte degli scrittori si rifiuta al nuovo sistema: si tratta di qualche giovanotto che ambisce al posto di professore in un ginnasio qualunque; si tratta di qualche vecchietto quadrato, ragionevole, che è stato uso di schiccherare, in fondo alle proprie opere, nome, cognome, titolo qualità e magari anche la paternità e il luogo di nascita; si tratta di qualche uomo maturo, grave, che scrive un libro con uno scopo più o meno politico, e che quindi ha bisogno di far sapere che è stato lui, proprio lui e non un altro ad averlo fatto.

      —Vedete—mi diceva uno dei contrarii alla innovazione—questo rifugiarsi nei nomi altrui, sa di sotterfugio, di bugia. E sapete perchè? Perchè coloro che assumono un nome di guerra dovrebbero pensare ad assumere anche un tono, un genere, una idea relativa a questo nome. Per nulla; conosco uno scrittore lugubre che firma Momo, un materialista che si chiama Psiche ed un uomo di spirito che perpetua il tipo di un imbecille! Lasciamo correre: credete che uno pseudonimo possa andare ai posteri?

      —La letteratura moderna ha troppa fretta per pensare ai posteri—gli dissi.

      —E la gloria?

      —Bah! È un pezzo che la critica l'ha abolita.

       Indice

      È deciso, si deve andar via: basta una letterina gentile al proprietario dell'appartamento per indorargli la pillola e si è liberi. Si dà in un grande sospiro di sollievo per aver affermata la propria indipendenza e si enumerano la millesima volta le buone ragioni per cui si va via. Ragioni solide: una scala alta come quella di Giacobbe; sopra le stanze piccine; d'inverno il freddo; di estate il caldo. Sempre il medesimo orizzonte: un palmo e mezzo di cielo, sette centimetri di collina ed un campanile; di mare e di Vesuvio neppur l'ombra; giù, una straduccia rumorosa ed antipatica. I vicini, gente noiosa: il damerino che si pettina ad uno specchietto presso la finestra, la sarta che inaffia la malvarosa, il giudice che litiga con la moglie, la signorina che impara la réverie di Ascher dalla mattina alla sera: sempre gli stessi visi, sempre le stesse voci.

      E dentro la casa, che monotonia! Gira, gira e rigira, si è sempre in un posto: tutto è uniforme, regolato, ordinato; lo stesso disordine del salottino è stato pesato e discusso; dello studiolo non si discorre le pareti occupate dalle librerie, il tavolo di fronte alla finestra, le statuine sui piedestalli, una simmetria desolante. Lo spirito è oppresso, schiacciato, ridotto al silenzio; i suoi slanci e le sue ispirazioni si frangono contro tutta quella immobilità, non ci è più modo di scrivere, di lavorare, di sorridere. Irritazione, dispetto, fastidio in tutti; la casa è brutta, cattiva, micidiale; si è stanchi, si soffoca, si muore, bisogna scapparne via.

      Sospiro di conforto.

      * * *

      Invece la casa nuova, quella dove si andrà, è un amore, un paradiso terrestre. È vasta, ci si può giocar di spadone, vi è lusso di aria e di luce, il Vesuvio entra nella stanza da pranzo, il golfo nel salotto, dal terrazzo si veggono tutte le colline tenersi per mano. I vicini sono roba fina, aristocratica; si è saputo, così di straforo, che vi sono due cavalieri, una contessa, un vice-sindaco, un ex-ministro, figurarsi! Il portinajo, una vera pasta di miele, una perla nascosta nella conchiglia del suo casotto. I mobili andranno sottosopra, vi sarà un grande rimestío, se ne compreranno dei nuovi ed i vecchi avranno la pensione in soffitta; discussioni infinite su questo soggetto. Tutto sarà nuovo, bello, diverso. E quanti cari progetti, quante dolci speranze si realizzeranno nella casa nuova! Si farà il matrimonio di Carolina, il figliuolo ritornerà dal suo lungo viaggio, ed allora che feste, che allegria! Il lavoro progredirà rapidamente, l'ispirazione verrà; non ci saranno i mille guai domestici che menomano e ristringono la mente: la famiglia sarà felice. Ma viene o non viene questo benedetto maggio? Si contano i giorni, si sorride ad ognuno che ne passa, si è soddisfatti, completamente soddisfatti.

