Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea. Bersezio Vittorio
e la faccia nelle mani, pensava.
— Aspettare fino a domattina!... Perchè?... E poi che avverrà egli?... Mi scaccerà.... Forse mi vorrà umiliare in presenza di tutti.... Oh no per Dio!... Non lo vo' tollerare.... È meglio finirla... Finirla subito, e tutti! Sì, tutti! Lasciarli dietro di me a godersi il loro amore? No: per la maledizione di Dio!... Un poco d'acqua in quel metallo in fusione, e si salta tutti in aria, la fonderia, la casa, tutti!... Oh sì, che bello spettacolo! —
Rise e si alzò con impeto, per mettere in esecuzione quell'orribile progetto. Ma nel migliore ebbe paura. Aveva già in mano una secchia per gettarla e si trattenne. Come se avesse avuto sentore del pericolo, Girolamo in quella si svegliò.
“Che fai tu costì?” gli disse.
“Nulla,” rispose Atanasio: “Ho una sete che mi strugge le fauci, e pensavo di andare per un po' d'acqua fresca.... Appunto, fammi il piacere, vacci tu.”
Girolamo si scosse come un can bagnato, prese la secchia ed uscì.
Atanasio, senza aver bene coscienza di sè stesso, saltò contro uno de' forni, il più grande, e con una gran mazza di ferro percosse nell'usciolo che ne otturava l'uscita. Un zampillo di fuoco sprizzò fuori lanciando scintille da tutte le parti. L'operaio ebbe appena il tempo di gettarsi in là, le bocche delle forme non erano ancora aperte e il rivolo di fuoco, come la lava d'un vulcano, precipitava rapido e stendevasi al suolo empiendo tutto di fumo, crepitando, fremendo, rombando. Atanasio spaventato volle gettarsi a tentar di tappare di nuovo quella uscita. Era impresa oramai sovrumana, impossibile: il fiotto impetuoso del liquido incandescente s'era aperto un largo passaggio e non era più un zampillo, ma un vero fiume ribollente, impetuoso, che si riversava per terra. Atanasio, assalito da alto terrore, gettò un grido spaventoso d'allarme e fuggì smarrito.
Incontrò sulla soglia Girolamo che veniva correndo, spaventato ancor egli da quel grido, che aveva udito risuonare per la notte.
“Che cos'è?”
“Scappa, scappa.... Il metallo ha rotto la fornace e si riversa tutto....”
Le imposte delle porte e delle finestre della fonderia, i correnti e i travi del tetto, tutto ciò che si aveva di legno là dentro, le pareti stesse divampavano, fiammavano, e il tremendo fiotto di fuoco già si precipitava di fuori nel cortile.
Delle due ale del fabbricato, quella a sinistra conteneva i magazzini del combustibile, e lì presso subito, immediatamente confinante il quartiere abitato da Pietro, da sua moglie, dal bambino. La bollente lava di metallo fuso, come se fosse guidata dall'odio di chi le aveva dato l'aíre, si diresse a volute sempre più crescenti verso quella parte.
Girolamo si cacciò a fuggire, urlando come un dannato; Atanasio corse qual dovette correre Caino, dopo il primo assassinio commesso nel mondo.
Si fermò dopo dieci minuti sopra un'altura. Quale orrendo spettacolo! La fonderia era tutta una fiamma, il magazzino di combustibili ardeva come un mucchio di fascine, le fiamme lambivano colla loro lingua di fuoco la casa dove abitavano i Frangia, e del quartiere dove stavano Pietro, Lucietta e il bambino, già ardevano le persiane e i telai delle invetriate.
In mezzo a tutto quel chiarore, si vedevano come macchie scure correre affaccendati alcuni uomini; dal villaggio venivano pur correndo gli abitanti, svegliati dalle grida di Girolamo prima, degli altri operai poscia, e affrettati per ultimo dai rintocchi della campana suonata a martello; fino al luogo dove s'era fermato Atanasio, si udiva arrivare un rumore confuso che era il suono assembrato di grida, di esclamazioni, di preghiere, di bestemmie, di pianti di tanti uomini e di tante donne disperati, spaventati.
