Rimatori siculo-toscani del dugento. Serie prima - Pistoiesi-Lucchesi-Pisani. Anonymous

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sua parte mi donò un fiore,

       che parse per semblant' il so visaggio.

       Allor nel viso cangiai lo colore,

       credendo el me dicesse per asaggio.

       Però con gran temenza il dimandai:

       — Come si sta la mia donna gentile? —

       Ed el me disse: — Ben, se tu ben stai. —

       Allora di pietá devenni umile.

       Egli sparío; piú non gli parlai;

       parvemi quasi spirito sottile.

       Indice

      Amore manifesti alla sua donna le sue pene.

      Poeta. Dimme, Amore; vorestù tornare

       da la mia parte a la donna mia?

       Amore. Sí, se tu vogli, ma ell'è follia:

       ché talor nòce lo troppo adastare.

       Poeta. E lo meo core vi vòl pur andare,

       e ti demanda en sua compagnia.

       Amore. Di presente me meterò en via

       dapo' ch'eo veggio ch'a lui e te pare.

       Or me di' ciò che tu vòi che gli dica:

       che tu non fini clamare mercede?

       Perzò non è bisogno andarne mica,

       per aventura ch'ella non ti crede.

       Poeta. Sí fa'; che di me vive e se nutríca;

       e 'l cor non pò durar, se no' la vede.

       Indice

      Amara delusione.

      L'altrier pensando mi emaginai

       mandare Amore a la donna mia;

       ed a lui piacque per sua cortesia

       andar a lei; tanto ne'l pregai.

       Poi retornò e disseme: — Che fai?

       tutta l'ho misa ne la tua bailía:

       I' ti so a dire, ch'ell'è a mezza via,

       e vien a te, se tu a lei non vai. —

       Po' me venn'un penser da l'altro lato,

       e fortemente me represe e disse:

       — Amico meo, tu hai folle pensato.

       Or credi tu ch'ella con te venisse?

       E tu anderesti a lei? Se' tu in istato? —

       Parveme allor che l'alma se partisse.

       Indice

      Lamenta l'avversa fortuna che gli fa fare sempre il contrario di quel che vorrebbe.

      Ogni meo fatto per contrario faccio,

       e di niente d'intorno mi guardo:

       l'estate so' più freddo che no el ghiaccio,

       l'inverno per il gran calor tutto ardo.

       Se ho lettera de gioia, sí la straccio,

       se di dolore, la repogno e guardo;

       chunque è mio amico, sí i' lo minaccio,

       se mi saluta, sí me fier d'un dardo.

       Credo che Dio ensieme e la natura

       erano irati quando mi creâro,

       che trasformôrmi d'ogni creatura.

       Però il lor non gittarono en paro,

       e l'alma che mi deron clara e pura

       giammai no' l'averanno en suo reparo.

       Indice

      Vicende di fortuna.

      Quattr'omin son dipinti ne la rota

       per la ventura dello esemplo dato:

       e l'altro sta di sopra incoronato,

       e l'uno in su valentemente nota.

       E 'l terzo se tien le mani a la gota,

       ed è vilanamente trabucato,

       e 'l quarto sta di sotto riversato,

       e d'ogni estremità li dá sua dota.

       Io fui quel che lá su andai montando

       intorno intorno la rota girata,

       e fui di sopra a tutto il mio comando;

       poi la testa mi fo incoronata.

       Or son caggiuto d'ogni ben in bando,

       nel finimento de la mia giornata.

       MEO DI BUGNO

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      Coscienza netta non cura farneticar di gente.

      Tutto el tempo del mondo m'è avenuto,

       e sempre me n'andrò con questa norma,

       che lá, 've non pongo 'l piè, faccio l'orma,

       non so qual de' demòni m'ha veduto,

       che, sendo santo, non serò creduto,

       anzi me sgrideria la gente a torma.

       Unde el conven ch'eo vegli e poco dorma,

       da tante parte me veggio asseduto.

       Ma non mi muto per altrui parlare:

       ben è vertá ch'io ne son pur dolente,

       e come bestia lasso ogn'om belare.

       Om che si sente iusto ed innocente,

       a faccia aperta pò securo andare,

       e non curar ferneticar di gente.

      NOTA

       Indice

      I

       MEO ABBRACCIAVACCA

      Meo di Abbracciavacca di Guidotto de' Ranghiatici pare che appartenesse a una famiglia di cambiatori pistoiesi, perché tale fu suo padre, che fu console dei cambiatori nel 1237, e un suo figlio, Forese, fu nel 1304 nella banca degli Ammannati. Suo padre, e forse altri della sua famiglia, furono di parte ghibellina. Meo visse assai a lungo, perché era ancora vivo nel dicembre del 1300, quando, in un atto notarile di quell'anno un altro suo figlio, Iacopo, è detto: «Dominus Pucius (Iacobuccius) Bargomei (sic) Abraciavache de Pistorio» (vedi nei miei Rimatori pistoiesi, p. XLIV e sgg., negli Studi e ricerche di antica storia letteraria pistoiese, nel Bull. stor. pist., XII, 38 sgg., e in Per la storia letteraria del sec. XIII nel Libro e la stampa, VI, 78-79).

      È dunque un vero fossile della maniera guittoniana, perché forse poetava ancora dietro le orme del dittatore, quando giá in Pistoia si udivano le dolci note della poesia di Cino. È il piú arido e il piú oscuro dei rimatori del gruppo pistoiese. Egli si aggira sempre nel circolo delle idee


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