      * * *

      Quando il mese di aprile incomincia, quando l'epoca della partenza si approssima, in mezzo a tanta soddisfazione, si fa luogo un senso di amarezza. Sulle prime è leggiero, inavvertito, si presenta nella solitudine, nel riposo: poi cresce, cresce, si rende assiduo, continuo, non se ne va più. È un dispiacere vago, come di una disgrazia che sia alle spalle; una cura segreta, indefinibile anche per chi la prova; un dolore sordo per qualche cosa che deve mancare o morire. Che cosa è? L'uomo s'interroga, si rivolta, si tormenta, non trova niente, e la pena è sempre là, anzi si va accentuando, si disegna…… Ecco, sarà una debolezza, una fanciullaggine, una sentimentalità morbosa, ma si è addolorati di lasciare la casa.

      È vero, è vero: il cuore si stringe pensando a quelle stanzuccie dove si è tanto amato, tanto vissuto e che non si vedranno più; pare che dalle vecchie pareti, dagli angoli oscuri partano voci di affetto e di tenerezza; nella notte si ode un susurrio indistinto e carezzevole. In ogni cantuccio vi è una parte di vita, un brano di cuore: sul muro, quel segno col lapis è la misura del bambino che ora l'oltrepassa di tutta la testa—ed accanto quel ritratto, quel caro ed amato ritratto di persona morta! In questa camera la buona madre si è ammalata, e quando la salute è tornata a brillare nei suoi buoni ed amorevoli occhi, essa ha respirato l'aria presso quel balcone: sul balcone dove alla primavera tutte le pianticelle hanno fiorito, dove l'edera, più tenace dell'uomo, si è abbarbicata; sul balcone dove nelle sere estive vi furono tante dolci parole mormorate all'orecchio. E quando vi fu quella grande, grande disillusione, la pace del piccolo studio ha calmata l'asprezza della ferita. Dio, quante memorie! Che fiotto di ricordi!

      * * *

      La pruova che il passato ha esistito bisogna abbandonarla, bisogna dimenticare; e perchè anche l'ultimo profilo delle rimembranze si cancelli, bisogna lasciare il fedele testimonio della vita trascorsa. Staccarsi da tutto, annullare, fare il vuoto. È uno spasimo acuto. Si vagola per le camere, sogguardando lungamente, quasi a volersi imprimere nella mente ogni linea; non si va più fuori quasi a prolungare i momenti della permanenza; non si scambiano che brevi frasi; le fanciulle sono malinconiche, i vecchi parenti si fanno pensosi. Il giorno della partenza viene: i visi sono pallidi e scomposti, si va e si viene senza far nulla, quasi per distrarsi; si resta seduti sopra un baule a guardare tristamente i mobili che se ne vanno; la casa è piena di persone estranee, di facchini ruvidi, di voci irose; la casa è profanata, manomessa, sembra una chiesa dove sia passata un'orda di cosacchi. I mobili se ne vanno, se ne vanno, e si è ancora lì, in un angolo polveroso a guardare, a prolungare quello strazio interno: vengono i vicini a salutarvi e si scopre che quella gente era buona ed onesta; che tormento! Passano, passano le ore, pare un triste sogno; è invece una realtà—il nuovo abitante è venuto, vuole la casa sua, vi scaccia quasi. Si gitta intorno un'ultima occhiata; lentamente, con le labbra serrate ed un gruppo nella gola, si parte.

      * * *

      La nuova casa! È un'estranea; non la conoscete, non vi conosce, non avete vissuto con lei, le sue mura sono mute, hanno parlato ad altri; è fredda, vuota, sembra un deserto, sembra una rovina, ci si parla a bassa voce come in una piazza. Sorprese dappertutto; anditi, scalette,


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