Atanasio stette un mezzo minuto a contemplare quello spettacolo, i denti stretti, le braccia serrate al petto, un mezzo minuto che gli parve un'ora; parevagli sentir nel volto il calore di quelle fiamme a cuocergli le carni. A un tratto sentì un fruscio fra le piante, e un essere animato giunse correndo presso di lui e gli saltò alle gambe guaendo, mugolando, vociando in ogni suo modo. Era Azor fuggito di casa, chi sa come, cui l'istinto aveva condotto sin là tra le gambe del suo padrone. Questi si chinò verso la povera bestia ad accarezzarla. Il cane lo addentava pei panni e pareva volerlo tirare.
— Dove mi vuoi tu condurre? — diceva lo sciagurato, resistendo. — Laggiù? là in quell'inferno? Che cosa vuoi ch'io vada a fare?... Là si compie ora la mia vendetta.... All'uno tutto, e all'altro nulla! Ricchezze, agi, gioie, famiglia, e l'amore di lei! Tutto per lui!... Ed io niente!... D'ora in poi non avrà più nulla neanch'egli, nè sostanze, nè moglie, nè bambino.... —
L'idea del bambino lo scosse.
— Ah! quell'innocente!... E lei!.... lei!... Morire così crudelmente!... —
Azor, come se vedesse che la pietà stava per entrare nell'animo del padrone, raddoppiava il suo mugolìo.
— E lei che ti ha dato a me.... La vuoi salva?... Hai più cuore di questo miserabile. —
Prese la corsa verso l'incendio, e il cane dietro di galoppo.
Quando giunse, il fuoco già consumava il tetto dell'ala abitata da Lucietta; dalla finestra proprio della stanza di lei cominciavano ad uscir fumo e faville. Atanasio vide la donna con in braccio il suo bambino, che urlava con voce da straziare l'animo di qualunque.
Pietro, svegliato in sussulto alle grida di Girolamo, non aveva avuto tempo che di dire alla moglie: — Salvati col bambino, — ed era corso dove allora più premeva il pericolo. La donna, resa incapace di muoversi dallo spavento, si era lasciata sopraggiungere dall'incendio.
Un uomo accorreva con una lunga scala: dietro di lui, ansante, Pietro che in mezzo all'infernale tumulto, aveva pure udito il grido della madre di suo figlio. La scala fu appoggiata al muro; in quella un vortice di fiamme avvolse la misera donna col bambino alla finestra. S'udirono come un grido d'agonia suprema le parole: — Mio figlio! — e la madre e il piccino sparirono come inabissati.
Pietro, forsennato, fece per islanciarsi sulla scala: una mano di ferro lo fermò.
— Indietro! — gli gridò una voce che egli non riconobbe. — Tocca a me. —
E Atanasio, lesto come uno scoiattolo, si arrampicò su pei piuoli, e in un attimo fu alla finestra e si precipitò dentro.
Azor, postato innanzi a quella finestra, accompagnava il suo padrone cogli abbaiamenti, come se lo volesse incoraggiare.
Atanasio, avvolto nel fumo che turbinava, non vide nulla, ma inciampò in un corpo disteso per terra; si chinò, sentì che la era una donna, l'afferrò e stringendola fra le braccia, scavallò di nuovo il parapetto e incominciò a discendere con essa.
Lucietta era caduta in uno svenimento cagionatole dal terrore, ma le fiamme non l'avevano ancora toccata. Però l'incendio pareva che non volesse lasciarsi rapire la sua preda. Atanasio, con precauzione, cercava col piede il piuolo su cui posare, quando un'ondata di fuoco si scatenò addosso a lui, lo avviluppò, ne pose in fiamme la capigliatura e lo svolazzo della tunica sulla schiena. Egli col suo fardello fra le braccia vacillò: un alto grido d'orrore eruppe dai petti di tutti gli astanti, che tremavano e palpitavano. Pure il robusto uomo non fu vinto, con una mano aveva già afferrato il capo della scala, vi si mantenne e fra mezzo alle fiamme continuò a scendere.
Giunse in terra; tutti gli furono attorno ed aiutarlo, a sorreggerlo che barcollava come ebbro. Pietro gli tolse dalle braccia Lucietta sempre svenuta. Ma subito un'idea orribile gli venne.
— E mio figlio?! —
La madre, a queste parole del marito, gridate con accento di disperazione, risensò.
— Mio figlio! mio figlio! — ripetè. — Oh! salvatemelo, per amor di Dio! —
La infelice, nello svenire, l'aveva lasciato cadere....
Vide in quella Atanasio che si premeva la fronte e le occhiaie dove sentiva un orribile dolore.
“Voi, voi qui, Atanasio!” disse, puntando il dito contro di lui. “Voi dovete salvarlo.”